I giudici della Suprema Corte chiariscono che sono diversi i presupposti che legittimano la tassazione in relazione alle diverse indennità percepite nei procedimenti ablatori che intervengono sull’immobile
La recente Giurisprudenza di legittimità è intervenuta più volte sulla fattispecie relativa alla tassazione applicabile alle indennità diverse da quelle dovute per l’espropriazione.
In particolare, la controversia in esame nasce dalla impugnazione dell’avviso di liquidazione con cui l’Ufficio dell’Agenzia delle entrate tassava con aliquota del 3 per cento:
- l’indennità aggiuntiva al proprietario-coltivatore diretto ai sensi dell’articolo 40, comma 4 del DPR n. 327 del 2001 (cd. Testo Unico Espropri - T.U.E.);
- le indennità per anticipazioni colturali e la distruzione dei frutti pendenti;
- le indennità per il deprezzamento della proprietà residua ex articolo 33 T.U.E.;
- le indennità per la demolizione dei manufatti e/o soprassuoli;
- l’indennità di occupazione ai sensi dell’articolo 50, comma 1, del T.U.E..
Imposta di registro, anche le indennità diverse da quella di espropriazione sono tassate: un caso pratico
La fattispecie si inserisce nell’ambito della registrazione di un contratto di cessione volontaria di beni immobili in una procedura espropriativa, rispetto al quale i ricorrenti rivendicano l’applicazione dell’aliquota dello 0,50 per cento prevista ai sensi dell’articolo 6 della Tariffa parte prima, allegata al Testo Unico dell’imposta di registro (TUR).
La questione si sviluppa in relazione al rilievo dei ricorrenti in base al quale tutte le indennità diverse da quelle di esproprio, corrisposte al proprietario che sia anche coltivatore diretto dei beni ablati (indennità aggiuntiva, di soprassuolo, di distruzione dei frutti pendenti, di deprezzamento del reliquato, di occupazione temporanea), non concorrono ad integrare il prezzo di cessione ai sensi dell’articolo 44, comma 2 del TUR, non hanno cioè funzione di corrispettivo della cessione, né assumono contenuto patrimoniale in senso stretto.
In base alla tesi dei ricorrenti, tali indennità assolverebbero invece una funzione compensativa del pregiudizio subito dal cedente in ragione dei suoi requisiti soggettivi, in termini ritenuti ancora attuali, non essendo mutato il contesto normativo di riferimento, per cui la corretta tassazione di tali indennità non può che colpire (con l’aliquota dello 0,50 per cento) la mera dichiarazione di percezione delle somme contenuta nell’atto di cessione, vale a dire come una quietanza ai sensi dell’articolo 6 della Tariffa.
Tuttavia la Corte di Cassazione non ha accolto il ricorso dei contribuenti.
I diversi presupposti delle indennità corrisposte e la relativa tassazione ai fini dell’imposta di registro
Al riguardo, osserva che nell’ipotesi in cui l’espropriazione per pubblica utilità colpisca il proprietario, che sia anche coltivatore diretto dei beni espropriati, l’indennità di esproprio e quelle aggiuntiva, dovute ai sensi degli articoli 37 e 40, comma 4, del DPR n. 327 del 2001, sono dirette ad assicurare il ristoro di beni diversi tra di loro non sovrapponibili.
La prima infatti intende compensare il sacrificio sofferto dal proprietario del bene in ragione della perdita del diritto di proprietà sul bene, mentre la seconda, indipendentemente dal diritto di proprietà e dagli altri diritti reali sul fondo espropriato, trova fondamento nella diretta attività di prestazione d’opera sul terreno espropriato, facendo altresì leva sul favor garantito al lavoratore, nel senso che la sua retribuzione sia in ogni caso sufficiente ad assicurare a lui e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa, caratterizzandosi, per una funzione compensativa del sacrificio sopportato a causa della definitiva perdita del terreno su cui egli ha esercitato l’attività agricola, remunerando la cd. indennità aggiuntiva la “perdita del lavoro”.
Le altre forme di indennità (per le anticipazioni colturali, per il deprezzamento della residua parte non espropriata, per la distruzione dei frutti pendenti e la perdita da anticipazioni colturali o del cd. soprassuolo e per l’occupazione temporanea) ristorano, invece, diversi, pregiudizi causati dalla procedura espropriativa, rispettivamente costituti:
- dalla perdita di valore dell’area reliquata nell’ipotesi di espropriazione parziale;
- dalla perdita del ricavo ritraibile dai frutti pendenti e delle risorse impiegate per la coltivazione dei futuri frutti;
- dalla distruzione degli eventuali manufatti esistenti sul terreno;
- dalla perdita della disponibilità del bene nel periodo di occupazione temporanea, che nel medesimo procedimento ablativo traggono quindi titolo giuridico.
Gli enunciati pregiudizi risultano accomunati dalla loro natura economica, incidendo sulla capacità reddituale dei beni e soprattutto sul patrimonio del soggetto espropriato, che risulta privato dei relativi cespiti.
Ciò comporta un’oggettiva ed evidente perdita del suo complessivo valore, che le varie indennità previste intendono compensare, controbilanciando le perdite con l’attribuzione di un equivalente monetario. Pertanto, tutte le indennità corrisposte per ristorare tali pregiudizi rispondono ad una “logica patrimoniale”.
L’articolo 44, comma 2, seconda parte, del TUR dispone che:
“In caso di trasferimento volontario all’espropriante nell’ambito della procedura espropriativa la base imponibile è costituita dal prezzo.”
La Corte osserva che non vi è una specifica disposizione che preveda l’aliquota applicabile nel caso di cessione volontaria del bene da parte dell’espropriando che sia anche coltivatore diretto del fondo, ma l’articolo 9 della Tariffa stabilisce l’aliquota del 3 per cento per “gli atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”.
Tale disposizione rappresenta una clausola di chiusura finalizzata a disciplinare tutte le fattispecie fiscalmente rilevanti, diverse da quelle indicate nelle restanti disposizioni, se onerose e in tal senso aventi un contenuto patrimoniale.
Inoltre, l’imposta di registro si presenta come una tipica imposta d’atto, in quanto applicata all’atto presentato alla registrazione, intendendosi per tale un determinato negozio giuridico o un altro atto regolatore di un assetto di interessi che riveli forza economica e capacità patrimoniale.
Imposta di registro: le indennità aggiuntive hanno un contenuto patrimoniale
La Corte ritiene che l’individuazione dell’aliquota applicabile a tali indennità, in mancanza di una previsione normativa espressa cui ricondurle, va operata, ai sensi dell’articolo 9 della Tariffa parte prima, in ragione del contenuto patrimoniale della stessa, coerentemente con la ratio, sottesa all’imposta di registro, di tassare tutte le espressioni di capacità contributiva contenute negli atti presentati alla registrazione.
Il contenuto patrimoniale della prestazione va ricercato nel suo carattere oneroso o nella sua idoneità ad essere economicamente valutabile, comportando una modifica patrimoniale nella sfera giuridica del soggetto interessato, caratteristiche che qualificano la cessione volontaria di immobile nell’ambito della procedura espropriativa e in particolare le citate indennità, volte, per l’appunto, a remunerare le perdite patrimoniali subite dall’espropriato-coltivatore diretto.
La Corte pertanto respinge l’argomentazione per cui sarebbe applicabile la minore aliquota prevista dall’articolo 6 della Tariffa parte prima per l’atto di quietanza, in quanto l’eventuale dichiarazione di ricezione delle somme dovute a titolo di indennità assume natura ancillare rispetto all’atto di cessione che stabilisce la prestazione avente contenuto patrimoniale diretto alla corresponsione dell’indennità e ne resta, quindi, assorbita, considerato che ai sensi dell’articolo 21,comma 3 del TUR, tale dichiarazione risulta esente dall’imposta di registro.
Inoltre, la Corte ritiene che la determinazione dell’indennità si fonda su criteri che hanno come riferimento, da un lato, la natura e la destinazione del terreno e, dall’altro, la presenza di soggetti, diversi dal proprietario, sul fondo stesso, sicché l’indennità stessa, pur essendo legata a parametri predeterminati, è scissa, nell’ipotesi in cui siano presenti più soggetti, in due distinte parti:
- una diretta a risarcire il danno per la perdita del terreno;
- l’altra, aggiuntiva ed integrativa, finalizzata a compensare il sacrificio dovuto alla privazione definitiva del godimento del fondo ed alla conseguente impossibilità di continuare ad esercitare l’attività di coltivazione.
Inoltre, si tratta comunque di prestazioni patrimoniali che compensano il soggetto in seguito ad un pregiudizio patito, vale a dire il sacrificio di un diritto, il cui importo è stato pattuito tra le parti, soggette alla aliquota del 3 per cento ai sensi dell’articolo 9 della Tariffa, parte prima, allegata al TUR, che prevede l’imposta proporzionale di registro per gli “atti diversi da quelli altrove indicati aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”.
Resta irrilevante la natura indennitaria o risarcitoria di tali prestazioni economiche aggiuntive in caso di esproprio, atteso che l’articolo 9 della Tariffa parte prima allegata al TUR tassa allo stesso modo sia le indennità che il risarcimento del danno, la cui natura si distingue solo per effetto della valutazione del comportamento a monte dell’agente (atto legittimo o illegittimo) che produce un danno economico, prevedendo l’articolo 9 la tassazione con aliquota del 3 per cento per le disposizioni “aventi per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale”.
Pertanto, le indennità aggiuntive hanno un contenuto patrimoniale e, così, sono soggette all’aliquota del 3 per cento, ai sensi dell’articolo 9 della Tariffa, in quanto, in mancanza di altra disposizione a carattere di specialità, risulta applicabile la normativa a carattere residuale.
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