False partite Iva e presunzione di subordinazione: come funziona, quali sono i fattori da considerare e quando scattano i controlli. Informazione Fiscale risponde ai dubbi dei lettori.
False partita Iva e presunzione di subordinazione: quando scattano i controlli e quali sono i fattori da considerare. Informazione Fiscale risponde ai dubbi dei lettori.
Una partita IVA, un solo committente, un rapporto di lavoro continuativo. Sono queste le caratteristiche delle false partite IVA. False perché l’autonomia del libero professionista è solo un’illusione: chi opera in questo modo spesso ha tutti i doveri di un lavoratore dipendente, ma senza i diritti e le tutele.
Un fenomeno molto diffuso soprattutto nel settore dei servizi, per contrastarlo la Legge Fornero ha introdotto un antidoto, poi diluito dal Jobs Act, che fa scattare i controlli della Direzione Territoriale del Lavoro in caso di presunzione di subordinazione e prevede che il rapporto tra committente e titolare di partita IVA debba essere trasformato un rapporto di lavoro subordinato.
False partita Iva e presunzione di subordinazione: quando scatta?
Il lettore si rivolge alla redazione di Informazione Fiscale perché ha intenzione di aprire una partita IVA per avviare un rapporto di lavoro con un’azienda con sede in Andorra, che sarebbe la principale fornitrice di lavoro, e ha il timore che possa ricevere accertamenti come titolare di una falsa partita IVA.
Ma non c’è dubbio: il pericolo di ricevere accertamenti non esiste. Prima di tutto perché l’azienda con cui il lettore avvierà un rapporto di committenza si trova in un altro Stato.
La presunzione di subordinazione, infatti, fa scattare gli accertamenti della Direzione Territoriale del Lavoro che effettua controlli nel territorio di sua competenza, e quindi non oltre i confini italiani.
Gli accertamenti si verificano se l’azienda ha sede in Italia, e nel caso di rapporto di lavoro con una società che ha sede all’estero, c’è l’eventualità di un controllo soltanto in presenza di una stabile organizzazione anche in Italia.
Un altro fattore fondamentale da considerare per verificare se può esserci presunzione di subordinazione è il curriculum di studi e di lavoro del titolare della partita IVA.
Anche se ci sono tutti gli indizi di una falsa partita IVA, la Legge, infatti, esclude la subordinazione per alcune categorie di lavoratori: quelli iscritti agli albi professionali, solo per fare un esempio. Infatti il rapporto di lavoro esclusivo tra una grande azienda e un avvocato non si può definire di subordinazione.
Escluse dalla presunzione anche le prestazioni di lavoro “connotate da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività”. Una definizione che ha margini aperti e lascia spazio all’interpretazione.
False partita Iva e presunzione di subordinazione: come funziona
Il potenziale antidoto contro le false partite IVA è stato introdotto nel sistema normativo dalla legge numero 92 del 2012, Legge Fornero. Nel testo vengono indicati i presupposti per cui scatta la presunzione di subordinazione.
In particolare, il comma 26 dell’articolo 1 recita:
“26. Al capo I del titolo VII del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, dopo l’articolo 69 è aggiunto il seguente:
Art. 69-bis (Altre prestazioni lavorative rese in regime di lavoro autonomo). - 1. Le prestazioni lavorative rese da persona titolare di posizione fiscale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto sono considerate, salvo che sia fornita prova contraria da parte del committente, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, qualora ricorrano almeno due dei seguenti presupposti:
a) che la collaborazione con il medesimo committente abbia una durata complessiva superiore a otto mesi annui per due anni consecutivi;
b) che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro d’imputazione di interessi, costituisca più dell’80 per cento dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco di due anni solari consecutivi;
c) che il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.
2. La presunzione di cui al comma 1 non opera qualora la prestazione lavorativa presenti i seguenti requisiti:
a) sia connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività;
b) sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 2 agosto 1990, n. 233.
3. La presunzione di cui al comma 1 non opera altresì con riferimento alle prestazioni lavorative svolte nell’esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine professionale, ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati e detta specifici requisiti e condizioni. Alla ricognizione delle predette attività si provvede con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da emanare, in fase di prima applicazione, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, sentite le parti sociali.
4. La presunzione di cui al comma 1, che determina l’integrale applicazione della disciplina di cui al presente capo, ivi compresa la disposizione dell’articolo 69, comma 1, si applica ai rapporti instaurati successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione. Per i rapporti in corso a tale data, al fine di consentire gli opportuni adeguamenti, le predette disposizioni si applicano decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente disposizione.
5. Quando la prestazione lavorativa di cui al comma 1 si configura come collaborazione coordinata e continuativa, gli oneri contributivi derivanti dall’obbligo di iscrizione alla gestione separata dell’INPS ai sensi dell’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, sono a carico per due terzi del committente e per un terzo del collaboratore, il quale, nel caso in cui la legge gli imponga l’assolvimento dei relativi obblighi di pagamento, ha il relativo diritto di rivalsa nei confronti del committente”.
Dopo 3 anni dall’approvazione, il Jobs Act - Decreto Legislativo numero 81 del 2015 ha integrato la norma che contrasta le false partite IVA, e dovrebbe tutelare il lavoratore introducendo un nuovo regime di presunzione per effetto del quale “le collaborazioni di tipo parasubordinato (cococo o cocopro) o nella forma del lavoro autonomo (Partita IVA) sono considerate come lavoro subordinato, dipendente, qualora siano prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, ripetitive ed organizzate dal committente rispetto al luogo ed all’orario di lavoro”.
Un intervento, quest’ultimo, che diluisce l’efficacia dell’impianto originario delineato dalla Legge Fornero, rende meno frequenti i casi di presunzione di subordinazione e molto più improbabili i controlli della Direzione Territoriale del Lavoro.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: False partite Iva e presunzione di subordinazione: quando scatta il controllo