Quando il rapporto di collaborazione con un solo committente si converte in un rapporto subordinato? Le novità del Jobs Act.
Il lavoratore autonomo che svolge la propria attività lavorativa di collaborazione per un solo committente può vedersi riconosciuta la natura subordinata del rapporto di lavoro.
Perchè avvenga tale conversione è però necessario che la prestazione risponda a delle determinate caratteristiche.
Gli indici della subordinazione nelle collaborazioni autonome
A seconda della modalità di svolgimento, una medesima attività lavorativa può essere prestata in forma autonoma oppure in forma subordinata.
La diversa qualificazione dipende dalla sussistenza del requisito fondamentale della subordinazione.
Secondo la giurisprudenza il rapporto di lavoro è subordinato ogniqualvolta il lavoratore è assoggettato al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro il quale quindi emana ordini specifici e svolge un’assidua attività di vigilanza e controllo dell’esecuzione della prestazione lavorativa.
Tale accertamento è nella pratica complesso e comporta non poche difficoltà.
Al fine di agevolare la procedura, il legislatore ha cercato con vari interventi normativi, nel caso delle collaborazioni autonome, di prevedere la conversione automatica del rapporto al verificarsi di alcune condizioni.
La disciplina prima dello Jobs Act
Nel testo della Riforma Fornero le collaborazioni a partita iva si presumevano subordinate al verificarsi di almeno due delle seguenti tre condizioni: quando la monocommittenza aveva una durata complessiva superiore a otto mesi annui per due anni consecutivi; quando il compenso proveniente dallo stesso committente superava l’80% dei compensi percepiti dal collaboratore nell’arco di due anni consecutivi; quando il collaboratore disponeva di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.
Le novità introdotte dello Jobs Act in tema di collaborazioni autonome
La regola fissata dalla Riforma Fornero è stata cancellata dal D. lgs 81/2015.
Tale disposizione ha posto la etero-organizzazione quale criterio fondamentale per l’applicazione delle norme del rapporto di lavoro subordinato, sostituendo il criterio della monocommittenza, come criterio discretivo.
Secondo l’art. 2 del Jobs Act infatti si fa applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione quando questi consistano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione siano organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.
Pertanto la collaborazione autonoma monocommittente, quando dotata dei suddetti requisiti, viene disciplinata dalle norme del rapporto subordinato.
Ma la conversione non è automatica: l’accertamento dovrà sempre essere effettuato da un giudice che valuti lin concreto la sussistenza o meno dell’etero-organizzazione.
La norma consente alle parti di richiedere alle Commissioni Autorizzate, prima dell’accertamento giudiziale, la certificazione dell’assenza dei requisiti che comportano la conversione.
In questa fase il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante dell’associazione sindacale cui aderisce o conferisce mandato o da un avvocato o da un consulente del lavoro.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Lavoro autonomo e monocommittenza: rischio subordinazione