Per i trasferimenti di partecipazioni azionarie di società immobiliari di mero godimento non viene integrato l'esercizio dell’attività di impresa
Con la Sentenza numero 6082/2023, la Corte di Cassazione conferma che non è prevista l’esenzione dall’imposta sulle donazioni per le società di mero godimento.
La vicenda processuale trae origine da un atto di donazione con cui due coniugi disponevano il trasferimento di partecipazioni azionarie in favore dei figli applicando l’esenzione dall’imposta sulle successioni e donazioni prevista dall’articolo 3, comma 4-ter, del D.Lgs. n. 346 del 1990.
Con successivo avviso di liquidazione, l’Agenzia delle Entrate disconosceva, in relazione a tale atto di donazione delle quote sociali, l’applicabilità dell’esenzione d’imposta, in quanto la società risultava essere di mero godimento immobiliare, economicamente non operativa, caratterizzata da una gestione statica, il cui patrimonio immobiliare era stato conferito in nuda proprietà dai soci originari.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dei contribuenti, confermando l’esito del giudizio di secondo grado.
Imposta sulle donazioni: niente esenzioni per le società di mero godimento
I giudici di legittimità pervengono all’esito sfavorevole ai contribuenti ricostruendo la normativa agevolativa e la ratio ad essa sottesa, proponendo una lettura della disciplina in chiave comunitaria.
Ai sensi dell’articolo 3, comma 4-ter del D.Lgs. n. 346 del 1990, il beneficio dell’esenzione si applica in relazione ad “I trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli artt. 768-bis e seguenti del codice civile a favore dei discendenti e del coniuge, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni”.
In caso di quote sociali e azioni, la norma prevede che “il beneficio spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’art. 2359,, comma 1, numero 1), del codice civile. Il beneficio si applica inoltre a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’ impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento…”
Come già chiarito dalla consolidata giurisprudenza della Corte, il pagamento dell’imposta deve essere escluso qualora ricorra l’esenzione prevista dall’articolo 3, comma 4-ter, del D.Lgs. n. 346 del 1990, che si applica alle ipotesi di trasferimento d’azienda e delle partecipazioni societarie in favore del discendente beneficiario che si impegni a proseguire l’esercizio dell’attività d’ impresa o a detenere il controllo societario per un periodo non inferiore a cinque anni.
L’esenzione prevista nei casi di trasferimento di partecipazioni sociali a favore dei discendenti, va così riconosciuta qualora consenta agli aventi causa l’acquisizione o l’integrazione del controllo della società.
Ai fini della fruizione dei benefici deve essere assolta la condizione che i beneficiari delle partecipazioni si impegnino, per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, a proseguire l’esercizio dell’attività.
Pertanto è necessario che il trasferimento della partecipazione sociale in capo al soggetto assegnatario permetta al beneficiario di avere a disposizione la maggioranza dei voti da esercitare nell’assemblea ordinaria, in quanto la disposizione agevolativa vincola la fruizione dell’agevolazione alla sussistenza in capo al beneficiario di una situazione di controllo di diritto.
Il richiamo alle raccomandazioni fornite dalla Commissione UE
La Corte ritiene che una piena ed accurata analisi della disciplina agevolativa porta ad escludere tuttavia, con riguardo al trasferimento di partecipazioni in società di capitali, che il beneficio competa con riferimento a tutte le partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo di diritto della partecipata.
La ratio che caratterizza tale regime di favore si rinviene nell’esigenza di agevolare il passaggio generazionale d’impresa, in linea con le raccomandazioni fornite dalla Commissione UE n. 94/1069/CE del 1994, e n. 98/C93/02 del 1998, per non pregiudicare la continuità di aziende che, donate o cadute in successione, rischierebbero di dover essere cedute per consentire agli eredi o donatari di procurarsi la provvista con cui assolvere gli obblighi tributari.
Con tale agevolazione, avente carattere oggettivo, si intende conservare l’integrità dell’impresa al momento del “passaggio generazionale”, necessità confermata nella citata raccomandazione del 7 dicembre 1994, non essendovi un riferimento ad una misura agevolativa a favore dei familiari.
Al riguardo, il testo della enunciata raccomandazione, tra gli obiettivi dichiarati, prevede che “gli Stati membri sono invitati ad adottare le misure necessarie per facilitare la successione nelle piccole e medie imprese al fine di assicurare la sopravvivenza delle imprese ed il mantenimento dei posti di lavoro”.
L’articolo 6 della raccomandazione prevede che “è opportuno assicurare la sopravvivenza dell’impresa con una adeguata disciplina fiscale della successione ereditaria e della donazione. A tal fine, gli Stati membri sono invitati ad adottare una o più delle seguenti misure: a) ridurre, purché l’attività dell’impresa prosegua in modo effettivo per un certo periodo minimo, i tributi sugli attivi strettamente legati all’esercizio dell’impresa in caso di trasferimento tramite donazione o successione ereditaria...”.
L’agevolazione, riconosciuta dalla disciplina nazionale, nel rispetto della raccomandazione della Commissione UE, intende garantire la continuità dell’iniziativa imprenditoriale e la salvaguardia dei livelli occupazionali.
Venendo in concreto alle misure finalizzate ad attuare i predetti obiettivi, la disciplina nazionale in esame ha inteso agevolare due differenti fattispecie, vale a dire:
- 1) il trasferimento di aziende o rami di esse;
- 2) il trasferimento di quote sociali o di azioni, con la precisazione che, se si tratta di società di capitali, dovrà trattarsi di un trasferimento che consenta l’acquisizione o l’integrazione del controllo.
La Corte, nella pronuncia in esame, non accoglie la ricostruzione prospettata dai ricorrenti, per cui l’agevolazione dovrebbe trovare applicazione a prescindere dall’esercizio d’impresa da parte della società le cui partecipazioni vengono trasferite.
Occorre invece tener conto della ratio della norma per giungere alla conclusione che non è sufficiente, ai fini della fruizione dell’esenzione, nel caso di trasmissione di quote di società di capitali, soltanto l’acquisizione del controllo e la sua detenzione per almeno un quinquennio, ma è necessario garantire il rispetto anche dell’ulteriore requisito dell’“esercizio dell’impresa” da parte della società trasferita.
Pertanto, i trasferimenti di partecipazioni in società di capitali devono consentire all’avente causa di acquisire o integrare il controllo di una società che svolge effettivamente un’attività d’ impresa.
La Corte ritiene infatti che solo così il trasferimento del controllo di una società può ritenersi equivalente al trasferimento di un’azienda, e l’agevolazione risultare apprezzabile quanto al dichiarato obiettivo di garantire la salvaguardia dei livelli occupazionali.
Aderendo viceversa alla tesi dei ricorrenti, si agevolerebbero le partecipazioni in “società senza impresa”, ovvero dove siano stati veicolati beni non costituenti azienda (denaro, fabbricati, terreni, valori mobiliari) con il rischio di uno svuotamento del tributo successorio, rivolto a far sopravvivere l’impresa, esercitata anche tramite una società di cui si detenga il controllo.
La Corte pertanto ritiene che il regime di favore non possa essere esteso alle partecipazioni in società immobiliari di mero godimento, che non svolgono attività d’ impresa, sulla base del presupposto che non lo sono i passaggi di beni immobili in quanto, se l’agevolazione non si applica al trasferimento di un patrimonio immobiliare, allo stesso modo deve essere escluso il trasferimento di una quota di controllo di una società immobiliare, a pena di un’irragionevole disparità di trattamento.
Non ricorrendo pertanto il presupposto dell’attività di impresa, la Corte perviene alla conclusione che l’Agenzia delle Entrate ha legittimamente disconosciuto la spettanza dell’invocata esenzione di cui all’articolo 3, comma 4-ter, del D Lgs n. 346 del 1990.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: No alla esenzione dall’imposta sulle donazioni per le società di mero godimento