Distribuzione di utili extracontabili, l’Ordinanza numero 12328 del 14 aprile scorso della Corte di Cassazione chiarisce quali sono i presupposti dell'imposta. Tra i chiarimenti viene anche chiarito il caso in cui sia presente un socio occulto. Un focus sulle regole relative alla tassazione Irpef.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 12328 del 14/04/2022, ha chiarito i presupposti di tassazione in caso di distribuzione di utili extracontabili, compreso il caso in cui vi sia un socio occulto.
Nella specie, i contribuenti avevano impugnato gli avvisi di accertamento che recuperavano a tassazione Irpef, per alcune annualità (dal 2002 al 2006), utili occulti non dichiarati, distribuiti da società di cui erano soci, formali o occulti.
La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva i ricorsi, con sentenza poi confermata anche dalla Commissione Tributaria Regionale, che rigettava l’appello dell’Ufficio sulla base delle seguenti considerazioni:
- la giurisprudenza di legittimità afferma che per le società (come quelle in esame) a ristretta base partecipativa opera la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili accertati, salva la facoltà del contribuente di provare che i maggiori ricavi non sono stati oggetto di distribuzione, ma sono stati invece accantonati dalla società oppure reinvestiti;
- i fondi della società (da ultimo trasferiti all’estero), alla data del 31/12/2007, erano ancora a questa intestati, ragion per cui gli utili non risultavano essere mai stati distribuiti. Anche i fondi presenti in Italia risultavano ancora intestati alla società ed erano stati posti sotto sequestro dall’autorità giudiziaria, e perciò era impossibile che, come invece prospettato dall’ufficio finanziario, essi fossero stati distribuiti ai soci;
- quanto ai fondi attribuiti al socio occulto, essi risultavano intestati alla liquidatrice, il che dimostrava la mancata percezione da parte del contribuente degli importi accertati dal fisco.
L’Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo la violazione degli artt. 2697 e 2729 c.c.; 37, c. 3, Dpr n. 600/73, rilevando che le società, delle quali i contribuenti erano soci (occulti e non), avevano fatto confluire in conti bancari extracontabili i propri ricavi in nero, per milioni di euro, poi trasferiti su conti svizzeri, intestati alle stesse società.
Distribuzione di utili extracontabili: i ricavi occulti e il recupero a tassazione
L’ufficio finanziario ascriveva dunque alla sentenza impugnata di avere trascurato che il fatto, pacifico tra le parti, che sui conti correnti bancari, intestati alle due società a ristretta base partecipativa, fossero depositati ricavi occulti (e cioè non registrati nella contabilità ufficiale) era di per sé sufficiente a fondare la presunzione della riferibilità, agli stessi soci, di tali somme, fiscalmente rilevanti, laddove i contribuenti, ai quali spettava fornire la prova contraria, non avevano vinto la presunzione di distribuzione degli utili in nero addotta dall’Amministrazione finanziaria.
Con specifico riferimento poi al recupero a tassazione, nei confronti del socio occulto, dei ricavi non dichiarati accertati, l’Agenzia delle Entrate censurava la sentenza impugnata laddove aveva omesso di esaminare gli elementi offerti dall’Ufficio a dimostrazione del carattere simulato dell’intestazione alla liquidatrice delle quote della società, che, nonostante il notevole avviamento (dal 1998 al 2000 la S.r.l. aveva dichiarato un volume d’affari di circa 200 miliardi di lire), nel luglio 1997, era stata praticamente “regalata” dal contribuente alla stessa liquidatrice.
Secondo la Suprema Corte il ricorso era fondato.
Evidenziano i giudici di legittimità che, condividendone il contenuto, essi intendevano dare seguito al consolidato indirizzo di Cassazione, per il quale «È legittima la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, rimanendo salva la facoltà del contribuente di offrire la prova del fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti (Cass. n. 5076 del 2011, n. 9519 del 2009 e n. 7564 del 2003; Cass. n. 6780/03; Cass. n. 7564/03; Cass. n. 16885/03; Cass. n. 18640/2008; Cass. n. 8954/13). Tale principio è stato completato precisandosi che la presunzione di distribuzione degli utili extra-bilancio […] può essere vinta dando la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria (cfr. Cass. n. 1932/2016, Cass. n. 17461/2017, Cass. n. 26873/2016) attraverso un ragionamento deduttivo del giudice di merito incensurabile in cassazione sotto il profilo della violazione di legge» (Cass. 09/07/2018, n. 18042).
Alla luce di tale principio di diritto era dunque chiaro che, in presenza di società (di capitali) a ristretta base partecipativa (come anche nel caso di specie), una volta accertata l’esistenza di fondi neri in giacenza su un conto bancario extracontabile intestato alla società, opera la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non dichiarati dall’ente collettivo.
Per effetto della presunzione, quindi, incombe sul contribuente/socio fornire la prova contraria che, di certo, non può consistere - diversamente da quanto aveva affermato il giudice di merito - nella mera circostanza che dette somme siano depositate sui conti della società, che, inserita nel ragionamento presuntivo dell’art. 2727, cod. civ., altro non è che il “fatto noto” da cui si risale al “fatto ignoto” (presunzione di distribuzione della somma al socio).
Fondi occulti: per superare la presunzione di distribuzione serve la prova contraria
Il giudice di appello, rileva la Cassazione, non aveva dunque considerato che, per superare la presunzione di distribuzione, occorreva fornire la prova contraria (che nel caso in esame non era stata data), la quale, in sostanza, deve essere integrata dall’esistenza di un fattore ostativo, giuridico o economico, alla distribuzione medesima, laddove esempio del fattore ostativo “ostacolo giuridico” è la deliberazione societaria di “accantonamento” a riserva dell’utile non dichiarato, in tal modo vincolandosi l’utile al patrimonio sociale, ed esempio del fattore ostativo “ostacolo economico” è il “reinvestimento” del componente reddituale nell’acquisto di beni (e più in generale nel sostenimento di costi), o nella copertura di perdite.
Secondo la Corte era poi fondata anche la censura relativa alla formale intestazione alla liquidatrice, laddove la Commissione Tributaria Regionale si era soffermata esclusivamente sul fatto che, all’apparenza, la liquidatrice era socia totalitaria della società, omettendo però di esaminare una serie di elementi di fatto, che, secondo la prospettazione erariale, erano idonei a dimostrare che detta intestazione era fittizia e che, in realtà, il dominus della società era il socio occulto, che, anni addietro, soltanto sulla carta, aveva ceduto la propria impresa alla citata liquidatrice, che, in ultima analisi, era soltanto un soggetto interposto.
In conclusione e a prescindere dallo specifico caso processuale, giova anche evidenziare quanto segue.
L’accertamento alla società a ristretta base sociale consente di presumere la distribuzione di utili ai soci in proporzione alle loro quote.
Ma i soci hanno la possibilità di fornire comunque la prova contraria. E tale prova può consistere nel fatto che i maggiori ricavi non sono stati distribuiti, ma sono stati accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti.
La presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio può essere inoltra vinta dimostrando l’estraneità del socio alla gestione societaria (cfr., Cass., n. 29794 del 25/10/2021).
Non è del resto necessario, nel giudizio promosso dal singolo socio, di impugnazione dell’accertamento a lui rivolto ai fini Irpef, che l’accertamento dei maggiori ricavi in capo alla società sia divenuto definitivo (Cfr., Cass. n. 19013 del 27/9/2016), con la conseguenza che, costituendo l’accertamento a carico della società, in ordine ai ricavi non contabilizzati, soltanto il presupposto per l’accertamento a carico dei soci in ordine ai dividendi, resta salva per il socio, il quale abbia separatamente impugnato l’accertamento relativo al reddito da partecipazione senza avere preso parte al processo instaurato dalla società, la facoltà di contestare - oltre alla presunzione di distribuzione di maggiori utili - anche la ricorrenza di tale presupposto (Cass. n. 19013 del 27/9/2016).
La Cassazione ha comunque chiarito che nella presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili di una società a ristretta base sociale, il fatto noto che sorregge la presunzione di distribuzione degli utili non è costituito dalla sussistenza di questi ultimi, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà dei soci, che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale.
La ristretta compagine sociale determina, in sostanza, un’inversione dell’onere della prova a carico dello stesso socio. E ciò in quanto lo scarso numero dei soci si converte nel dato qualitativo della maggiore conoscibilità degli affari societari e nell’onere per il socio di conoscere tali affari, potendo comunque, come detto, il socio fornire però la prova dei fatti impeditivi dell’attribuibilità.
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