La dichiarazione dei redditi è sempre emendabile in fase di giudizio.
In sede contenziosa il contribuente può sempre correggere gli errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione dei redditi che incidono sull’obbligazione tributaria
È questo in estrema sintesi il contenuto dell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 12895/2018.
- Emendabilità della dichiarazione dei redditi
- Ordinanza Corte di Cassazione numero 12895/2018 in materia di emendabilità della dichiarazione dei redditi
I fatti – La controversia nasce dal ricorso presentato da un contribuente contro una cartella di pagamento, emessa a seguito di controllo formale della dichiarazione ai sensi dell’art. 36-bis del D.P.R. 600/1973 a causa di errori nella compilazione della dichiarazione dei redditi da parte del contribuente.
Riformando il giudizio positivo della CTP, i giudici d’appello hanno rigettato il ricorso proposto dal contribuente contro la cartella che, per questo, ha proposto impugnazione dinanzi alla Corte di cassazione.
La parte ricorrente ha lamentato violazione degli artt. 2 c. 8 e 8-bis D.P.R. n. 322/1998 deducendo che la CTR avrebbe erroneamente escluso la possibilità di emendare in giudizio i dati contenuti nella dichiarazione oggetto di controllo formale.
I giudici di legittimità hanno accolto il ricorso del contribuente e cassato, con rinvio ad altra sezione della CTR, la sentenza impugnata.
La decisione – I giudici di cassazione sono tornati ad esprimersi sui diversi termini entro cui è possibile emendare eventuali errori commessi nella redazione della dichiarazione dei redditi.
Richiamando l’importante sentenza n. 13378/2016, in cui le Sezioni Unite hanno fissato precisi principi di diritto sull’argomento, i giudici della sesta sezione civile hanno ribadito che il contribuente può, in via amministrativa, correggere gli errori o le omissioni che hanno determinato un maggior debito d’imposta (o un minor credito) attraverso la presentazione di una dichiarazione integrativa “a favore” entro il termine di cui all’articolo 2, comma 8 bis del citato D.P.R. 322/1998, ”non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante.”
Altro tema riguarda il termine entro cui presentare la dichiarazione nell’ipotesi in cui gli errori o le omissioni abbiano determinato un danno per l’Amministrazione finanziaria. In tal caso, l’art. 2 comma 8 sancisce che tale azione è esercitatale non oltre i termini stabiliti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43.
Per quanto attiene, invece, il termine per la presentazione dell’istanza di rimborso dei versamenti diretti, l’art. 38 del D.P.R. 602 del 1973 fissa il termine decadenziale di quarantotto mesi dalla data del versamento, “indipendentemente da termini e modalità della dichiarazione integrativa di cui al D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2 comma 8 bis.”
I giudici di Piazza Cavour hanno inoltre affermato, sulla scia del richiamato orientamento giurisprudenziale, che “il contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dal D.P.R. n. 322 del 1998, art. 2, e dall’istanza di rimborso di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, in sede contenziosa, può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria.”
Da tale principio deriva la cassazione della sentenza della CTR, avendo i giudici d’appello omesso di considerare la possibilità per il contribuente di far valere nel giudizio (promosso contro una cartella emessa ai sensi dell’art. 36-bis D.P.R. n. 600/73) gli errori ed omissioni contenuti nella dichiarazione a suo tempo presentata.
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