La dichiarazione IVA può essere corretta se l'amministrazione finanziaria viene tempestivamente informata dell'errore.
Quando l’ottenimento di un beneficio fiscale è subordinato per legge ad un’opzione da esprimere in dichiarazione, l’eventuale errore del contribuente è superabile solo dimostrando la sua essenzialità ed obiettiva riconoscibilità da parte dell’Amministrazione finanziaria.
L’onere probatorio si intende superato quando il contribuente, accortosi dell’errore, fornisce tempestivamente prova all’Ufficio della rilevanza dell’errore commesso, con riguardo ad entrambi i requisiti della sua essenzialità e obiettiva riconoscibilità.
Questo il principio espresso dalla Corte di cassazione con l’Ordinanza numero 14859 depositata il 7 giugno 2018.
- Dichiarazione emendabile se l’ufficio viene informato per tempo
- Ordinanza della Corte di Cassazione numero 14859 depositata il 7 giugno 2018
Il fatto – L’Agenzia delle entrate procedeva alla notifica di una cartella pagamento per il recupero di un credito IVA erroneamente richiesto a rimborso dal contribuente.
Questi proponeva ricorso, che veniva accolto sia in primo che in secondo grado, con conseguente annullamento della cartella di pagamento.
Secondo la CTR, l’erronea indicazione di un credito, richiesto a rimborso e poi riportato nella dichiarazione dell’anno successivo come credito in compensazione, costituisce violazione formale, che non incide sull’attività di controllo dell’Ufficio “che, anzi, informato della reale volontà del contribuente, si era indebitamente rifiutato di correggere l’errore, ritenendolo non formale.”
L’Amministrazione finanziaria ha impugnato la sentenza della CTR lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 54-bis del D.P.R. 633 del 1972 e dell’art. 2 del D.P.R. 322 del 1998.
A parere della ricorrente i giudici d’appello avevano tralasciato di considerare che la condotta del contribuente, che aveva prima chiesto a rimborso un credito e poi aveva compensato il medesimo credito nel periodo d’imposta successivo, “non integrava un errore formale, ma piuttosto una vera e propria manifestazione di volontà negoziale non ritrattabile se non con la presentazione della dichiarazione integrativa ai sensi dell’articolo 2 D.P.R. numero 322/1988, nel caso di specie mai presentata.”
I giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno ritenuto infondato il ricorso e lo hanno rigettato.
La decisione – Nel procedimento in esame la Corte è stata chiamata a decidere su una fattispecie in cui il contribuente ha compilato la dichiarazione ai fini Iva indicando a rimborso un credito maturato nel periodo d’imposta e poi ha riportato, nella dichiarazione relativa al periodo successivo, il medesimo credito in compensazione. L’Agenzia delle entrate ha ripreso a tassazione l’importo totale di tale credito recato come eccedenza mediante iscrizione a ruolo ed emissione della correlata cartella di pagamento.
La Corte, esprimendosi in passato su fattispecie analoghe, ha ritenuto di non poter riconoscere l’emendabilità illimitata della dichiarazione in merito ad un errore commesso dal contribuente affermando, in particolare, che “al suddetto principio faccia eccezione l’ipotesi in cui il legislatore abbia subordinato la concessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di volontà (od opzione) del contribuente, anche se da compiersi all’interno della stessa dichiarazione, mediante la compilazione di un modulo predisposto dall’erario (o altrimenti), poiché, a questi effetti, quella specifica parte della dichiarazione assume il diverso valore di atto negoziale, come tale irretrattabile anche in caso di errore, salvo che il contribuente dimostri che questo fosse conosciuto o conoscibile dall’amministrazione.”
Sono molteplici i casi in cui il contribuente è chiamato ad esprimere un’opzione in sede di compilazione della dichiarazione dei redditi che è espressione di manifestazione di una volontà negoziale. È il caso, ad esempio, dell’opzione per l’utilizzo in un determinato periodo d’imposta delle perdite verificatesi negli anni pregressi ai sensi dell’art. 102 del TUIR o della procedura di rideterminazione dei valori di acquisto di partecipazioni prevista ai sensi degli artt. 1 e 3 del D.Lgs. n. 466 del 1997.
In tutti questi casi, così come in quello di cui alla controversia in commento, il contribuente a cui l’amministrazione finanziaria ha contestato la violazione di legge, per far valere le proprie ragioni ha l’onere “di fornire la prova della rilevanza dell’errore, con riguardo ad entrambi i requisiti della sua essenzialità ed obiettiva riconoscibilità da parte dell’amministrazione finanziaria.”
Da tale principio deriva che, nel caso in cui il contribuente non fornisca adeguatamente tale prova “indispensabile affinché il vizio della volontà possa incidere, invalidandola, sulla dichiarazione negoziale”, la pretesa tributaria deve intendersi legittima.
Nel caso di specie i giudici d’appello hanno dato atto dell’errore del contribuente, che ha indicato nella dichiarazione del primo periodo d’imposta il rimborso del credito IVA e poi non ha predisposto, per il periodo successivo, il modello VR per ottenere detto rimborso.
A tutto ciò deve aggiungersi che il contribuente, una volta ricevuta comunicazione che l’Ufficio finanziario avrebbe proceduto alla ripresa a tassazione del credito indicato in compensazione l’anno successivo, ha presentato istanza di sgravio, disattesa dalla Parte pubblica.
Alla luce dei dati di fatto, pertanto, è innegabile che il contribuente avesse pienamente dimostrato all’Ufficio “l’essenzialità e la riconoscibilità” dell’errore, mettendo lo stesso in condizione di riconoscerlo. Da ciò si evince l’assenza di qualsivoglia intento evasivo o elusivo del contribuente che, al contrario, resosi conto dell’errore, aveva tempestivamente esternato la volontà di non attivarsi per ottenere il rimborso del credito indicato erroneamente in dichiarazione.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: La dichiarazione IVA è emendabile se l’Ufficio è informato (tempestivamente) dell’errore