I costi dell’auto per la tratta casa-lavoro del socio sono indeducibili per difetto d’inerenza: è onere del contribuente fornire prova concreta della destinazione del costo all'attività di impresa
I costi dell’auto rappresentano sempre un tema delicato in ambito di deducibilità fiscale e, soprattutto, di verifica dell’inerenza.
Il tema di inerenza è onere del contribuente fornire la prova della concreta destinazione del costo all’attività d’impresa, a tal fine non essendo sufficiente affermare che il bene acquistato sia normalmente necessario e strumentale all’attività d’impresa.
Pertanto, i costi per l’utilizzo dell’auto in proprio da parte del socio per le tratte casa-ufficio sono indeducibili dal reddito imponibile della società se manca la prova che l’utilizzazione del veicolo era in concreto ancorata a specifici e individuati interventi riferibili all’attività d’impresa.
Analizziamo oggi un caso pratico che prendiamo da una datata ma sempre attuale ordinanza della Corte di cassazione (n. 26551/2020).
Deducibilità costo auto aziendale del socio e prova d’inerenza
Il caso riguarda una società esercente attività di commercio di autoveicoli nuovi ed usati, a cui l’Agenzia delle entrate aveva notificato un avviso di accertamento per Iva, Ires ed Irap per l’anno 2005, con cui rideterminava il maggior reddito d’impresa e disconosceva costi perché ritenuti non inerenti.
La società ha impugnato l’atto impositivo e il ricorso, solo parzialmente accolto dalla CTP, è stato poi respinto dalla CTR a seguito dell’appello della società. Avverso la decisione di secondo grado la ricorrente ha proposto ricorso per cassazione lamentando, per quanto di interesse, violazione o falsa applicazione dell’art. 109, comma 5 del DPR 917/1986 in relazione all’indeducibilità̀ dei costi (pedaggio, telepass e viacard, e carburante) per veicoli aziendali. La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il motivo proposto dalla società e ha rigettato il ricorso.
Il principio dell’inerenza fiscale dei costi, al centro della controversia in commento, è recato all’art. 109 co. 5 del TUIR, laddove il Legislatore fiscale ha previsto che le spese e gli altri componenti negativi sono deducibili
“se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi”
In tema di inerenza la Corte di Cassazione continua a ritenere che il requisito per la deducibilità dei costi “attiene alla compatibilità, coerenza e correlazione degli stessi non ai ricavi in sé, bensì all’attività imprenditoriale svolta idonea a produrre redditi”.
La prova dell’inerenza dei costi quale atto d’impresa, ossia
“dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe poi sul contribuente in quanto soggetto gravato dell’onere di dimostrare l’imponibile maturato”
La circostanza che il bene acquistato sia normalmente necessario e strumentale all’attività di impresa non esonera il contribuente dalla prova dell’inerenza del relativo costo, bensì rende la prova semplificata, restando salva la possibilità dell’Amministrazione finanziaria di produrre
“l’esistenza di circostanze di fatto idonee, in concreto, ad inficiare gli elementi di fatto addotti dal contribuente”
I costi in questione riguardavano le spese (pedaggio, telepass e viacard, e carburante) relative all’utilizzo dell’automezzo da parte del socio, che l’amministrazione finanziaria ha contestato perché non inerenti all’attività d’impresa in quanto il mezzo era utilizzato per le tratte casa-ufficio da parte del socio, sprovvisto di altro mezzo.
Sulla base del principio elaborato dalla giurisprudenza di legittimità, la società avrebbe dovuto fornire idonea prova contraria alla contestazione dell’Ufficio, dimostrando che il socio si avvaleva di altri mezzi o modalità di spostamento oppure che l’utilizzazione del veicolo era in concreto ancorata a specifici e individuati interventi riferibili all’attività d’impresa.
Non essendo stata fornita alcuna prova a riguardo la Corte ha concluso per la legittimità della pretesa erariale, respingendo così il motivo addotto dalla società ricorrente.
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