I controlli fiscali sui venditori di auto

Gianfranco Antico - Dichiarazione dei redditi

Come funzionano i controlli fiscali sui venditori di auto?

I controlli fiscali sui venditori di auto

Il controllo del volume d’affari dei venditori d’auto si presenta particolarmente complesso – in un settore dove spesso la vendita dell’usato si affianca alla vendita del novo, o viceversa – e si esplica sostanzialmente attraverso l’esame degli eventuali documenti extracontabili rinvenuti.

Infatti, nella generalità dei casi, l’impianto accusatorio si fonda sulla documentazione acquisita in sede di accesso (brogliacci, prospetti indicanti i ricavi introitati dalle vendite, appunti in ordine alla contrattazione degli autoveicoli e alle movimentazioni finanziarie, fotocopia di titoli di credito emessi a favore dei fornitori degli automezzi, proposte di acquisto, etc), che induce i verificatori a ritenere, per esempio, che la ditta verificata non abbia mai operato in “conto deposito” bensì in “conto proprio”, e conseguentemente, tutte le autovetture usate, acquistate dalla verificata e dalla stessa indicate quale conto deposito vengono ricondotte nell’alveo del conto proprio.

Verifichiamo, quindi, il settore e modalità di ricostruzione del volume di affari.

I controlli fiscali sui venditori di auto: quadro generale

Il sistema adottato per il collocamento sul mercato nazionale di autoveicoli usati avviene sia tramite i concessionari di auto nuove sia attraverso soggetti che svolgono esclusivamente tale attività.

Il mondo dell’usato oggi ha subito un notevole incremento, rubando spazi di mercato al nuovo, anche in considerazione del fatto che gli stessi concessionari di auto nuove, parallelamente, gestiscono la vendita di autovetture non nuove, più che usate (si tratta, infatti, spesso di autovetture con poche migliaia di chilometri di percorrenza).

Nel caso di vendita di autoveicoli da parte dei concessionari, in alcuni casi l’autovettura usata viene ritirata “in conto vendita”, in altri casi “in conto prezzo” della nuova automobile acquistata, con procura a vendere.

La politica dei prezzi – oggetto di attenzione da parte dei verificatori – dipende da tutta una serie di elementi, esaminati dall’Amministrazione finanziaria nella circolare n. 121/2000, secondo cui:

“è necessario anche valutare, in fase di applicazione, lo sconto medio praticato al cliente rispetto ai listini nonché l’effetto delle diverse politiche commerciali adottate dalle varie case automobilistiche nel corso dell’anno, ad esempio, con offerte promozionali e campagne pubblicitarie di particolare efficacia che influenzano l’andamento delle vendite e giustificano diversificazioni nella capacità di produrre ricavi da parte di concessionarie di marchi diversi (si confronti anche l’apposita metodologia di controllo – circolare n. 117/1998 –, utile per la ricostruzione indiretta del volume d’affari).”

Il controllo si incentra sugli aspetti fondamentali della gestione e sulle eventuali irregolarità sostanziali.

Controlli sostanziali
Vendita di autoveicoli nuovi il riscontro del numero di autoveicoli venduti viene effettuato sulla base delle relative fatture di acquisto recanti il numero identificativo di telaio di ciascun autoveicolo. Il prezzo di vendita è normalmente consigliato dalla stessa casa costruttrice e la misura dello sconto che viene riconosciuto al cliente tiene conto delle modalità di pagamento e dell’eventuale ritiro dell’usato
Vendita di autoveicoli usati è la parte di attività che può nascondere la vera entità dei corrispettivi mediante la sottofatturazione. Il metodo più adottato è quello della “procura a vendere”. Raramente, infatti, il commerciante acquista l’autoveicolo usato che sarà oggetto della successiva rivendita
Vendita di autoveicoli usati da parte di concessionari se l’autovettura usata è stata ritirata “in conto vendita”, a vendita avvenuta spetta al concessionario una provvigione preventivamente pattuita oltre al pagamento da parte del cliente di tutte le spese sostenute per il ricondizionamento dell’auto. Se l’autovettura è stata ritirata “in conto prezzo” dell’autovettura nuova acquistata, tenuto conto che nel contratto di vendita dell’autovettura nuova la concessionaria si è impegnata a non richiedere al cliente l’eventuale differenza incassata in meno rispetto alla valutazione fatta in sede di ritiro, sovente si contabilizzano perdite che vanno ad incidere sul conto economico dell’impresa. L’auto usata viene ritirata e valutata generalmente sulla scorta di quanto riportato in riviste specializzate (Quattroruote, Euro tax, etc.). La perdita sopportata per la cessione dell’auto usata ad un corrispettivo inferiore a quello riconosciuto al cliente in detrazione dal prezzo del “nuovo” non dovrebbe essere generalmente tale da ridurre l’utile lordo che il concessionario mediamente consegue dalla vendita delle vetture nuove operata senza il ritiro dell’usato
Vendita di autoveicoli usati da parte di soggetti che operano esclusivamente nel settore dell’usato raramente il commerciante dell’usato, ed in particolare l’imprenditore individuale, provvede ad intestarsi l’autoveicolo acquistato per la successiva vendita; il ritiro della vetture è pertanto effettuato in “conto vendita” specialmente se il cedente non è un soggetto IVA. Ciò comporta la possibilità che vengano contabilizzate provvigioni d’importo complessivamente inferiori all’utile effettivamente realizzato dalla compravendita

Il pensiero della Corte di Cassazione

Se è normale che il finanziamento per l’acquisto dell’auto sia pari al prezzo di vendita, ovvero inferiore, qualche ragionevole dubbio fiscale sorge nel momento in cui il finanziamento è superiore al prezzo indicato in fattura (l’auto o la moto viene acquistata e fatturata per 25.000 euro e il finanziamento è di 35.000 euro).

In questi casi, in presenza di una serie di indizi, la differenza viene ripresa a tassazione quale maggior ricavo non contabilizzato.

Presentiamo, quindi, una serie di pronunce, che rispondono alle domande che spesso si fanno i verificatori.

Con l’ordinanza n. 5725/2012 la Corte di Cassazione ha accolto la tesi dell’Amministrazione finanziaria in materia di sottofatturazione di merce a rate. La controversia promossa da una società esercente la vendita di moto contro l’Agenzia delle Entrate è stata oggetto di decisione sfavorevole all’A.F. in secondo grado, che ha rigettato l’appello proposto dalla Agenzia contro la sentenza della CTP, che aveva accolto il ricorso della società avverso l’avviso di accertamento per l’anno 1998. Per le Entrate la CTR avrebbe omesso di considerare gli elementi di fatto che palesavano la sistematica sottofatturazione da parte della società, quali la mancanza di registrazione nei registri propri della società delle battiture di scontrini fiscali equivalenti agli importi delle differenze non fatturate rispetto ai contratti di finanziamento, nonché l’assenza nel registro delle fatture ed in quello dei corrispettivi di fatture attive relative alle differenze indicate.

La Corte ha ritenuto fondata la censura avanzata, atteso che:

“nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, è riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, relativamente ai fatti sopraenunciati.”

Con la sentenza n. 19432/2015, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo l’accertamento fondato sulla riscontrata differenza tra il minore importo del prezzo di vendita fatturato ed il maggiore importo del finanziamento richiesto dai clienti per l’acquisto del medesimo veicolo (le pretese fiscali risultavano supportate dalla prova del maggiore prezzo di vendita rispetto a quello fatturato ai clienti, come emergeva dalle risposte fomite da quest’ultimi ai questionari inviati dall’Ufficio finanziario).

Osserva la Corte che i generici riferimenti da cui emergeva che solo in un numero minore di casi il prezzo fatturato fosse inferiore all’importo finanziato, non appaiono dirimenti ad escludere le difformità, tra i prezzi di vendita e gli importi finanziati, riscontrate dalla CTR in relazione alle operazioni commerciali contestate e dunque:

“inidonei ad inficiare l’argomento presuntivo per cui il prezzo di vendita di un veicolo fatturato per un importo inferiore a quello richiesto dal cliente per ottenere un finanziamento finalizzato al predetto acquisto, costituisce indizio dotato dei requisiti idonei ad integrare, la prova presuntiva di una sottofatturazione (corrispettivo in nero), tanto più se considerato globalmente con l’intero complesso indiziario (risposte ai questionari fomite dai clienti)”

Concludono i massimi giudici, osservando come la CTR abbia attribuito efficacia probatoria a determinati indizi addotti dalla Amministrazione finanziaria, facendo corretta applicazione della regola del riparto che:

“in caso di pretese aventi ad oggetto una maggiore imposta rispetto a quella dichiarata e versata dal contribuente, e fondate sulla esistenza di ulteriori ricavi occulti, pone a carico della parte che vanta il credito, nella specie l’Ufficio finanziario, di fornire la prova dei relativi fatti costitutivi. La valutazione di sufficienza probatoria non concerne pertanto l’applicazione della regola stabilita dall’art. 2697c.c., ma, ancora una volta, l’attività di rilevazione dei fatti allegati e dimostrati e di ricostruzione della fattispecie concreta, censurabile in sede di legittimità esclusivamente sotto il profilo del vizio motivazionale”

Con l’ordinanza n. 10660/2018, gli Ermellini hanno legittimato l’accertamento induttivo, in presenza di una gestione antieconomica, caratterizzata da bilanci in costante perdita, dove l’Amministrazione finanziaria ha ricostruito i ricavi dichiarati attraverso le differenze riscontrate tra i prezzi di cessione delle vetture e quelli “normali” di mercato, attraverso l’impiego di riviste specializzate del settore.

Con la sentenza n. 17627/2018, la Corte di Cassazione ha esaminato il peso della documentazione extracontabile, in ordine ad una rettifica operata proprio nei confronti di un commerciante di auto usate. Il dato certo erano le risposte ricevute dall’Ufficio ai questionari inviati ai clienti, dai quali emergeva la sottofatturazione dei ricavi. Per gli Ermellini, la

“Commissione regionale ha errato nel ritenere che le risposte scritte dei clienti al questionario loro inviato dalla Agenzia delle entrate non fossero utilizzabili in sede processuale, per il divieto della prova testimoniale che caratterizza il processo tributario. Peraltro, la motivazione della sentenza della Commissione regionale si rileva insufficiente, non avendo provveduto a valutare tutto il materiale probatorio fornito dalle parti, e quindi sia le dichiarazioni scritte provenienti dai clienti della società e la documentazione anche di natura extracontabile rinvenuta, per valutare se gli indizi così ricostruiti fornissero la prova della pretesa evasione, sia le certificazioni del PRA (pubblico registro automobilistico), per accertare se la società si sia limitata o meno ad una mera attività di intermediazione nella vendita.”

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