Le novità sul contratto a tempo determinato sono tra le misure più importanti contenute nel Decreto Dignità. Tra durata, rinnovi e causali, vediamo cosa cambia sia per i lavoratori che per le imprese.
Con le nuove regole su durata e rinnovi è il contratto a tempo determinato la vera novità introdotta dal Decreto Dignità.
Oltre a reintrodurre l’obbligo di causale nel caso di contratti a termine di durata superiore a 12 mesi, il Decreto che mira a contrastare il precariato aumenta il costo contributivo per l’impresa per tutti i rinnovi successivi al secondo.
Quello che Luigi Di Maio, il Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, saluta come uno dei primi passi per “smantellare il Jobs Act” e contrastare l’abuso di un contratto che svantaggia i lavoratori, è invece fortemente criticato dalle imprese che considerano le novità introdotte come un pericoloso passo indietro nel tempo.
Cosa cambia per lavoratori e imprese? Facciamo il punto delle novità introdotte dal Decreto Dignità e quali sono i nuovi limiti e le regole sui contratti a tempo determinato.
Contratto a tempo determinato: cosa cambia e quali novità
Restyling ai limiti di durata e rinnovi nonché reintroduzione della causale e aumento del costo per le imprese: possono essere sintetizzate così le novità introdotte con il Decreto Dignità in merito ai contratti a tempo determinato.
Spiegare cosa cambia è fondamentale sia per i lavoratori che per le aziende, anche alla luce delle polemiche e delle reazioni tutt’altro che entusiaste.
In primo luogo, tra le novità introdotte vi è la durata dei contratti a termine che, a partire dalla data di entrata in vigore del Decreto Dignità, passerà da 36 a 24 mesi. In sostanza, un contratto a tempo determinato potrà durare per un massimo di due anni.
Direttamente collegato ai nuovi termini vi è, inoltre, la regole introdotta in merito ai rinnovi, che passano da 5 a 4 sempre nel rispetto dei 24 mesi di durata.
Ancora, con il primo provvedimento economico del Governo Conte, viene reintrodotto l’obbligo di indicare la causale nel caso di contratti a tempo determinato di durata superiore a 12 mesi. In pratica, il primo contratto, se inferiore all’anno, potrà essere stipulato in forma libera mentre il rinnovo sarà ammesso soltanto previa indicazione dei motivi alla base della necessità di prorogare il rapporto a termine.
I rinnovi saranno ammessi in presenza delle seguenti necessità:
- temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività del datore di lavoro, nonché sostitutive;
- connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria;
- relative a lavorazioni e a picchi di attività stagionali, individuati con decreto del Ministero del Lavoro delle politiche Sociali.
Quanto costerà il rinnovo dei contratti a termine per le imprese
Per disincentivare il ricorso a contratti a tempo determinato il Decreto Dignità non ha cambiato soltanto termini, durata e regole sui rinnovi.
Tra le novità vi è l’aumento del costo contributivo che l’impresa dovrà pagare, che sale dello 0,5% per ogni rinnovo a partire dal secondo. Una vera e propria batosta per le aziende che rischia di ripercuotesi negativamente anche nei confronti dei lavoratori.
Chi dice che le nuove regole introdotte dal Decreto Dignità faranno crescere il numero di contratti a tempo indeterminato? I limiti introdotti finiranno col far diminuire il fenomeno del precariato o alimenteranno il fenomeno del “ricambio” dei lavoratori in azienda?
Come sottolineato dalla Cgil, il primo tra i sindacati che si è scagliato contro il Jobs Act del Governo Renzi,
“appare evidente come tale aggravio, cioè l’aumento dello 0,5% del contributo Naspi della legge 92/12, rischi di essere ragione per la quale le imprese possano decidere di non rinnovare alla scadenza dei 12 mesi, procedendo ad alimentare il turn over attraverso plurimi contratti a tempo determinato di 12 mesi”.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Contratto a tempo determinato: durata, rinnovi e causali. Cosa cambia con il Decreto Dignità