Come sono ripartiti gli oneri probatori in caso di contestazione, da parte dell'Amministrazione finanziaria, dell'inesistenza oggettiva delle operazioni riportate nelle fatture passive? La risposta dalla Corte di Cassazione
In caso di contestazione di operazioni oggettivamente inesistenti, l’Ufficio è tenuto a provare che l’operazione documentata dalla fattura non è stata in realtà mai posta in essere, indicando gli elementi presuntivi o indiziari sui quali fonda la contestazione
È onere del contribuente, invece, dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.
Questo il contenuto dell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 32379/2023 sul tema del corretto riparto dell’onere probatorio nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria contesti l’inesistenza oggettiva delle operazioni riportate nelle fatture passive.
Operazioni oggettivamente inesistenti: all’Ufficio la prova e al contribuente la controprova, un caso concreto
Il procedimento attiene a una causa relativa all’impugnazione di un avviso di accertamento per imposte dirette avente ad oggetto il disconoscimento di costi per mancanza dei requisiti di certezza e determinabilità di cui all’articolo 109 del TUIR.
L’accertamento nei confronti della società ricorrente era scaturito da un controllo effettuato dalla Guardia di Finanza nei confronti di un imprenditore individuale, risultato essere evasore totale, al quale aveva fatto seguito l’effettuazione di riscontri incrociati con le imprese sue clienti, fra le quali la società ricorrente.
Essendo emerso che le fatture emesse erano tutte relative a operazioni oggettivamente inesistenti, è seguita la contestazione fondata sulla carenza dei requisiti per la deducibilità del costo, a fronte della quale il contribuente non aveva superato l’onere della prova circa la legittimità e la correttezza delle deduzioni, da offrire mediante l’esibizione dei documenti contabili.
Il ricorso è stato respinto dalla CTP ma il successivo appello del contribuente è stato accolto dalla CTR. Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando l’erroneità della sentenza della CTR, per non avere il giudice di merito valutato il nutrito materiale probatorio offerto dall’ente verificatore a sostegno della pretesa impositiva.
La censura ha messo in luce, in particolare, le diverse anomalie emerse in relazione alle operazioni, quali:
- l’indicazione di una sede presso la quale l’impresa individuale emittente le fatture non aveva mai stabilito il proprio esercizio;
- l’impiego, da parte della stessa, di un timbro relativo ad altra impresa, con diversa ragione sociale e risultata cessata ben prima dell’emissione dei documenti; la ripetizione del numero progressivo nelle fatture dello stesso anno;
- l’inidoneità intrinseca dell’impresa, per la forza lavorativa effettiva della quale disponeva, all’esecuzione delle prestazioni di servizio corrispondenti all’importo fatturato;
- il fatto che buona parte dei mezzi dell’impresa fossero stati posti, per il periodo interessato dalle fatture, in stato di fermo amministrativo;
- l’assoluta carenza di riscontri idonei a dimostrare l’effettiva corresponsione degli importi fatturati.
La Suprema Corte ha ritenendo fondato il motivo di doglianza, ha accolto il ricorso e cassato con rinvio la sentenza impugnata.
Operazioni oggettivamente inesistenti: il corretto riparto dell’onere probatorio
La controversia ruota attorno al tema del corretto riparto dell’onere probatorio nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria contesti l’inesistenza oggettiva delle operazioni riportate nelle fatture passive, nonché dell’individuazione degli elementi indiziari sui quali tale pretesa può essere basata.
La Corte di Cassazione ricorda in primo luogo che la fattura costituisce, di regola, titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’IVA e alla deducibilità dei costi.
Spetta pertanto all’Ufficio dimostrare il difetto delle condizioni per l’insorgenza di tale diritto, anche attraverso presunzioni semplici, che costituiscono prove complete, alle quali il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento.
Con specifico riferimento all’ipotesi nella quale l’inesistenza di operazioni sia assunta a presupposto della deducibilità dei relativi costi e di detraibilità della relativa imposta, la Corte di legittimità ha affermato che l’Ufficio è tenuto a provare che l’operazione documentata dalla fattura non è stata in realtà mai posta in essere, indicando gli elementi presuntivi o indiziari sui quali fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia.
La dimostrazione a carico dell’Amministrazione finanziaria è raggiunta qualora siano forniti elementi idonei ad affermare che le fatture sono state emesse per operazioni fittizie, ovvero che dimostrino in modo certo e diretto l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati, ovvero l’inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione.
Spetta di conseguenza al giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione finanziaria, estrinsecando in motivazione i risultati del proprio giudizio.
Qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, a tanto onerato dall’art. 2697, comma 2, del codice civile.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Operazioni oggettivamente inesistenti: all’Ufficio la prova e al contribuente la controprova