Che vuol dire compliance? La domanda, che riguarda un testo dell'Agenzia delle Entrate, arriva all'Accademia della Crusca e apre una riflessione più ampia: i tecnicismi, soprattutto se in lingua straniera, sono da evitare nei documenti rivolti a tutti. Tra Fisco e cittadini esiste una barriera linguistica da non sottovalutare.
Che vuol dire compliance? I cittadini si rivolgono all’Accademia della Crusca per comprendere appieno le richieste e le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate.
L’istituzione, punto di riferimento per la lingua italiana, nella consulenza linguistica del 30 luglio 2021 si è soffermata sull’utilizzo di questo termine che arriva dall’Inghilterra, ma che ha le sue radici più antiche nel latino, su richiesta dei contribuenti.
L’origine più vicina nel tempo è il verbo “to comply” che vuol dire eseguire, conformare e compliance ha varie sfumature: il significato di adesione o conformità è quello più diffuso nei linguaggi specialistici, con accezioni diverse.
Che vuol dire compliance? Cittadini e Fisco parlano due lingue diverse: Crusca VS Entrate
Facendo riferimento alle parole del professore Massimo Balducci, esperto sul tema, l’Accademia della Crusca ha chiarito che l’Agenzia delle Entrate utilizza il termine compliance per definire “gli inviti bonari a controdedurre in via non contenziosa ad eventuali infrazioni evidenziate dall’Agenzia stessa o a pagare il dovuto con sanzioni ridotte”.
Per dirlo in parole semplicissime, per l’Amministrazione finanziaria la compliance indica la possibilità di venirsi incontro.
Si tratta, quindi, di un significato diverso dalla traduzione letterale della parola inglese che pure trova ormai spazio nella lingua economica e nei vocabolari italiani da decenni: conformità a regole definite.
Di certo, la lingua è in continua evoluzione. E infatti il termine inglese non solo è entrato a far parte dell’italiano ma conquista via via, anche nello stesso ambito, più di una accezione, come dimostra l’uso che ne fa l’Agenzia delle Entrate.
L’esempio della compliance, però, rappresenta in maniera chiara la distanza linguistica che divide Fisco e cittadini e spinge a una riflessione più ampia.
L’Accademia della Crusca non boccia l’utilizzo della parola in sé, che esiste in diversi linguaggi specialistici, ma ricorda una regola importante:
“L’impiego di tecnicismi in lingua straniera è certamente sconsigliabile, come osservano i nostri lettori, quando si tratta di testi rivolti a tutti i cittadini, per es. nella comunicazione ufficiale e istituzionale di governo, enti, istituzioni e amministrazioni, che dovrebbe sforzarsi, per quanto è possibile, di essere trasparente e comprensibile, senza spingersi troppo nei meandri del lessico specialistico, peraltro in inglese, che rischia di restare oscuro e iniziatico. Un altro esempio recente: il rimborso del governo, il cashback, introdotto a dicembre 2020, è collegato a una App(licazione) che ricorre ad anglicismi oscuri ai più: onbording, brand, renaming, form ecc”.
La barriera linguistica tra cittadini e Fisco va contro lo Statuto dei contribuenti
Il punto, quindi, non è se l’Agenzia delle Entrate possa o non possa utilizzare un determinato termine, ma se sia giusto farlo.
Nel libro Guida all’uso delle parole, il linguista ed ex Ministro dell’Istruzione Tullio De Mauro scrive:
Come dice un vecchio adagio tedesco, “in fatto di lingua Kant cammina insieme alla vecchia contadina della Pomerania”. Il più semplice, il meno istruito degli abitanti d’una regione agricola tedesca e il più grande filosofo dell’epoca moderna possono trovare nelle parole e con le parole un comune terreno d’intesa, i materiali per costruire un discorso comune.
Se la lingua offre gli strumenti per mettere in comunicazione due mondi diametralmente opposti, allora un dialogo diretto, chiaro, trasparente è possibile e necessario anche tra Fisco e contribuenti.
La teoria, però, è diversa dalla pratica. E attualmente tra i due fronti esiste una barriera linguistica fatta di più livelli, almeno due.
Il primo è dato dalla formulazione delle norme fiscali, spesso poco chiare, contorte e con un linguaggio tra il tecnico e il sibillino. A dimostrarlo sono le 643 risposte all’interpello pubblicate dall’Agenzia delle Entrate nel corso del 2020 e le 526 dei primi 8 mesi del 2021: se la lettura dei testi fosse agevole, non sarebbero necessari tanti chiarimenti puntuali.
D’altronde lo stesso Ufficio per il Programma di Governo nel nuovo metodo operativo adottato a metà giugno 2021 per accelerare l’adozione dei decreti attuativi segnalava, non solo sul fronte fiscale, problemi interpretativi e applicativi che derivano dalla scrittura dei testi normativi e possono arrivare a impedire l’approvazione dei relativi provvedimenti. In altre parole, la complessità spesso mette in difficoltà le stesse Amministrazioni.
Il secondo livello della barriera linguistica è dato dallo stile e dal linguaggio che contraddistinguono la comunicazione istituzionale e che cambiano troppo poco quando ci si rivolge all’esterno, sotto la lente di ingrandimento in questo caso c’è l’Agenzia delle Entrate, ma la questione riguarda buona parte degli Enti e delle Amministrazioni.
Documenti chiari e immediatamente fruibili anche dalla contadina della Pomerania citata da Tullio De Mauro, che ha lo stesso diritto di sapere di Kant, sono una rara eccezione. Il flusso di informazioni sul Fisco è perlopiù difficile da decifrare e lontano dal linguaggio comune.
E non si tratta semplicemente di forma: la barriera comunicativa è sostanza, se impedisce o rende più difficile la piena comprensione di diritti e doveri.
D’altronde lo stesso Statuto dei Contribuenti, all’articolo 5, stabilisce che “l’amministrazione finanziaria deve assumere idonee iniziative volte a consentire la completa e agevole conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative vigenti in materia tributaria”. La regola c’è, ma troppo spesso viene dimenticata.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Che vuol dire compliance? Cittadini e Fisco parlano due lingue diverse: Crusca VS Entrate