IRAP sempre dovuta se lo statuto dell'associazione professionale prevede la clausola per cui i compensi sono imputati all'associazione, compresi quelli che derivano dagli incarichi di consigliere d'amministrazione, di sindaco o revisore. A stabilirlo la Corte di Cassazione con l'Ordinanza numero 9597 del 25 maggio 2020.
Se lo statuto dell’associazione professionale prevede l’apposita clausola per cui tutti i compensi sono imputati all’associazione, compresi quelli derivanti dagli incarichi di consigliere d’amministrazione, di sindaco o revisore, è sempre dovuta l’IRAP.
Spetta al professionista richiedente il rimborso dimostrare di aver esercitato dette attività senza fruire dei benefici organizzativi derivanti dall’appartenenza all’associazione professionale.
Sono queste le precisazioni contenute nell’Ordinanza della corte di cassazione numero 9597 del 25 maggio 2020.
- Corte di Cassazione - Ordinanza numero 9597 del 25 maggio 2020
- I compensi per l’attività di sindaco sono soggetti ad Irap se lo prevede lo statuto dello studio.
La decisione – La controversia trae origine dal contenzioso instaurato da un avvocato, associato in uno studio professionale, avverso il diniego al rimborso dell’IRAP opposto dall’Agenzia delle Entrate.
La CTR ha rigettato l’appello dell’Ufficio, riconoscendo il diritto al rimborso del contribuente perché i compensi percepiti dall’avvocato associato per l’attività di sindaco e revisore espletata in favore di società ed enti non potevano essere soggetti ad IRAP, perché “riconducibili a reddito derivato in via esclusiva dall’attività del singolo professionista”.
L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3 comma 1, lett. c) e 8 co. 1, d. Igs. 446/1997, nonché art. 50, co. 1, lett. c-bis) d.P.R. 917/1986, per non avere la CTR ritenuto tutti i compensi percepiti dal contribuente quali redditi attribuibili in via esclusiva allo studio associato e, quindi, soggetti a IRAP.
L’Ufficio, infatti, aveva rilevato che lo Statuto dell’associazione professionale prevedeva una specifica clausola per cui erano imputati all’associazione tutti i proventi degli associati, compresi gli eventuali compensi “derivanti dagli incarichi di consigliere d’amministrazione, di sindaco o revisore di società e/o enti ricoperti dai singoli associati”.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’Amministrazione e cassato con rinvio la sentenza impugnata.
È principio oramai consolidato che, in materia di Irap, in ipotesi di studio associato ricorrono ex se i presupposti per l’applicazione dell’Irap, senza che occorra accertare in concreto la sussistenza di un’autonoma organizzazione, essendo questa implicita nella forma di esercizio dell’attività.
Con specifico riferimento all’attività di sindaco e componente di organi di amministrazione e controllo di enti, il professionista che voglia opporsi all’imposizione ha facoltà di dimostrare che l’attività è esercitata in modo individuale e separato rispetto allo studio associato.
A proposito la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che “il professionista, il quale sia inserito in uno studio associato, sebbene svolga anche una distinta e separata attività professionale, diversa da quella espletata in forma associata, ha l’onere di dimostrare, al fine di sottrarsi all’applicazione dell’imposta, la mancanza di autonoma organizzazione, ossia di non fruire dei benefici organizzativi recati dalla sua adesione alla detta associazione che, proprio in ragione della sua forma collettiva, normalmente fa conseguire agli aderenti vantaggi organizzativi e incrementativi della ricchezza prodotta quali, ad esempio, le sostituzioni in attività - materiali e professionali - da parte di colleghi di studio, l’utilizzazione di una segreteria o di locali di lavoro comuni, la possibilità di conferenze e colloqui professionali o altre attività allargate, l’utilizzazione di servizi collettivi e quant’altro caratterizzi l’attività svolta in associazione professionale”.
Ai fini probatori è rilevante, come nel caso di specie, la presenza della espressa clausola statutaria dell’associazione, che imputa all’associazione tutti i ricavi, anche quelli derivanti dagli incarichi di consigliere d’amministrazione di sindaco o revisore, conseguiti dai soci.
Pertanto i compensi, conseguiti in base alle fatture emesse per le attività di sindaco e revisore da parte dell’associato, non possono essere attribuiti in via esclusiva al professionista ma devono essere imputati all’associazione in base alle regole sociali.
D’altro canto il professionista richiedente il rimborso non è riuscito a dimostrare di aver esercitato dette attività, senza fruire dei benefici organizzativi derivanti dall’appartenenza all’associazione professionale.
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