Anche nel caso di accessi brevi occorre rispettare il termine di 60 giorni sancito dallo statuto dei diritti del contribuente, non essendovi alcuna differenza tra tributi interni o armonizzati. Ecco le ultime novità dalla Corte di Cassazione.
In caso di controllo fiscale eseguito a seguito di accesso, sia pur breve, presso la sede della società contribuente, si applica il termine dilatorio di 60 giorni per l’emissione dell’avviso di accertamento, per qualsiasi tributo accertato, armonizzato o interno che sia.
Non costituisce deroga a tale principio la circostanza che il rispetto del termine avrebbe comportato la decadenza della pretesa tributaria, perché si tratta di circostanza oggettivamente prevedibile e rimessa all’organizzazione dell’ufficio accertatore.
È questo l’articolato principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione nell’Ordinanza numero 474/2020.
- Avviso di accertamento illegittimo anche nel caso di «accessi brevi»
- Testo integrale dell’Ordinanza della Corte di Cassazione numero 470 del 14 gennaio 2020
La decisione – L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR, di rigetto dell’appello proposto avverso una decisione della CTP, che aveva accolto il ricorso di una società avverso un avviso accertamento ai fini imposte dirette ed IVA.
A parere dei giudici di merito di entrambi i giudizi l’Ufficio non avrebbe rispettato il termine dilatorio di 60 giorni prima di emettere l’avviso di accertamento impugnato, “termine che sarebbe dovuto decorrere dalla data di notifica del processo verbale di constatazione per accesso breve”.
L’Agenzia ha lamentato violazione e falsa applicazione dell’art. 12 comma 7 della legge n. 212 del 2000, applicabile solo per gli avvisi di accertamento emanati a seguito di pvc conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche nei locali destinati all’esercizio dell’attività.
Nel caso in esame, invece, si era trattato solo di un accesso breve, successivo a una verifica generale conclusa però senza alcun esito, e se l’Ufficio avesse rispettato il termine dilatorio sarebbe decaduto dalla pretesa tributaria.
Inoltre, con riferimento ai tributi armonizzati come l’IVA, la CTR avrebbe dovuto verificare se la censura relativa al mancato rispetto del termine di cui all’articolo 12 comma 7 citato era da ritenersi meramente formale ovvero sostanziale.
I giudici di legittimità hanno ritenuto infondati i motivi e rigettato il ricorso presentato dall’Erario.
Nel caso di specie, infatti, si è trattato di un controllo fiscale eseguito a seguito di accesso, sia pur breve, presso la sede della società contribuente
“con conseguente applicabilità della garanzia sopra descritta, non potendo costituire una valida deroga al rispetto del termine dilatorio in questione la circostanza che il rispetto del medesimo avrebbe comportato la decadenza della pretesa tributaria, potendosi al riguardo obiettare che trattavasi di circostanza oggettivamente prevedibile e rimessa all’organizzazione dell’ufficio accertatore.”
Altrettanto infondato è il motivo per cui, con riferimento all’IVA doveva essere verificato in concreto l’impatto della violazione sull’esito dell’accertamento (la cd. “prova della resistenza” affermata dalla sentenza Cass. SS.UU. n. 24823 del 2015).
La Corte di cassazione ritiene, infatti, che l’articolo 12 comma 7 della legge numero 212 del 2000, nel caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, abbia operato una valutazione ex ante circa il rispetto del contraddittorio, attraverso la previsione di nullità dell’atto impositivo per mancato rispetto del termine dilatorio, principio che vale anche per i tributi armonizzati, qual è l’IVA.
Nella fattispecie, l’Amministrazione finanziaria avrebbe dovuto quindi rispettare per tutti i tributi accertati il termine dilatorio di giorni 60 previsto dalla norma di cui sopra.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Illegittimo l’avviso di accertamento anticipato anche nel caso di accessi brevi