La Cassazione ha recentemente fornito importanti chiarimenti in materia di autotutela tributaria in “malam partem”, sottolineando le differenze con l'accertamento integrativo

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 30051/2024, si è espressa in tema di rapporto tra autotutela tributaria in malam partem, anche alla luce della più recente disciplina, e accertamento integrativo.
La pronuncia è molto articolata, ma, per quanto di interesse, i profili specificamente devoluti alle Sezioni Unite investivano i seguenti aspetti:
- se l’esercizio del potere di autotutela tributaria presupponga l’esistenza di soli vizi formali nell’atto impositivo e non anche vizi a carattere sostanziale, e, di conseguenza, se sia diretto alla tutela dell’interesse individuale del contribuente, con esclusione quindi del potere dell’Amministrazione finanziaria di annullamento in malam partem, o sia finalizzato invece sempre alla tutela dell’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi, con dunque come unici limiti quelli della decadenza dei termini accertativi e del giudicato;
- se l’esercizio del potere di autotutela tributaria, correlato alla sussistenza di vizi sostanziali (e non solo formali), sia riconducibile ad un vero e proprio accertamento, che, quanto meno limitatamente al maggior imponibile accertato, costituisca un accertamento integrativo e configuri pertanto una deroga al principio dell’unicità dell’accertamento, tenuto conto comunque della diversità strutturale e funzionale del potere di autotutela rispetto al potere di accertamento integrativo.
Autotutela tributaria in malam partem: natura e limiti
In estrema sintesi, le Sezioni Unite, dopo aver delineato il quadro normativo vigente e la sua pregressa evoluzione, hanno confermato l’orientamento, prevalente, della Suprema Corte in merito alla natura e all’esercizio del potere di autotutela, attestato sui seguenti capisaldi:
- il potere di autotutela ha carattere generale e può essere legittimamente esercitato sino a che non sia decorso il termine di decadenza per l’accertamento, o non si sia formato il giudicato sull’atto;
- costituisce un potere-dovere dell’Amministrazione finanziaria, la quale è onerata, in virtù del principio di perennità, a sostituire l’atto viziato;
- il potere permane e non si consuma anche dopo il suo (primo) esercizio e può essere sempre rinnovato;
- può essere esercitato per rimuovere non solo vizi formali, ma anche per emendare vizi sostanziali, trovando il suo fondamento nell’interesse pubblico a reperire le entrate fiscali legalmente accertate;
- è legittimo l’esercizio in malam partem e può essere annullato anche un atto favorevole al contribuente, con emissione in sostituzione di un nuovo atto con effetti a lui pregiudizievoli, anche sulla base di una diversa e più approfondita valutazione di quelli già in possesso dell’ufficio, senza che, a differenza dell’accertamento integrativo ex artt. 43 D.P.R. n. 600/1973 e 57 D.P.R. n. 633/1972, sia necessaria la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.
In definitiva, affermano le Sezioni Unite, il potere di autotutela costituisce una prerogativa che si giustifica in quanto connaturata al compito istituzionale di perseguire la miglior cura dell’interesse pubblico affidato, laddove l’autotutela tributaria si colloca nell’alveo di un’articolata cornice di principi costituzionali (art. 53 Cost., art. 2 Cost. art. 23 Cost., art. 97 Cost.), da cui discende il cd. principio di perennità: il potere dell’Amministrazione persiste cioè anche dopo esser stato esercitato e assolve all’esigenza di assicurare la continua e puntuale aderenza dell’azione amministrativa all’interesse pubblico, nella specie costituito dall’interesse a reperire le entrate fiscali (legittime).
Il solo limite a tale potere consiste dunque nell’avvenuta decadenza del potere di accertamento.
E questo vale anche dopo il D.Lgs. n. 219 del 2023, che ha abrogato l’art. 2-quater e il D.M. n. 37/1997 e modificato l’art. 13 L. n. 212/2000.
Come noto, infatti, il 3 gennaio 2024 è stato pubblicato il D.Lgs n. 219/2023, in vigore a decorrere dal 18 gennaio 2024.
Due tipologie di autotutela: obbligatoria e facoltativa
Tale decreto modifica la Legge n. 212/2000, introducendo due distinte forme di autotutela: quella obbligatoria (art. 10-quater) e quella facoltativa (art. 10-quinquies).
Secondo l’art. 10-quater della L. n. 212/2000, l’Amministrazione finanziaria provvede in tutto o in parte all’annullamento degli atti di imposizione ovvero alla rinuncia all’imposizione senza che il contribuente proponga l’apposita istanza, “anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi”.
La procedura è attivata comunque soltanto nei “casi di manifesta illegittimità dell’atto o dell’imposizione” riferiti a:
- errore di persona;
- errore di calcolo;
- errore sull’individuazione del tributo;
- errore materiale del contribuente, facilmente riconoscibile dall’amministrazione finanziaria;
- errore sul presupposto dell’imposta;
- mancata considerazione di pagamenti di imposte regolarmente eseguiti;
- mancanza di documentazione successivamente sanata, non oltre i termini previsti a pena di decadenza.
La nuova elencazione appare più ristretta rispetto a quella del D.M n. 37/97, non contemplando ad esempio l’errore logico, la doppia imposizione e la sussistenza dei requisiti per fruire di detrazioni, deduzioni e regimi agevolativi.
In ogni caso la norma prevede un vero e proprio dovere giuridico di autotutela (obbligatoria), tranne che in caso di intervenuta sentenza passata in giudicato favorevole all’Amministrazione finanziaria (laddove prima vigeva un vero e proprio divieto di autotutela), “nonché in caso di atti definitivi dopo che è decorso un anno dalla data in cui la sentenza è divenuta definitiva per mancata impugnazione dell’atto viziato”.
Fuori dai suddetti casi, l’art. 10-quinquies consente comunque all’Amministrazione finanziaria, in via facoltativa, di procedere all’annullamento dell’atto, “anche in pendenza di giudizio o in caso di atti definitivi, in pendenza di una illegittimità o dell’infondatezza dell’atto o dell’impugnazione”.
Rileva ora la Corte nella sentenza in commento che l’azione dell’Amministrazione, pur doverosa a fronte dell’illegittimità dell’atto impositivo, resta comunque caratterizzata da discrezionalità quanto all’esercizio concreto del potere di autotutela, dovendo la stessa valutare la sussistenza di un interesse generale alla revisione dell’atto alla luce del complesso degli interessi coinvolti.
La recente riforma, prevedendo casi di autotutela obbligatoria, ha solo temperato tale connotazione, rendendo doverosa, per le ipotesi ivi considerate, l’attivazione del procedimento di revisione dell’atto illegittimo nei confronti del contribuente.
La stessa disciplina, affermano le Sezioni Unite, però, non esaurisce gli spazi dell’autotutela tributaria, che si può realizzare anche nelle situazioni in cui l’illegittimità determini un pregiudizio per l’Erario, e che risultano, in molti casi, speculari e necessariamente implicate in quelle oggetto di specifica considerazione a favore del contribuente.
Né, dalla disciplina positiva - sia previgente che quella adottata a seguito del D.Lgs. n. 219/2023 - emerge alcuna delimitazione di ordine generale alla tipologia di vizi rilevabili, laddove la stessa casistica individuata dall’art. 2 D.M. n. 37/1997 e, oggi, dall’art. 10-quater, comma 1, L. n. 212/2000 annovera infatti vizi sia formali che sostanziali.
Differenza tra autotutela sostitutiva e accertamento integrativo
Anche sotto il profilo del rapporto tra autotutela sostitutiva e accertamento integrativo non vi è poi alcun vulnus.
Rileva infatti a tal proposito la Corte che l’Amministrazione, quando esercita il potere di autotutela, avvia un procedimento di secondo grado avente ad oggetto il precedente atto impositivo viziato, che viene posto nel nulla. Ne deriva quindi che, in sede di autotutela, non viene esercitata una nuova azione accertativa, che resta sempre e soltanto quella originaria, mancando, pertanto, la reiterazione dell’azione accertativa.
Nell’autotutela sostitutiva la “rivalutazione” fa quindi esclusivo riferimento agli elementi che erano già presenti quando l’Amministrazione finanziaria aveva emesso l’atto originario, senza alcuna integrazione.
Nell’accertamento integrativo, invece, il successivo nuovo atto non viene emesso perché è stato rilevato un errore o una non corretta valutazione degli elementi di fatto e diritto in base ai quali è stato adottato il primo atto. Anzi, l’originaria prospettazione e valutazione è corretta e resta inalterata e l’atto non viene espunto, ma ad esso si affianca un nuovo atto (integrativo), che contiene una pretesa aggiuntiva.
E per consentire questo risultato il legislatore esige appunto che vi siano nuovi elementi prima non conosciuti. Ma questo non rileva per l’autotutela sostitutiva.
Infine, le Sezioni Unite escludono che la mera - ed erronea - valutazione già operata dall’Amministrazione sugli elementi a fondamento dell’atto impositivo sia, in sé, sufficiente a generare un affidamento legittimo.
In tali casi infatti la posizione di interesse del contribuente non trae fondamento dal principio di capacità contributiva ex art. 53 Cost.: l’originaria pretesa impositiva, inferiore a quella dovuta, non può, per il solo fatto che essa era stata recepita in un atto rivelatosi illegittimo, trovare copertura nel principio di capacità contributiva, che, al contrario, rafforza la necessità di una rimozione del primo atto e la sua sostituzione in forza del corrispondente dovere per tutti, ex artt. 2 e 53 Cost., di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva.
In questo senso, la mera pretesa di non dare corso all’emissione di un nuovo atto per esserne già stato emesso uno precedente non appare dunque, in sé, suscettibile di valutazione positiva neppure ai sensi dell’art. 10, comma 1, L. n. 212/2000: la condotta del contribuente, ancorata ad un errore dell’Agenzia fiscale, si risolverebbe infatti nella pretesa di un vantaggio ingiusto, ossia di ottenere una imposizione minore a quella dovuta, non riconducibile, in assenza di altri specifici elementi che ne caratterizzino la situazione, ad una valutazione di correttezza e buona fede.
Autotutela tributaria: i principi di diritto affermati dalla Cassazione
In conclusione, vengono, pertanto, affermati i seguenti principi di diritto:
- in tema di accertamento tributario, il potere di autotutela tributaria trae fondamento, al pari della potestà impositiva, dai principi costituzionali di cui agli artt. 2, 23, 53 e 97 Cost. in vista del perseguimento dell’interesse pubblico alla corretta esazione dei tributi legalmente accertati; di conseguenza, l’Amministrazione finanziaria, ove non sia decorso il termine di decadenza per l’accertamento previsto per il singolo tributo e sull’atto non sia stata pronunciata sentenza passata in giudicato, può legittimamente annullare, sia per vizi sia formali che sostanziali, l’atto impositivo viziato ed emettere, in sostituzione, un nuovo atto anche per una maggiore pretesa;
- In tema di accertamento tributario, l’autotutela sostitutiva in malam partem, con adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato, si differenzia, strutturalmente e funzionalmente, dall’accertamento integrativo, posto che, nel primo caso, la valutazione investe l’atto originario, che, in quanto viziato, viene annullato e sostituito sulla base degli stessi elementi già considerati, mentre, nel secondo, il precedente atto è valido e ad esso ne viene affiancato un altro contenente una pretesa aggiuntiva per il medesimo tributo e periodo d’imposta, non ponendosi, neppure in astratto, l’esigenza di una rivalutazione degli elementi di fatto e diritto in base ai quali il primo atto è stato emesso. Ne consegue che il requisito della “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi” non si applica per il provvedimento emesso in autotutela sostitutiva;
- In caso di autotutela tributaria sostitutiva in malam partem, con adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato, il legittimo affidamento del contribuente non è integrato dalla mera esistenza del precedente atto viziato, ovvero dall’errata valutazione delle circostanze poste a suo fondamento, ostandovi il generale dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, in forza degli artt. 2 e 53 Cost..
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