Autonomia differenziata per Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna: ancora diviso il Governo, tra Lega favorevole e M5S contrario. Non solo sulla scuola ma anche per gli altri settori e per la riduzione del residuo fiscale è ferma la posizione contraria di organizzazioni sindacali e associative.
L’autonomia differenziata è al centro delle polemiche, non solo per la scuola.
Le regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna chiedono maggiore autonomia in settori come sanità, trasporti, fisco, beni culturali e istruzione.
Soprattutto le prime due, forti del risultato politico del referendum consultivo tenuto il 22 ottobre 2017, chiedono l’ampliamento delle loro prerogative su tutte le 23 materie contemplate dall’articolo 117 della Costituzione, in base a quanto dettato dall’articolo 116, mentre l’Emilia-Romagna si limita a richiederne 15.
Tutte e tre le compagini regionali, tuttavia, contemplano nella loro richiesta una materia fondamentale per la definizione stessa di uno Stato unitario: la scuola.
Non a caso la richiesta delle tre regioni del Nord-Est, giunta in Consiglio dei ministri il giorno di San Valentino dopo che il precedente governo Gentiloni aveva trovato un accordo preliminare siglato alla fine di febbraio dello scorso anno, ha suscitato un’ondata di polemiche, sancendo la contrapposizione tra i due partner di governo.
Favorevole la Lega di Matteo Salvini, contrario il M5S di Luigi Di Maio. Una polarizzazione agevolmente spiegabile con la diversità di raccolta geografica del consenso delle due forze politiche e che per ora paralizza ogni decisione in merito.
Autonomia differenziata. Dal libro “Cuore” alla rivolta del Sud e delle organizzazioni sindacali
Nel Paese che ha visto la pubblicazione del libro “Cuore” il tema della regionalizzazione della scuola non può che risultare estremamente delicato.
Basti pensare che Edmondo De Amicis, subito dopo il Risorgimento, utilizzò proprio la forma del diario scolastico per dare espressione al patriottismo e al sentimento di attaccamento al nuovo Stato unitario. La scuola italiana nel bene e nel male è stata uno dei motori (insieme alla tv) dell’unificazione culturale di una penisola piuttosto propensa da sempre al campanilismo e alle “piccole patrie”.
L’impasse di Palazzo Chigi sulla richiesta di autonomia delle tre regioni anche in materia di istruzione, ha avuto un’eco profondissima, suscitando ad esempio la protesta del sindaco di Napoli Luigi De Magistris che si è spinto fino alla richiesta di autonomia totale della città, ma soprattutto ha prodotto un appello unitario di portata molto vasta dei sindacati della scuola.
Il documento intitolato “Contro la regionalizzazione del sistema di istruzione” è stato firmato dalle organizzazioni di categoria di Cgil, Cisl, Uil, sindacati di base e autonomi come Cobas, Unicobas, Snals, ma anche di associazioni trasversali di lavoratori come gli “Autoconvocati della Scuola”, l’Acli, “Per la scuola della Repubblica”, e infine tutto il mondo delle organizzazioni studentesche quali Uds, Udu, Link, ecc.
A detta dei sottoscrittori dell’appello il progetto della regionalizzazione della scuola smentisce il contenuto degli articoli 3, 33 e 34 della Costituzione in difesa del diritto di uguaglianza e:
“significa prefigurare istituti e studenti di serie A e di serie B a seconda delle risorse del territorio; ignorare il principio delle pari opportunità culturali e sociali e sostituirlo con quello delle impari opportunità economiche; disarticolare il CCNL attraverso sperequazioni inaccettabili negli stipendi e negli orari dei lavoratori della scuola che operano nella stessa tipologia di istituzione scolastica, nelle condizioni di formazione e reclutamento dei docenti, nei sistemi di valutazione, trasformati in sistemi di controllo; subordinare l’organizzazione scolastica alle scelte politiche - prima ancora che economiche - di ogni singolo Consiglio regionale; condizionare localmente gli organi collegiali”.
Il sospetto della riduzione del “residuo fiscale”
Eppure i promotori della richiesta di autonomia rassicurano che le tre regioni non riceveranno risorse aggiuntive rispetto a quelle che già ora spende lo Stato per quegli stessi servizi.
Ma appunto le professioni di buona fede non sono sufficienti. Chi è contrario vi vede l’intenzione di voler ridurre il “residuo fiscale”, ovvero la differenza tra la somma delle imposte raccolte in una regione e la restituzione in termini di servizi ai cittadini di quello stesso territorio.
Se la restituzione fosse totale non vi sarebbe più alcuna redistribuzione sul territorio nazionale e nessuna forma di contributo dei territori più ricchi a favore delle scuole dei più poveri.
Si tratta quindi di un vero e proprio conflitto tra visioni diverse dello Stato e della scuola in particolare. Tuttavia, data l’importanza politica conferita dagli “autonomisti” ai referendum in Lombardia e Veneto e alle evocazioni a cui spesso hanno fatto ricorso durante quelle consultazioni il sospetto degli oppositori della regionalizzazione non pare affatto destinato a scomparire…
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Scuola, l’autonomia differenziata suscita un’ondata di polemiche