Troppi docenti precari nelle scuole italiane e discriminati rispetto ai colleghi a tempo indeterminato. La commissione Europea ha deferito l'Italia alla Corte UE perché non ha vietato l'utilizzo abusivo di contratti a termine e condizioni di lavoro discriminatorie
I docenti precari sono discriminati rispetto agli insegnanti occupati a tempo indeterminato.
Lo sottolinea la Commissione Europea che oggi, 3 ottobre, ha deferito l’Italia alla Corte UE perché non ha vietato la discriminazione in relazione alle condizioni di lavoro e l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato.
I precari infatti non godono degli aumenti salariali legati agli scatti di anzianità e sono danneggiati dall’utilizzo abusivo dei contratti a termine.
Stipendi degli insegnanti precari: per l’Italia arriva il deferimento alla Corte UE
Dopo quello dell’assegno unico per i figli a carico arriva un nuovo deferimento alla Corte UE per l’Italia.
Il provvedimento riguarda gli insegnanti precari, o meglio la loro discriminazione in termini salariali rispetto ai loro colleghi assunti a tempo indeterminato.
Il motivo, sottolinea la Commissione Europea nel comunicato pubblicato il 3 ottobre, risiede nel fatto che il Paese non ha posto fine all’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato e a condizioni di lavoro discriminatorie in violazione della direttiva europea 1999/70/CE.
La Commissione Ue, infatti, evidenzia la mancata progressione salariale incrementale basata sui precedenti periodi di servizio, non prevista dalla legislazione italiana che determina la retribuzione dei docenti a tempo determinato nelle scuole pubbliche.
In pratica, viene contestato all’Italia di non prevedere alcun aumento legato agli scatti di anzianità in favore degli insegnanti precari.
Si tratta quindi di una discriminazione rispetto ai docenti assunti a tempo indeterminato, i quali invece hanno diritto a tale progressione.
L’accordo quadro allegato alla citata direttiva, infatti, stabilisce il principio di non discriminazione rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato, a meno che non sia giustificata da motivazioni oggettive.
Tale principio si applica alle “condizioni di impiego”, comprese la retribuzione e l’anzianità di servizio o le possibilità di promozione. Inoltre, il documento prevede che i criteri del periodo di anzianità di servizio relativi a particolari condizioni di lavoro debbano essere gli stessi sia per i lavoratori a tempo determinato sia per quelli a tempo indeterminato.
Principio che in Italia, sottolinea la Commissione UE, non è stato rispettato, né è stato previsto alcun intervento per vietare l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato.
Docenti precari, Commissione UE: l’Italia non ha vietato l’utilizzo abusivo di contratti a termine
A questo, infatti, si aggiunge il fatto che l’Italia non ha adottato provvedimenti efficaci per prevenire l’utilizzo abusivo di una successione di contratti a tempo determinato ai danni del personale amministrativo, tecnico e ausiliario nelle scuole pubbliche.
“Ciò configura una violazione del diritto dell’UE in materia di lavoro a tempo determinato.”
A questo proposito, è in vigore proprio da ottobre la novità introdotta dal DL salva infrazioni, la quale prevede l’aumento dell’indennizzo in caso di contratti a termine illegittimi.
Per quanto riguarda i contratti nella PA, se il lavoratore dimostra di aver subito un maggiore danno, infatti, il giudice può disporre un risarcimento tra le 4 e le 24 mensilità dell’ultima retribuzione
La decisione della Commissione Ue di deferire il caso alla Corte Europea dunque conclude la procedura di infrazione avviata nel 2019, alla quale è seguita un’ulteriore lettera di costituzione in mora nel dicembre 2020 e un parere motivato nell’aprile 2023, dato che la risposta dell’Italia non ha risolto in misura sufficiente le preoccupazioni della Commissione, lasciando impregiudicate un’ulteriore valutazione e possibili azioni future in riferimento alla mancanza di misure efficaci per sanzionare e compensare l’abuso dei contratti a tempo determinato e la discriminazione dei lavoratori a tempo determinato in altri ambiti del settore pubblico.
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