In caso di autotutela in diminuzione, se la minore pretesa è frutto di un ricalcolo non è impugnabile. Se, invece, assume natura di un nuovo avviso di accertamento devono essere osservato tutti gli specifici requisiti e può essere impugnato. La valutazione spetta al giudice, come chiarisce la Corte di Cassazione nell’Ordinanza numero 25515/2023
In caso di autotutela in diminuzione di un precedente avviso di accertamento, se la minore pretesa di limita a un mero ricalcolo quantitativo, l’atto in autotutela non è un atto impugnabile, non comportando alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui già noto.
Se invece la nuova rideterminazione “in diminuzione” della pretesa fiscale introduce nel rapporto fiscale elementi di novità, il nuovo atto notificato al contribuente assume la natura di un nuovo avviso di accertamento, richiedendo per la sua formazione l’osservanza di tutti i requisiti propri di un qualunque avviso di accertamento.
Spetta al giudice di merito, investito della questione, esaminare caso per caso il provvedimento impositivo seguente a quello annullato in autotutela, per verificare se le modificazioni apportate alla pretesa fiscale introducano o meno elementi innovativi, idonei a modificare il fondamento del rapporto giuridico d’imposta circoscritto con il primo atto.
Questo l’importante principio espresso dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 25515 del 31 agosto 2023.
L’atto di autotutela “in diminuzione” è impugnabile se introduce elementi di novità
La vicenda processuale tratta il ricorso proposto da un contribuente avverso un primo avviso di accertamento con il quale veniva rideterminato il reddito in base al metodo sintetico, con conseguente rideterminazione dell’IRPEF e relative addizionali.
Nelle more dei termini per l’impugnazione, e sulla base della documentazione depositata dal contribuente, l’Ufficio emetteva un atto di autotutela parziale, riducendo il reddito accertato.
Avverso entrambi gli atti il contribuente proponeva ricorso, accolto sia dalla CTP che dalla CTR.
L’Agenzia delle Entrate ha quindi proposto ricorso per cassazione contro la decisione di secondo grado lamentando che la sentenza della C.T. Reg. era errata, nella parte in cui, confermando la sentenza di primo grado, aveva ritenuto che il provvedimento successivo emesso dall’Ufficio in autotutela a modifica del precedente avviso di accertamento fosse da considerare un nuovo avviso di accertamento, ed ha conseguentemente ritenuto tempestivo il ricorso del contribuente, nel mentre il dies a quo per la presentazione del ricorso avrebbe dovuto farsi decorrere dalla notificazione del primo avviso di accertamento, data rispetto alla quale il ricorso doveva ritenersi tardivo.
La Corte di cassazione, nel ritenete fondata la tesi dell’Amministrazione finanziaria, si è soffermata sul tema della questione dell’inammissibilità del ricorso originario su cui la C.T. Reg., condividendo la sentenza di primo grado, ha in maniera apodittica ritenuto che l’atto di autotutela dell’Ufficio avesse natura novativa, senza entrare nel merito della questione.
A tal proposito, la Corte ha in primo luogo affermato che l’integrazione o la modificazione “in aumento” dell’originario avviso, che determina una nuova pretesa tributaria rispetto a quella originaria, deve necessariamente formalizzarsi nell’adozione di un nuovo avviso di accertamento che, aggiungendosi o sostituendosi a quello originario, indichi i nuovi elementi di fatto, di cui è sopravvenuta la conoscenza, come prescritto dall’art. 43, terzo comma, del DPR n. 600/73, a garanzia del contribuente.
Diversamente, la modifica “in diminuzione” non necessita di forme o motivazioni particolari, in quanto non integra una nuova pretesa tributaria, ma si risolve in una mera riduzione di quella originaria.
Quale conseguenza logica del citato orientamento, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che l’annullamento parziale adottato dall’Amministrazione in via di autotutela, o comunque il provvedimento di portata riduttiva rispetto alla pretesa contenuta in atti divenuti definitivi, non rientra nella previsione di cui all’art. 19 del DLgs. n. 546/92, e quindi non è impugnabile, non comportando alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto e consolidato per la mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento.
La Corte di cassazione ha tuttavia evidenziato come non possa escludersi a priori che la diminuzione dell’imponibile accertato con il primo atto trovi causa non in un mero ricalcolo quantitativo, che pacificamente non sposta gli elementi strutturali dell’accertamento, ma incida invece proprio su tali elementi.
In tale ipotesi deve ritenersi che la nuova rideterminazione della pretesa fiscale, pur ridotta rispetto all’atto impositivo originario caducato per autoannullamento, introduca comunque nel rapporto fiscale elementi di novità, tali da far ritenere che il nuovo atto notificato al contribuente sia un nuovo avviso di accertamento, e ciò al pari dell’ipotesi dell’aumento.
Anche per tali fattispecie, dunque, l’atto successivo, intervenuto con autoannullamento del pregresso, avrebbe interamente sostituito quest’ultimo, richiedendo per la sua formazione l’osservanza di tutti i requisiti propri di un qualunque avviso di accertamento.
È dovere del giudice di merito, investito della questione, esaminare caso per caso il provvedimento impositivo seguente a quello annullato in autotutela, per verificare se le modificazioni apportate alla pretesa fiscale introducano o meno elementi innovativi idonei a modificare il fondamento del rapporto giuridico d’imposta circoscritto con il primo atto.
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