App Immuni, privacy al sicuro? Le garanzie ci sono, ma resta un margine di rischio. Come per tutte le applicazioni, anche se una parte dei cittadini più reticenti tendono a fare due pesi e due misure. Un atteggiamento ingiustificato secondo Antonio Ciccia Messina, avvocato esperto sul tema della privacy, che sottolinea: nessuna rivoluzione culturale con il GDPR.
App Immuni, la privacy è al sicuro? Le garanzie ci sono, ma resta un margine di rischio. La tecnologia mette sempre alla prova la protezione dei dati personali perché non è ancora del tutto governabile.
A rispondere alla domanda che molti si stanno ponendo in questo periodo è Antonio Ciccia Messina, avvocato esperto in materia di privacy durante l’intervista rilasciata a Informazione Fiscale in diretta streaming il 12 ottobre 2020.
L’utilizzo delle applicazioni non ci mette mai totalmente al sicuro dai rischi legati alla privacy. Ma c’è chi fa due pesi e due misure.
C’è ancora tanta strada da fare per arrivare alla piena consapevolezza rispetto ai temi legati alla protezione dei dati personali. Nessuna rivoluzione culturale, infatti, è derivata dall’introduzione del GDPR, Regolamento Generale sulla protezione dei dati, secondo l’Avvocato.
App Immuni, privacy al sicuro? Esiste il rischio, come per tutte le applicazioni
Come recita il sito dedicato, l’app Immuni nasce per contrastare l’emergenza coronavirus e utilizza la tecnologia per avvertire gli utenti che hanno avuto un’esposizione a rischio, anche se sono asintomatici.
Negli ultimi giorni la quota di utenti che l’ha scaricata sul proprio cellulare ha superato gli 8 milioni. Ma sono tanti ancora gli italiani che scelgono di restare fuori dal tracciamento dei contatti, buona parte anche per i dubbi legati alla privacy.
C’è da dire, però, che l’app Immuni, diversamente da tante applicazioni utilizzate nella quotidianità, ha ricevuto l’approvazione dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali.
Ma perché? Quali elementi la rendono sicura?
“La volontarietà è la garanzia più grande per il soggetto che ne fa uso, l’altro elemento è collegato alla temporaneità di questa operazione. Il problema è che la pandemia non ci ha riferito quando terminerà di essere compagna di viaggio. È un elemento di garanzia ma è imponderabile”.
Le garanzie ci sono, insomma, ma non mettono totalmente la privacy al riparo dai rischi:
“Sono strumenti della tecnologia e in quanto tali sono suscettibili di forme di invasioni rispetto alla sfera individuale che a volte i tecnici dei sistemi informatici non sono in grado di pronosticare in termini certi. Esiste sempre la possibilità che alcuni dispositivi siano intercettati da soggetti terzi”.
E a questa visione di carattere generale si affianca una considerazione di carattere particolare:
“Perché abbia successo occorre che tantissimi l’abbiano scaricata, un terzo della popolazione italiana l’abbiano scaricata e che ne facciano uso contemporaneamente ma dall’altra parte la raccolta massiva di questi dati potrebbe dare adito al fatto che parecchi possano intercettarli”.
Insomma, il timore legato ai rischi per la privacy nell’utilizzo dell’app Immuni sono comprensibili, ma non sono giustificabili se rappresentano un’eccezione alla regola:
“Se i nostri figli o noi stessi scarichiamo delle app di carattere ludico preoccuparsi sguaiatamente di immuni è segno di un doppiopesismo e a volte anche di una certa malafede: o ci si scandalizza sempre o no ci si scandalizza mai”.
Evidenzia Antonio Ciccia Messina, ribadendo che i temi legati alla sicurezza dei dati personali cruciali per lo sviluppo della società e per la tutela degli individui.
“Sono gli unici baluardi contro lo strapotere della tecnologia e dei robot e dell’intelligenza artificiale che, essendo artificiale, non non ha la possibilità di agire con criteri di buon senso e ragionevolezza, di ragione anzi.
Questi presidi devono essere coltivati ed enfatizzati ma non sono sicuro che ci sia una consapevolezza a livello generalizzato di quanto questi temi siano importanti”.
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App Immuni, esiste sempre un margine di rischio sulla privacy e manca la piena consapevolezza
E infatti non c’è stata quella rivoluzione culturale sulla privacy che spesso si associa all’introduzione del GDPR, Regolamento UE sulla protezione dei dati personali né nelle istituzioni pubbliche, né tra i cittadini.
La prima cosa da mettere in chiaro, secondo l’esperto, è che l’ultimo Regolamento europeo in materia non stravolge del tutto l’impianto esistente in Italia: “il regolamento 2016/679 ha modificato pochino rispetto al nostro codice della privacy del 2003 che a sua volta riprendeva la legge 675 del 1996”.
E l’idea dello stravolgimento totale sembra quasi utilizzata come un alibi:
“Ma com’è che saltiamo fuori adesso e diciamo che il regolamento europeo ha cambiato tutto? Ma forse questo è l’atteggiamento di chi non avendo fatto nulla o poco nei 25 anni che sono passati cerca di dare la colpa alle novità per lucrare un’ennesima proroga o un po’ di tempo per cercare di mettersi a posto. Questo è un dato che nessuno vuole mettere in evidenza”.
In ogni caso, se anche considerassimo l’avvento del GDPR come una rivoluzione, non avremmo particolari risultati da registrare:
“Prendiamo per buona questa rivoluzione, è cambiato l’atteggiamento da parte delle aziende, degli enti pubblici? La realtà è che la risposta è negativa. Non vi è stata quella montagna di iniziative che ci si sarebbe aspettati da una rivoluzione. Non è successo”.
Le stesse istituzioni non hanno rivisto il loro approccio alla tutela dei dati personali:
“Mi è capitato di segnalare ad alcuni amici del Garante della privacy come documenti ufficiali presenti su internet di istituzioni pubbliche di primaria importanza riportassero errori dovuti o alla non comprensione o al non aggiornamento rispetto a questa normativa rivoluzionaria, io dico, tra virgolette”.
Eppure, per l’avvocato Antonio Ciccia Messina, il tema della privacy e l’utilizzo degli strumenti del GDPR sono cruciali “per consentire una democrazia sostanziale, per tutelare istituti come la scuola, la sanità, il Fisco contro il potere della tecnologia che si esprime attraverso gli algoritmi”.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: App Immuni, privacy al sicuro? Il rischio esiste, come per tutte le applicazioni