L'accertamento nei confronti del socio è illegittimo se l'avviso emesso a carico della società di capitali a ristretta base partecipativa è annullato per vizi inerenti la pretesa tributaria. Se invece è annullato per vizi procedurali non opera l'effetto pregiudicante. Lo spiega la Corte di cassazione nell’Ordinanza numero 39285 del 10 dicembre 2021.
Se l’avviso di accertamento emesso a carico della società di capitali a ristretta base partecipativa è annullato per vizi attinenti al merito della pretesa tributaria, con sentenza passata in giudicato, è illegittimo anche l’accertamento emesso nei confronti del socio, avendo il primo carattere pregiudicante.
Se invece l’accertamento alla società è annullato per vizi procedurali, l’effetto pregiudicante non opera. Se il socio vuole contestare la pretesa dell’Amministrazione deve fornire la prova che la distribuzione degli utili in nero non è avvenuta o dimostrare l’infondatezza della pretesa erariale in capo alla società stessa.
Così ha deciso la Corte di cassazione con l’Ordinanza n. 39285 del 10 dicembre 2021.
La sentenza
L’Agenzia delle entrate emetteva un avviso di accertamento IRPEF nei confronti di un contribuente per la tassazione di maggiori redditi di capitale, dovuti dal contribuente in qualità di socio di una società a ristretta base sociale, nei cui confronti l’Ufficio aveva accertato un maggior reddito non dichiarato.
Il contribuente impugnava l’atto dinanzi alla CTP, che respingeva il ricorso. La CTR ribaltava il giudizio accogliendo l’appello del contribuente.
A parere dei giudici di secondo grado la pretesa nei confronti del socio doveva ritenersi infondata perché l’avviso di accertamento notificato nei confronti della società era nullo per difetto di notifica, essendo stato notificato a mano nei confronti del legale rappresentante e non presso la sede legale della società.
La difesa erariale ha impugnato la sentenza d’appello in cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione degli artt. 39, co. 1 lett. d) e 42 del d.P.R. 29/09/1973 n. 600.
L’Ufficio ricorrente in buona sostanza ha chiesto al Collegio di legittimità se sia possibile ritenere operante la presunzione della distribuzione in favore dei soci degli utili extra-bilancio conseguiti dalla società di capitali a ristretta base partecipativa, qualora non vi sia prova dell’esistenza di un valido accertamento tributario nei confronti della società per vizio di notifica.
I giudici della Suprema Corte di Cassazione hanno ritenuto fondato il motivo ricorso e cassato con rinvio la sentenza di secondo grado impugnata.
Nel caso di specie il socio aveva impugnato l’avviso di accertamento lamentando come unico motivo di doglianza la irregolarità formale dell’avviso emesso nei confronti della società per vizio di notifica.
La Corte ha chiarito che, in materia di imposte dirette, l’accertamento relativo agli utili extracontabili della società a ristretta base sociale, anche se non definitivo, è presupposto dell’accertamento presuntivo nei riguardi del singolo socio, in ragione della sua quota di partecipazione agli utili sociali.
Pertanto l’impugnazione dell’accertamento nei confronti della società costituisce “fino al passaggio in giudicato della pronuncia che lo riguarda, condizione sospensiva, ex art. 295 c.p.c.,” ai fini della decisione della lite sull’accertamento relativo al singolo socio, “la cui esistenza e persistenza grava sul contribuente che la invochi sotto forma di allegazione e prova del processo scaturente dall’impugnazione del provvedimento impositivo.”
Per quanto attiene agli effetti in capo al socio dell’accertamento di utili extra-contabili alla società le ipotesi sono due.
Se l’avviso emesso a carico di società di capitali a ristretta base partecipativa è annullato, con sentenza passata in giudicato, per vizi attinenti al merito della pretesa tributaria, è illegittimo anche l’accertamento emesso nei confronti del socio, avendo il primo carattere pregiudicante.
Se invece l’accertamento alla società è annullato per meri vizi procedurali (come nell’ipotesi di inesistenza della notifica e per errata intestazione dell’avviso), l’effetto pregiudicante non opera nei confronti dell’accertamento notificato al socio.
Questi, ai fini probatori, non può limitarsi ad eccepire le irregolarità formali dell’accertamento alla società ma deve fornire la prova contraria rispetto alla pretesa dell’Amministrazione finanziaria dimostrando che i maggiori ricavi dell’ente sono stati accantonati o reinvestiti.
In questa occasione la Corte di cassazione ha ribadito il proprio convincimento per cui il ricorso a alla presunzione di attribuzione “pro quota” ai soci degli utili extra-contabili accertati in capo alla società a ristretta base partecipativa non viola il divieto di doppia presunzione.
Infatti il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati nei confronti della società ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria.
Sotto altro aspetto è opportuno precisare che i due accertamenti, quello nei confronti della società e quello nei confronti del socio, sono atti distinti e separati pur essendo legati da vincolo di pregiudizialità.
Ne discende che per escludere l’operatività della presunzione di distribuzione degli utili extracontabili, conseguiti e non dichiarati da una società di capitale avente ristretta base partecipativa, non è sufficiente che il socio contesti la mancanza di prova di un valido e definitivo accertamento nei confronti della società ma è necessario che contesti lo stesso effettivo conseguimento, da parte della società, di tali utili, ove non sia in grado di dimostrare la mancata distribuzione degli stessi, stante l’autonomia dei giudizi nei confronti della società e del socio ed il rapporto di pregiudizialità dell’accertamento nei confronti della prima rispetto a quello verso il secondo.
In conclusione il socio, attraverso l’impugnazione dell’avviso di accertamento a lui indirizzato, può contestare tutti i fatti costitutivi dell’obbligazione tributaria, fornendo prova contraria rispetto alla pretesa dell’Amministrazione, confutando non solo l’avvenuta distribuzione degli utili in “nero”, ma anche la stessa ricorrenza della loro formazione in capo alla società.
- Corte di Cassazione - Ordinanza numero 39285 del 10 dicembre 2021
- L’accertamento nei confronti del socio è illegittimo se l’avviso emesso a carico della società di capitali a ristretta base partecipativa è annullato per vizi inerenti la pretesa tributaria. Se invece è annullato per vizi procedurali non opera l’effetto pregiudicante.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Il vizio di notifica non pregiudica la presunzione di evasione in capo al socio