Il caso che riguarda un accertamento con adesione accende i riflettori sul rapporto tra processo penale e amministrativo e sul ruolo del giudice: la posizione della Corte di Cassazione

Qualora i medesimi fatti rilevino sia in sede amministrativa che penale, il giudice penale può discostarsi dalla quantificazione del profitto come risultante dalla conclusione di un accertamento con adesione con l’Agenzia delle Entrate, purché l’esercizio di tale autonomo potere venga supportato da congrua motivazione.
Così ha deciso la sezione penale della Corte di Cassazione con la Sentenza n. 13190 del 4 aprile 2025, esprimendosi su una questione giuridica che assume rilevanza per quei reati che prevedono una soglia di punibilità, come nel caso di dichiarazione infedele.
L’accertamento con adesione riguarda il piano amministrativo, non quello penale
La Sentenza tratta il giudizio penale che ha visto coinvolta una società per il reato di cui all’’art. 3 d. lgs. 74/2000, avendo indicato nelle dichiarazioni RPEF relative agli anni di imposta compresi tra il 2016 e i 2019 elementi attivi inferiori a quelli effettivi, utilizzando un software appositamente ideato dal coindagato titolare della ditta individuale per fornire una falsa rappresentazione della contabilità.
In particolare, il programma consentiva di gestire un sistema di contabilità cd. ufficiale, accessibile a tutti tramite la schermata del computer, in cui venivano registrate le sole prestazioni per le quali era stata emessa regolare fattura, ed uno ufficioso, accessibile solo al titolare e agli addetti alle operazioni in possesso della relativa password, mediante un sistema schermato, in cui venivano annotate tutte le prestazioni rese e i corrispettivi incassati, indipendentemente dalla loro fatturazione, così da evitare che l’Amministrazione finanziaria, in caso di controllo, si accorgesse del sistema di doppia contabilità.
Giunta la controversia in Cassazione, il ricorrente ha lamentato, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 3 del D.Lgs. 74/2000, il mancato superamento della soglia di punibilità fissata in 30.000 euro per ciascuna annualità essendosi l’indagato avvalso della cd. tregua fiscale prevista dalla legge di bilancio 2023, avendo aderito all’accertamento con adesione, dal quale emergeva che nessuna annualità superasse il valore della soglia fissata ex lege.
Il Collegio di legittimità ha chiarito che l’accertamento per adesione eseguito dall’indagato, operando sul piano meramente amministrativo e dunque su un binario del tutto diverso da quello penale, non può essere assunto quale base di accertamento del reddito imponibile.
Il rapporto tra il processo penale e quello amministrativo e il ruolo del giudice
Si tratta, infatti, di una condizione di maggiore favore per il contribuente che può usufruire, oltre che di una riduzione più vantaggiosa della misura sanzionatoria ordinariamente applicabile e di un maggior tempo per poter rateizzare i versamenti.
L’autonomia del processo penale da quello amministrativo, sancita dall’art. 20, d.lgs. n. 74 del 2000, secondo cui “il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti dal cui l’accertamento comunque dipende la relativa definizione”, non può non valere anche ai fini che rilevano nel procedimento penale per l’individuazione dell’ammontare dell’imposta evasa, nei casi di raggiunti accordi conciliativi con l’erario.
In altri termini, deve ammettersi che il giudice penale ben possa, sulla scorta di elementi di fatto, discostarsi - non essendo prevista dall’ordinamento processuale penale, alcuna pregiudiziale tributaria- dalla quantificazione del profitto come risultante dalla conclusione di accordi conciliativi con l’Agenzia delle Entrate, purché l’esercizio di tale autonomo potere venga supportato da congrua motivazione.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: L’accertamento con adesione non vincola il giudice penale