L'Amministrazione non è tenuta a redigere il pvc e a concedere il termine dilatorio di 60 giorni prima dell’emissione dell’avviso di accertamento nel caso di accertamento «a tavolino». A stabilirlo è la Corte di Cassazione con l'Ordinanza numero 34409 del 23 dicembre 2019.
Nel caso di accertamento “a tavolino” senza lo svolgimento di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività di impresa o professionale, l’Amministrazione non è tenuta a redigere il pvc e a concedere il termine dilatorio di 60 giorni prima dell’emissione dell’avviso di accertamento. Il contribuente che eccepisca il mancato rispetto di detto termine ha l’onere di indicare, in concreto, le questioni che avrebbe potuto dedurre in sede di contraddittorio preventivo. Questo l’importante principio contenuto nell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 34409/2019.
- Corte di Cassazione - Ordinanza numero 34409 del 23 dicembre 2019
- Nessun termine dilatorio in caso di accertamento “a tavolino”. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con l’Ordinanza numero 3440 del 23 dicembre 2019.
La decisione – Il ricorso nasce da un avviso di accertamento notificato al contribuente in qualità di socio di una srl a seguito di indagini svolte sui conti della società, da cui emergeva un finanziamento infruttifero ricevuto dal socio accertato che risultava assolutamente incompatibile con la situazione reddituale dichiarato dallo stesso.
Il ricorso è stato respinto dalla CTP e avverso tale decisione il contribuente ha proposto appello, lamentando l’omessa redazione e consegna del processo verbale di costatazione a conclusione delle attività ispettive e l’omessa indicazione delle ragioni di motivata urgenza che avrebbero legittimato l’emissione dell’avviso di accertamento senza rispetto del termine di 60 gg. sancito dall’art. 12 della legge n. 212 del 2000.
Anche la CTR respingeva il ricorso del contribuente, a cui è seguita impugnazione dinanzi alla Corte di Cassazione, laddove il contribuente ha censurato violazione o falsa applicazione del citato art. 12, co. 7, dello Statuto del contribuente per avere la CTR ritenuto legittima l’omessa redazione del processo verbale di constatazione. Anche la Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il motivo e ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.
Nel caso di specie le verifiche da parte dell’Ufficio a carico del contribuente erano state estese a seguito degli esiti delle indagini svolte nei confronti della società, di cui egli era socio. A quanto risulta dagli atti, inoltre, l’Agenzia aveva intrattenuto con il ricorrente una ripetuta interlocuzione prima dell’emissione dell’avviso di accertamento e non aveva effettuato alcun accesso, ispezione o verifica fiscale nei locali dove il contribuente esercitava l’attività professionale.
Tanto premesso, il ricorrente ha lamentato la violazione del suo diritto di difesa perché l’Amministrazione finanziaria non avrebbe redatto un processo verbale di costatazione al termine delle proprie attività di accertamento. Da qui scaturirebbe il mancato riconoscimento in suo favore del termine dilatorio di sessanta giorni tra la conclusione delle indagini e l’emissione dell’avviso di accertamento.
Secondo la Corte di cassazione le censure sono infondate perché il verbale delle operazioni compiute – il cd. processo verbale di constatazione- è redatto obbligatoriamente solo in caso di accesso presso il contribuente.
Sul punto il Collegio di legittimità ha confermato il principio per cui “le garanzie previste dall’art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000, operano esclusivamente in relazione agli accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente, sia pure accompagnati da contestuali indagini finanziarie avviate per via telematica e con consegna di ulteriore documentazione da parte dell’accertato”.
Ne consegue che gli avvisi di accertamento, emessi per effetto del controllo delle dichiarazioni e della documentazione contabile del contribuente senza lo svolgimento di accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività di impresa o professionale, non sono assoggettati al termine dilatorio previsto dall’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212.
A ciò si aggiunga quanto già chiarito dalla medesima corte in tema di termine dilatorio, che “non opera nell’ipotesi di accertamenti c.d. a tavolino, salvo che riguardino tributi «armonizzati» come l’IVA, ipotesi nella quale, tuttavia, il contribuente che faccia valere il mancato rispetto di detto termine è in ogni caso onerato di indicare, in concreto, le questioni che avrebbe potuto dedurre in sede di contraddittorio preventivo”.
Se quindi, come nel caso di specie, il contribuente non indica alcuna specifica questione che avrebbe potuto proporre qualora il termine dilatorio gli fosse stato interamente riconosciuto, nonostante il ripetuto contraddittorio prima dell’emissione dell’avviso di accertamento, il termine dilatorio certamente non opera.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Nessun termine dilatorio in caso di accertamento “a tavolino”