Legittimi accertamenti bancari anche sui conti del familiare del professionista, spetta a quest'ultimo l'onere di dimostrare, con una prova analitica, che ogni versamento bancario contestato sia stato considerato ai fini della determinazione del suo reddito o sia estraneo a fatti imponibili. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con l'Ordinanza numero 32427 dell'11 dicembre 2019.
È legittimo l’accertamento bancario condotto sulla base delle movimentazioni rinvenute sul conto di un congiunto prossimo del professionista, perché in questo caso è elevata la probabilità che le movimentazioni non giustificate possano essere riferibili allo stesso contribuente sottoposto a verifica.
Il professionista ha l’onere di dimostrare, con una prova analitica, che ogni versamento bancario contestato sia stato considerato ai fini della determinazione del suo reddito o sia estraneo a fatti imponibili, spettando poi al giudice di merito verificare in maniera rigorosa la prova fornita.
Questo l’articolato principio evincibile dall’Ordinanza n. 32427/2019 emessa dalla Corte di cassazione.
- Corte di Cassazione - Ordinanza numero 32427 dell’11 dicembre 2019
- Accertamenti bancari anche sui conti del familiare del professionista.
La sentenza – La vicenda processuale riguarda il ricorso avverso un avviso di accertamento, recante il maggior reddito da lavoro autonomo determinato sulla base di indagini finanziarie condotte su conti correnti che, seppur formalmente intestati al coniuge del contribuente, l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto a lui riconducibili.
Sulla base di tale presunzione tutte le movimentazioni non adeguatamente giustificate sono state qualificate come compensi non dichiarati con la conseguente rideterminazione del reddito dichiarato.
Il ricorso è stato accolto sia in primo che in secondo grado, avendo ritenuto i giudici di merito superata la presunzione di cui agli artt. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del D.P.R. n. 633 del 1972.
Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione, trovando accoglimento.
È bene premettere che, in tema di accertamento bancario ai fini delle imposte dirette, affinché il professionista superi positivamente la presunzione prevista dall’art. 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per cui i versamenti “non giustificati” sul conto corrente bancario vanno imputati a compensi da attività di lavoratore autonomo, è necessaria “la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività”, e non una prova generica.
L’ulteriore passaggio, supportato dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, è che tale principio possa applicarsi anche alle movimentazioni effettuate sui conti correnti bancari intestati a congiunti prossimi, poiché in tal caso “è particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei familiari debbano - in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario - ascriversi allo stesso contribuente sottoposto a verifica”.
Lo stesso discorso vale in caso composizione ristretta della compagine sociale, considerata condizione sufficiente a giustificare, salva la prova contraria, la riferibilità delle operazioni riscontrate sui conti correnti bancari di tali soggetti all’attività economica della società sottoposta a verifica.
Pertanto, in assenza di prova di attività economiche svolte dagli intestatari dei conti, idonee a giustificare i versamenti e i prelievi riscontrati e in presenza di un contestuale rapporto di collaborazione con la società, “deve ritenersi soddisfatta la prova presuntiva a sostegno della pretesa fiscale, con spostamento dell’onere della prova contraria sul contribuente”.
Sul tema il Collegio ha ribadito che il cit. art. 32 (e 51 per l’IVA) contiene una presunzione legale juris tantum, che consente di considerare come compenso riconducibile all’attività professionale qualsiasi accredito riscontrato sul conto corrente del medesimo e a quello dei congiunti, in presenza di chiari elementi sintomatici, comportante l’inversione dell’onere della prova.
Spetta pertanto al professionista accertato superare la presunzione, dimostrando di aver tenuto conto dei movimenti contestati o che gli accrediti si riferiscono ad operazioni non imponibili.
Con specifico riferimento all’onere probatorio, la Corte ha ribadito che:
“il contribuente ha l’onere di dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, e, a tal fine, deve fornire non una prova generica, ma una prova analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili”
Sarà poi compito del giudice di merito verificare in maniera rigorosa l’efficacia dimostrativa delle prove fornite a giustificazione di ogni singola movimentazione contestata “rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza ed inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie, in quanto il giudizio di ragionevolezza dell’inferenza dal fatto certo a quello incerto è già stato stabilito dallo stesso legislatore con la previsione, in tale specifica materia, della presunzione legale”.
A parere della Corte il giudice di merito non si è attenuto a tali consolidati principi omettendo di analizzare i movimenti e i versamenti in entrata. Da qui la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio alla CTR in diversa composizione.
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