L'abrogazione del reclamo-mediazione ex art. 17-bis del decreto legislativo numero 546/1992, in materia di contenzioso tributario, opera per ricorsi tributari notificati a partire dal 4 gennaio scorso
Il Ministero dell’economia e delle finanze ha comunicato che l’abrogazione dell’istituto del reclamo-mediazione ex articolo 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, disposta dall’articolo 2, comma 3, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 220, in materia di contenzioso tributario, opera per i ricorsi tributari di valore fino a 50.000 euro, notificati agli enti impositori e ai soggetti della riscossione a partire dal 4 gennaio 2024.
Per i ricorsi notificati fino al 3 gennaio 2024 continuano invece ad applicarsi le disposizioni dell’art. 17-bis, del decreto legislativo n. 546/92, in vigore fino alla medesima data.
L’era della mediazione è quindi ad oggi definitivamente terminata.
Mediazione tributaria: i motivi dell’abrogazione
Il successo dell’istituto della mediazione è stato probabilmente dovuto anche al fatto che, per le cause più economicamente ridotte, i contribuenti trovavano senz’altro conveniente chiudere anticipatamente il contenzioso con un accordo con l’Amministrazione, evitando così le spese legali (spesso superiori allo stesso importo oggetto di contestazione), l’alea del contenzioso e beneficiando anche della riduzione ex lege delle sanzioni.
Bisognerà dunque ora vedere se lo stesso appeal vi sarà a contenzioso già istaurato (e dunque a spese legali già dovute).
Probabilmente l’istituto è stato abrogato per l’assenza della terzietà dell’organo deputato alla gestione della mediazione, che vedeva il riesame operato dal medesimo ente (seppur con un diverso ufficio, almeno nel caso delle Agenzia fiscali, mentre per quanto riguardava specificatamente gli enti locali si prevedeva che l’individuazione degli uffici competenti alla trattazione dei reclami fosse rimessa all’organizzazione interna di ciascun ente) che aveva emesso l’atto.
Il reclamo/mediazione aveva dunque la funzione di provocare un tentativo di risoluzione obbligatorio del contenzioso, inaugurando una fase pregiurisdizionale con chiaro intento deflativo.
La procedura di mediazione doveva ritenersi sostanzialmente finalizzata a evitare il “rinvio” ai giudici tributari delle contestazioni che potevano essere risolte in sede amministrativa attraverso un esame volto ad anticipare l’esito ragionevolmente atteso del giudizio, tenuto conto della situazione di fatto e di diritto sottesa alla singola fattispecie.
Accertata l’ammissibilità dell’istanza e verificata l’impossibilità di procedere a un annullamento dell’atto impugnato, l’Ufficio, doveva quindi valutare, anche in assenza di proposta formulata dal contribuente, la sussistenza dei presupposti per la mediazione, individuati dal comma 5 dell’articolo 17-bis; e cioè:
- incertezza delle questioni controverse;
- grado di sostenibilità della pretesa;
- principio di economicità dell’azione amministrativa.
Tale valutazione preventiva doveva essere condotta in particolare con l’intento di addivenire alla mediazione ogniqualvolta, in previsione di una sentenza di primo grado sfavorevole o parzialmente sfavorevole, non fossero ravvisabili i presupposti per la prosecuzione in appello del contenzioso.
Il rapporto però tra contribuente ed Amministrazione, nel caso in esame, come detto, non era mediato dal giudice (che restava comunque come convitato di pietra in fieri), ma diretto, con tutto ciò che ne conseguiva in termini di pro e contro.
La mediazione rappresentava, del resto, uno dei pochi casi in cui gli interessi del contribuente e dell’Amministrazione erano, almeno sulla carta, simili e convergenti.
Sia l’uno che l’altro (anche se per motivi diversi) non avevano infatti un grande interesse a portare avanti tali contenziosi.
Il contribuente, in quanto sarebbe andato incontro a spese legali proporzionalmente molto onerose in confronto agli importi richiesti dall’Amministrazione e l’Amministrazione, in quanto avrebbe dovuto impegnare risorse su contenziosi non (economicamente) rilevanti, rischiando di dover trascurare invece contenziosi più impegnativi.
Soprattutto su certi tipi di contenziosi, per antonomasia, estimativi (si pensi agli accertamenti in tema di avviamento, o alle ricostruzioni induttive, o agli studi di settore), l’interesse e la possibilità di trovare una giusta via di mezzo era dunque preponderante rispetto alla prosecuzione di un lungo, defatigante ed incerto contenzioso, essendo quindi interesse di entrambi le parti provare ad elaborare e proporre una soluzione intermedia, il più possibile ragionevole ed equa.
Allo stesso tempo, se l’atto non fosse stato davvero sostenibile, era interesse dell’Agenzia non portare avanti un contenzioso già perso, con anche il rischio poi di essere condannata alle spese di giudizio.
In definitiva, l’impostazione era che il reclamo/mediazione fosse espressione di un potere di autotutela dello stesso ente impositore, da stimolare ed incoraggiare, allo scopo di indurre l’amministrazione finanziaria a rivedere i propri errori prima dell’intervento del giudice.
Forse questa impostazione (in termini di autotutela) serviva anche a cercare di giustificare perché la stessa attività non fosse affidata ad un organo terzo, ma ad una diversa articolazione della medesima Amministrazione (peraltro alla stessa struttura che aveva emesso l’avviso impugnato e non ad un organo gerarchicamente sovraordinato come nel resto d’Europa).
Del resto però, come visto, le motivazioni che potevano indurre a cercare l’accordo potevano essere anche diverse (rectius: sono diverse) dalla mera valutazione di legittimità dell’atto.
L’ottica era dunque, in realtà, ben diversa da quella dell’autotutela.
E infatti, con la sua abrogazione, si torna ora alla logica della conciliazione.
Tanto premesso, come visto, lo spartiacque temporale tra vecchia e nuova disciplina, in riferimento alla cancellazione del reclamo-mediazione, è la data del 4 gennaio 2024.
L’abrogazione dell’istituto in esame deve essere peraltro analizzata nel contesto complessivo delle modifiche del sistema Contenzioso tributario, dovendo anche correlarsi al rafforzamento dell’istituto dell’autotutela, nonché all’introduzione dell’obbligo del contraddittorio preventivo generalizzato prima dell’emissione dell’atto di accertamento, nonché al potenziamento dell’accertamento con adesione.
Nel primo caso (autotutela), si punta a ridurre l’ambito discrezionale dell’Ufficio, rendendo obbligatoria la risposta in determinate ipotesi.
L’obbligo del contraddittorio preventivo generalizzato a tutti gli atti di accertamento, invece, incrocerà la disciplina con il nuovo accertamento con adesione, avviando una fase di confronto con l’Ufficio sin dalle premesse e fino a dopo l’emissione dell’atto.
In questo nuovo contesto, si spiegano dunque le ragioni dell’abrogazione del reclamo/mediazione, che non avrebbe avuto altro scopo se non quello di dilatare ulteriormente la fase processuale.
Abrogazione della mediazione tributaria: le novità normative
Una volta incardinato il ricorso, in sede contenziosa, il primo contraddittorio utile è quindi ora quello ai fini di una eventuale conciliazione, che, per effetto delle modifiche apportate dal Dlgs n. 220/2023, è stata estesa peraltro anche alle controversie pendenti davanti alla Corte di Cassazione (fuori udienza).
La Legge 130/2022 – articolo 4, comma 1, lett. g) - dopo l’articolo 48-bis, del Dlgs n. 546/1992, aveva del resto anche inserito l’articolo 48-bis.1 (Conciliazione proposta dalla Corte di giustizia tributaria), introducendo – di fatto – una nuova ipotesi di conciliazione dedicata alle controversie mediabili ma non mediate, oggi rivisitata per effetto della abrogazione dell’istituto della mediazione operata dall’articolo 2, comma 3, lett.a), del Dlgs n. 220/2023.
Il Dlgs n. 220/2023 – articolo 1, lett. u) – è intervenuto infatti sul punto prevedendo adesso che la Corte di Giustizia Tributaria, ove possibile, può formulare alle parti una proposta conciliativa, avuto riguardo all’oggetto del giudizio e ai precedenti giurisprudenziali.
La proposta può essere formulata in udienza o fuori udienza.
Se è formulata fuori udienza, è comunicata alle parti.
Se è formulata in udienza, è comunicata alle parti non comparse con la fissazione di una nuova udienza.
La causa, se richiesto da una delle parti, può essere rinviata alla successiva udienza per il perfezionamento dell’accordo conciliativo.
In pratica, viene assegnata alla Corte di Giustizia Tributaria, ove possibile, il compito di formulare alle parti una proposta conciliativa, avuto riguardo all’oggetto del giudizio e all’esistenza di questioni di facile e pronta soluzione.
E se il giudice ti chiede di conciliare… è sempre opportuno seguire il “consiglio”.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: L’abrogazione della mediazione tributaria