Come funziona il pagamento per l'accordo di conciliazione giudiziale? Le somme vanno pagate entro 20 giorni dalla sottoscrizione. Previste anche riduzioni delle sanzioni in casi specifici
Abbiamo già visto che l’accordo previsto in caso di conciliazione “fuori udienza” ovvero il processo verbale nel caso di conciliazione “in udienza”, costituiscono titolo per la riscossione delle somme dovute all’ente impositore.
Conciliazione giudiziale ordinaria: le modalità di pagamento
Il versamento delle intere somme dovute o, in caso di versamento rateale, della prima rata, va effettuato entro 20 giorni dalla data di sottoscrizione dell’accordo, per la conciliazione “fuori udienza”, o di redazione del processo verbale, per la conciliazione “in udienza”.
Dagli importi dovuti a titolo di conciliazione vanno computate in diminuzione le eventuali somme versate dal contribuente a titolo di iscrizione provvisoria.
Per il versamento rateale delle somme dovute si applicano le disposizioni previste per l’accertamento con adesione dall’art.8, del D.Lgs.n.218/1997.
Pertanto, è ammesso il pagamento rateale in un massimo di 8 rate trimestrali di pari importo o in un massimo di 16 rate trimestrali se le somme dovute superano i 50.000 euro.
Sull’importo delle rate successive alla prima sono dovuti gli interessi calcolati dal giorno successivo al termine di versamento della prima rata.
Nel caso di mancato pagamento delle somme dovute entro il termine di 20 giorni dalla sottoscrizione dell’accordo o del verbale di conciliazione o, in caso di rateizzazione, di una delle rate, compresa la prima, entro il termine di pagamento della rata successiva, è prevista l’iscrizione a ruolo delle residue somme dovute a titolo di imposta, interessi e sanzioni, nonché della sanzione per omesso versamento, disciplinata dall’articolo 13 del D. Lgs. n.471/1997, aumentata della metà ed applicata sull’importo residuo dovuto a titolo di imposta.
Conciliazione giudiziale: il cosiddetto lieve inadempimento
Analogamente a quanto previsto per l’accertamento con adesione e per il reclamo/mediazione di cui all’art.17-bis, del D.Lgs.n.546/1992, trova applicazione anche per la conciliazione giudiziale l’art. 15-ter, comma 3, del D.P.R. n. 602/1973, concernente il c.d. “lieve inadempimento”, norma che esclude la decadenza in caso di:
- insufficiente versamento della rata, per una frazione non superiore al 3 per cento e, in ogni caso, a 10.000 euro;
- tardivo versamento della prima rata, non superiore a 7 giorni.
Nei casi in cui l’insufficiente o il tardivo pagamento integri un “lieve inadempimento”, l’Ufficio iscrive a ruolo l’eventuale frazione non pagata, della sanzione di cui all’art. 13, del D. Lgs. n. 471/1997, commisurata all’importo non pagato o pagato in ritardo, e dei relativi interessi.
La predetta iscrizione a ruolo non è eseguita se il contribuente si avvale del ravvedimento operoso di cui all’art.13 del D. Lgs. n. 472/1997, entro il termine di pagamento della rata successiva ovvero, in caso di versamento in unica soluzione o di ultima rata, entro 90 giorni dalla scadenza del termine previsto per il versamento.
Conciliazione giudiziale: le sanzioni
Per effetto di quanto disposto nell’art. 48-ter, del D.Lgs.n.546/1992, ai fini sanzionatori la conciliazione consente la riduzione delle sanzioni al 40 per cento del minimo previsto dalla legge, qualora l’accordo intervenga nel primo grado di giudizio, elevata al 50 per cento se la conciliazione avviene in appello.
E’ stata, altresì, estesa dal D.Lgs. n. 158/2015, anche alla conciliazione giudiziale, la disciplina recata dall’art.12, comma 8, del D.Lgs.n.472/1997, secondo cui:
“le disposizioni sulla determinazione di una sanzione unica in caso di progressione si applicano separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo d’imposta.”
Conciliazione giudiziale: l’indeducibilità dell’onere corrispondente all’IVA divenuta indetraibile a seguito di accordi conciliativi
Di particolare interesse è la risposta all’interpello n.541 del 31 ottobre 2022, dove una società chiedeva di sapere se le somme versate relative all’IVA divenuta indetraibile a seguito dell’accordo quadro e dei conseguenti accordi conciliativi assumano rilevanza fiscale e, pertanto, se possono essere interamente dedotte dal reddito di impresa, sia ai fini del calcolo della base imponibile IRES che ai fini del calcolo della base imponibile IRAP.
Secondo la tesi della società:
“l’IVA indetraibile costituisce un onere che si aggiunge al costo dell’operazione e che va, quindi, ad influenzare il risultato dell’esercizio, rendendo, in tal modo, inattuabile il principio di neutralità dell’imposta che rappresenta l’elemento caratterizzante dell’IVA. Da questo, evidentemente, deriva la deducibilità dal reddito d’impresa dell’IVA indetraibile. Se così non fosse, infatti, sarebbe preclusa al contribuente la deduzione dal reddito di un costo sostenuto nell’esercizio dell’impresa (da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito stesso), in contrasto con l’articolo 109, comma 5, del TUIR, oltre che con il principio costituzionalmente garantito della capacità contributiva.”
Per la società:
“è proprio dagli atti conciliativi che si evince il carattere novativo del riconoscimento dell’indetraibilità dell’IVA inizialmente detratta. Sia nell’accordo quadro che nei medesimi accordi conciliativi, infatti, viene riconosciuta la legittimità e la genuinità dei contratti di appalto (oggetto dell’accertamento) e, solamente nel corso delle trattative per la sottoscrizione degli stessi emerge una possibile differente interpretazione della vicenda oggetto di contestazione, che è stata giuridicamente riqualificata, portando al riconoscimento dell’indetraibilità di una parte dell’IVA.”
Per le Entrate, invece, se le società avessero fatturato il riaddebito dei contributi per il personale ai consorzi applicando correttamente l’IVA:
“non sarebbero state gravate da alcun onere in quanto avrebbero avuto la possibilità di recuperare in rivalsa nei confronti dei consorzi stessi l’IVA ordinariamente versata all’Erario, facendo venire meno le ragioni che hanno giustificato, in sede di conciliazione, la riqualificazione - come indetraibile - dell’IVA versata in relazione alle fatture passive ricevute dai consorzi e garantendo così la neutralità dell’imposta. Pertanto, il costo corrispondente all’IVA divenuta indetraibile e versata dalla società istante all’Erario in esecuzione degli accordi conciliativi non dà luogo a componenti reddituali fiscalmente rilevanti in quanto si è in presenza di componenti che non rappresentano un fattore produttivo dell’attività del soggetto istante. Peraltro, la loro deduzione non risulterebbe coerente col contesto generale in cui gli stessi sono maturati e con le conseguenze che la condotta del contribuente ha generato, in termini di debenza dell’imposta, nel sistema.”
Per quanto concerne la deducibilità degli interessi versati in esecuzione degli accordi conciliativi, le Entrate ritengono applicabili i principi espressi nella risoluzione n. 178/E del 9 novembre 2001, dove è stato precisato che gli interessi passivi, quali oneri generati dalla funzione finanziaria, sono assimilabili ad un costo generale dell’impresa, cioè ad un costo non specificamente riferito ad una particolare attività aziendale o ritenuto accessorio ad un particolare onere.
La loro deducibilità, quindi, deve essere determinata solo applicando le modalità di calcolo dettate dal TUIR al loro ammontare complessivo, indipendentemente dal fatto aziendale che li ha generati o dalla deducibilità del costo al quale sono collegabili. Per l’Amministrazione finanziaria:
“considerato che agli interessi passivi in esame versati (in un’unica soluzione) dalla società istante in esecuzione degli accordi conciliativi non si applica l’articolo 96 del TUIR, essi sono integralmente deducibili sulla base delle regole generali di deducibilità del reddito d’impesa nel periodo d’imposta 2021 (periodo d’imposta in cui sono stati sottoscritti gli accordi conciliativi che ne hanno previsto il pagamento).”
E tenuto conto che gli interessi passivi in questione non derivano da operazioni aventi “causa finanziaria”, essi saranno deducibili, nel periodo d’imposta 2021:
“anche ai fini IRAP sempreché classificati - secondo corretti principi contabili - in una voce del conto economico del bilancio di esercizio rilevante nella determinazione della base imponibile del tributo regionale.”
Conciliazione giudiziale: le spese di lite
La L.n. 130/2022 – art.4, comma 1, lett.d) – è intervenuta sull’art.15, del D.Lgs.n.546/1992, sostituendo il comma 2-octies.
La precedente formulazione così recitava:
“qualora una delle parti abbia formulato una proposta conciliativa, non accettata dall’altra parte senza giustificato motivo, restano a carico di quest’ultima le spese del processo ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata. Se è intervenuta conciliazione le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione.”
Oggi, invece, tale norma è stata così modificata:
“Qualora una delle parti ovvero il giudice abbia formulato una proposta conciliativa, non accettata dall’altra parte senza giustificato motivo, restano a carico di quest’ultima le spese del giudizio maggiorate del 50 per cento, ove il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della proposta ad essa effettuata. Se è intervenuta conciliazione le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione.”
In pratica costa cara la rinuncia alla conciliazione, senza giustificato motivo.
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