Tempo tuta, quando è incluso nell'orario di lavoro? Il tempo utile per indossare abiti e strumenti necessari per le attività da svolgere viene computato e retribuito solo se il l datore di lavoro impone al lavoratore di indossare gli indumenti in sede. A stabilirlo è il Ministero del Lavoro con l'interpello numero 1 del 23 marzo 2020.
Tempo tuta, utile per indossare abiti e strumenti necessari per le attività da svolgere, quando è incluso nell’orario di lavoro?
Può essere computato e retribuito solo se il datore di lavoro impone al lavoratore di conservare e indossare gli indumenti in sede. A stabilirlo è il Ministero del Lavoro con la risposta all’interpello numero 1 del 23 marzo 2020 che coglie anche l’occasione per chiarire i confini e la definizione dell’orario di lavoro.
- Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali - Interpello numero 1 del 23 marzo 2020
- Interpello ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo n. 124/2004 - Retribuibilità dei tempi di vestizione dei lavoratori: articolo 1, comma 2, lett. a), del decreto legislativo n. 66/2003.
Tempo tuta, quando è incluso nell’orario di lavoro? Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociale
Lo spunto per il chiarimento arriva dall’UGL - Federazione nazionale delle autonomie. I tempi necessari per indossare la divisa da parte dei dipendenti, inquadrati in vari ruoli professionali, di aziende con un CCNL che non prevede disposizioni specifiche al riguardo, possono essere inclusi nell’orario di lavoro? Questa è la domanda posta al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali.
I chiarimenti arrivano con la risposta al’interpello numero 1 del 23 marzo 2020.
Nell’orientamento giuridico tracciato dalla Corte di Cassazione, esistono due possibilità:
- se il lavoratore riceve in dotazione gli indumenti di lavoro e ha la possibilità di portarli a casa, andando al lavoro con gli indumenti già indossati, il tempo tuta, impiegato per la vestizione, non può essere considerato orario di lavoro;
- se, invece, il lavoratore riceve determinati indumenti, con il vincolo di tenerli e di indossarli sul posto di lavoro, il tempo necessario alla vestizione e svestizione rientra nel concetto di orario di lavoro e, in quanto tale, può essere computato e retribuito.
Il documento richiama esplicitamente la linea adottata dalla Corte di Cassazione:
“Ove sia data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo dove indossare la divisa (anche eventualmente presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro), la relativa operazione fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell’attività lavorativa, e come tale il tempo necessario per il suo compimento non deve essere retribuito.
Se, invece, le modalità esecutive di detta operazione sono imposte dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo e il luogo di esecuzione, l’operazione stessa rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito”.
Un esempio pratico? Gli infermieri, per loro indossare la divisa rientra tra le attività propedeutiche alla prestazione lavorativa.
L’attività di assistenza presso istituti residenziali richiede, infatti, che per questioni di igiene la divisa sia indossata e tolta presso il luogo di lavoro e non altrove.
Tempo tuta e definizione dell’orario di lavoro: i chiarimenti dell Ministero del Lavoro
Le precisazioni sul tempo tuta, necessario per indossare gli indumenti utili allo svolgimento di specifiche attività, per il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali sono anche l’occasione utile per ribadire i confini dell’orario di lavoro, che consiste in “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio delle sue funzioni”, come definito dall’articolo 1 del decreto legislativo numero 66 del 2003.
Tre sono le condizioni illustrate:
- essere al lavoro;
- a disposizione del datore di lavoro;
- nell’esercizio delle funzioni di competenza.
In questa ottica potrebbe sembrare difficile poter inquadrare il tempo dedicato dal lavoratore ad indossare gli indumenti di lavoro (ad esempio: tute, abiti, divise, camici, dispositivi di protezione individuale) nel concetto di orario di lavoro, in quanto il lavoratore, nel momento del cambio, non presta attività lavorativa, e quindi non esercita le sue funzioni.
Ma la Corte di Cassazione ha chiarito che “per valutare se un certo periodo di servizio rientri o meno nella nozione di orario di lavoro, occorre stabilire se il lavoratore sia o meno obbligato ad essere fisicamente presente sul luogo di lavoro e ad essere a disposizione del datore di lavoro per poter fornire immediatamente la propria opera”.
E nel caso del tempo tuta il vincolo di non portare a casa gli indumenti impone la necessità di essere sul luogo di lavoro.
Si tratta di una lettura condivisa anche a livello europeo, la Corte di Giustizia UE ai sensi della direttiva 2003/88 esclude dall’orario di lavoro il periodo durante il quale i lavoratori dispongono della “possibilità (…) di gestire il loro tempo in modo libero e di dedicarsi ai loro interessi”.
Nel caso analizzato il lavoratore risulta obbligato ad eseguire le istruzioni del proprio datore di lavoro, senza poter gestire liberamente il proprio tempo.
Da qui la conclusione: il tempo tuta e doccia deve essere retribuito ove sia eterodiretto dal datore di lavoro, che ne disciplina tempo e luogo di esecuzione.
Diverso è il caso in cui, invece, il dipendente ha la facoltà di scegliere quando e dove cambiarsi.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Tempo tuta, quando è incluso nell’orario di lavoro e quindi retribuito?