Dipendenti pubblici in smart working, per i sindacati il decreto Dadone presenta molte criticità, ed indicono lo stato d'agitazione, preludio allo sciopero della PA. In ballo anche il rinnovo del contratto in Legge di Bilancio 2021 e le assunzioni
Lo smart working per i dipendenti pubblici previsto dal decreto Dadone non piace ai sindacati.
Mentre dal settore privato arrivano dure critiche alla prosecuzione e all’aumento dello smart working negli uffici pubblici, anche i sindacati si dichiarano contrari alle regole previste dal provvedimento.
Secondo uno studio effettuato da Confartigianato, il 69% delle imprese ha incontrato difficoltà nell’accesso agli uffici pubblici. In testa c’è il settore delle costruzioni che, complice l’avvio del superbonus 110%, vede nello smart working dei dipendenti pubblici il rischio di un blocco dei lavori e delle pratiche.
Smart working per i dipendenti pubblici o lavoro agile, che dir si voglia non cambia il fatto che anche i sindacati del pubblico impiego sono scesi sul piede di guerra contro l’ultimo Decreto del ministro per la PA Fabiana Dadone.
Il 20 ottobre è stato dichiarato lo stato di agitazione (che di solito precede lo sciopero vero e proprio) dalle organizzazioni confederali di categoria del settore Fp Cgil, Cisl Fp, Uilpa e Uil Fpl per un insieme di motivi che però si sono coagulati intorno al recente provvedimento emesso dalla titolare del Dipartimento della Funzione pubblica, peraltro previsto dal precedente Dpcm del 18 ottobre.
“Quando la ministra afferma che nel suo Decreto ministeriale non ha interferito con la contrattazione, ma anzi ha addirittura previsto che le amministrazioni possano confrontarsi con i sindacati” - affermano in un comunicato unitario i sindacati del pubblico impiego - “commette un atto di rilegificazione di materie che oggi sono titolarità della contrattazione. Intanto con il Dm è stato superato unilateralmente il contratto individuale di smart working che era previsto dalla legge 81/17, in più si dà il potere al dirigente di decidere su materie che sono oggetto della contrattazione collettiva, come la flessibilità degli orari o il lavoro agile. Ci domandiamo, a tal proposito, con quale autorità un dirigente possa decidere quali siano i lavoratori fragili da tutelare”.
Smart Working dipendenti pubblici, i motivi della rivolta contro il decreto
Il citato superamento delle legge 81 del 2017 per quanto riguarda l’accordo individuale per il lavoro agile è uno solo dei motivi dell’ostilità al recente Decreto Dadone.
I sindacati contestano in realtà anche:
- il fatto che il governo scarichi sui lavoratori la responsabilità di mancati investimenti in innovazione tecnologica e in formazione, ad esempio con la possibilità che per quanto riguarda la strumentazione tecnologica i lavoratori possano ricorrere a dispositivi di loro proprietà, data l’attuale impossibilità a fornirne a tutti da parte delle amministrazioni;
- aumenta il potere discrezionale dei dirigenti rispetto alla flessibilità dell’orario e sulla decisione di estendere le tutele per le particolari condizioni di salute;
- rappresenta una delusione sulle percentuali di forza lavoro da porre in smart working dato che si era parlato del 75% e invece l’obbligo per la PA è solo del 50%;
- rappresenta un’illusione rispetto alla risoluzione di diversi problemi organizzativi e disciplinari che si pongono dal periodo del cosiddetto lockdown;
- riduce le prerogative delle organizzazioni sindacali stabilite dal contratto collettivo di lavoro.
Si può legittimamente ipotizzare che l’ultimo motivo abbia una particolare rilevanza nella “scaletta motivazionale” dei sindacati che si sono sentiti scavalcati dal ministro su un tema assai caro ai lavoratori pubblici, tuttavia non bisogna sottovalutare l’importanza di altri temi come quelli legati al rinnovo dei contratti del pubblico impiego.
Non solo smart working. Rinnovo dei contratti e assunzioni, poche le risorse a disposizione
Per le organizzazioni di categoria di Cgil, Cisl e Uil le risorse messe a disposizione per il rinnovo dei contratti in scadenza nel 2021 sono davvero poche, nonostante le dichiarazione del ministro Dadone sul fatto che siano stati garantiti più soldi che in passato. A detta dei sindacati:
“la media di incrementi contrattuali si aggira intorno agli 83 euro lordi, che sono al di sotto di quanto previsto dal contratto 2016-2018, ma anche molto lontani dall’aspettativa dei lavoratori. Lo dica la ministra agli infermieri e al personale sanitario che l’indennità per la terapia intensiva rimarrà di 4,16 euro al giorno e non potrà essere incrementata né rivalutata perché lei ha deciso che le risorse che ha stanziato il governo sono congrue e sufficienti”.
si legge in una nota sindacale unitaria.
D’altra parte il tema dei rinnovi contrattuali, insieme a quello delle assunzioni in vista del prossimo pensionamento di molti lavoratori pubblici, era fonte di polemiche tra governo e sindacati già dall’inizio dell’anno, prima di rimanere congelato a causa dell’emergenza sanitaria.
Per quel che riguarda l’aumento degli stipendi ed il rinnovo del contratto per il triennio 2019-2021, in Legge di Bilancio dovrebbero essere stanziati ulteriori 400 milioni di euro, con un totale di 3,8 miliardi a disposizione.
Se quindi il Ministro Dadone parla di aumenti a tre cifre, 112 euro in più in busta paga, i sindacati dichiarano che con le risorse attualmente disponibili si riuscirà a mala pena a garantire un incremento pari a quello già previsto lo scorso anno, pari a poco meno di 90 euro.
Il tema resta quindi al centro dell’attenzione, accanto a quello dello smart working. L’unica certezza è che, dinanzi alla prospettiva di una recrudescenza dell’epidemia di Coronavirus, l’agitazione nel pubblico impiego diventa per il governo un autentico campo minato.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Smart working dipendenti pubblici, i sindacati contro il Decreto Dadone