Chi lavora in remote o smart working (lavoro agile o lavoro da remoto) può fruire dei buoni pasto?
Durante il periodo di emergenza sanitaria degli anni passati si è molto diffuso il lavoro da casa, il lavoro agile e il lavoro da remoto. Cioé la modalità di lavoro meglio nota come smart working (per quanto, come ormai sappiamo, lo smart working è diverso dal remote working).
Ad ogni modo, una domanda che spesso lettrici e lettori ci pongono sia scrivendo alla newsletter che sui social di Informazione Fiscale riguarda il diritto a fruire dei buoni pasto anche quando lavoratrici e lavoratori operano da casa o in modalità agile.
L’impiego sempre più massiccio della modalità del lavoro agile in risposta effettivamente ha causato una serie di nuovi dubbi applicativi di varia natura, dall’orario di lavoro, all’individuazione degli strumenti utili allo scopo, al training per il loro utilizzo.
Uno di questi dubbi è proprio quello inerente all’utilizzo dei buoni pasto nello smart working e, più in particolare, all’esistenza o meno di un obbligo di concederli in capo di datore di lavoro.
In linea generale, riportano i Consulenti del Lavoro, quando si parla di buoni pasto in regime di smart working è l’azienda o ente pubblico a deciderne l’emissione.
Questo però accade quando nell’eventuale contratto collettivo di riferimento non vi sia alcuna previsione in merito, o quando le condizioni richieste dall’accordo non siano riconducibili al caso di specie.
La questione, tutt’altro che semplice, è stata sviscerata all’interno di un interessante, datato ma sempre attuale approfondimento della Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro, che parte dall’analisi delle principali disposizioni normative e delle pronunce giurisprudenziali.
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I buoni pasto possono essere utilizzati anche da chi lavora in smart o remote working?
Il sempre maggiore utilizzo del regime del lavoro agile o da remoto, e l’assenza di accordi individuali e regolamenti aziendali volti a disciplinarne l’impiego ha creato non poche questioni applicative relative a diversi aspetti.
Una fra tutte: la corretta applicazione a questa particolare modalità di lavoro della disciplina dei buoni pasto, uno dei più usati fringe benefit.
Nell’ordinamento giuridico italiano i buoni pasto sono indirettamente disciplinati dalla normativa sull’appalto.
L’articolo 144 comma 3 del D.Lgs. numero 50/2016 definisce l’emissione dei buoni pasto come
“attività finalizzata a rendere per il tramite di esercizi convenzionati il servizio sostitutivo di mensa aziendale”
L’emissione avviene secondo le modalità previste dal decreto del Ministero dello Sviluppo Economico numero 122/2017 che, come viene ricordato nell’approfondimento, non contempla alcun obbligo di emissione in capo ai datori di lavoro.
Un obbligo che non è rintracciabile neanche all’interno nel cosiddetto Job Act del Lavoro Autonomo (Legge numero 81/2017) che agli articoli 18 e seguenti definisce lo smart working, demandandone però la disciplina alla libera iniziativa sindacale e alle regolazioni aziendali.
Una regola generale che coerentemente si applica, appunto, anche ai buoni pasto.
In assenza di una regolazione collettiva, è quindi il datore di lavoro che decide unilateralmente sulla concessione o meno di questi benefici accessori, o in occasione della stipula del contratto di lavoro con il dipendente o mediante una semplice prassi condivisa.
Smart working e buoni pasto: l’orientamento giurisprudenziale
In più occasioni la giurisprudenza è intervenuta sulla natura dei buoni pasto e sul loro inserimento o meno all’interno della normale retribuzione, arrivando ad una conclusione di cui l’ordinanza della Corte di Cassazione numero 16135/2020 risulta un valido sunto.
L’orientamento giurisprudenziale richiamato dalla pronuncia, infatti, associa queste prestazioni a delle agevolazioni di carattere assistenziale collegate occasionalmente al rapporto di lavoro e, in ragione di questa occasionalità, tenute al di fuori del trattamento retributivo in senso stretto.
Trattandosi quindi di un elemento che prescinde dal trattamento retributivo vero e proprio, la Cassazione ha ammesso chiaramente che il riconoscimento di questo beneficio possa essere previsto e regolato dal solo datore di lavoro sempreché, come anticipato, non sia previsto nulla a livello di contrattazione collettiva.
Bisogna però considerare che l’ipotesi dell’accordo collettivo che disciplina il lavoro agile non abituale raramente si presenta, data la particolarità della materia, nonostante il suo impiego ormai così diffuso.
Esistono, tuttavia, previsioni di fonte sindacale che riguardano in generale i buoni pasto e le condizioni che ne obbligano la concessione quali, per esempio, l’orario di lavoro prestabilito e la consumazione del pasto al di fuori di detto orario e in assenza di un servizio di mensa.
Smart working e buoni pasto: il rapporto tra contrattazione collettiva e accordo privato
È dalla lettura dell’articolo 20 della citata Legge numero 81/2017 (Job Act) in materia di regolazione collettiva, che, per esempio, la Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro arrivano a dare una risposta all’interrogativo in premessa, una risposta peraltro in linea con la giurisprudenza di merito.
La norma richiamata, infatti, stabilisce che:
“Il lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente applicato, in attuazione dei contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, nei confronti di lavoratrici e lavoratori che svolgono le medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda”.
Ecco, quindi, che anche in materia di buoni pasto e smart working interviene la consueta gerarchia delle fonti in materia di lavoro che vede la contrattazione collettiva, quando presente, disegnare il quadro generale.
Un caso emblematico si è concretizzato nel marzo del 2021, con la stipula tra CIFA (Confederazione Italiana Federazioni Autonome) e CONFSAL (Confederazione Generale Sindacati Autonomi Lavoratori) dell’accordo interconfederale che fissa le regole per il ricorso al lavoro agile, valido per tutte le imprese che applicano i CCNL da loro sottoscritti.
In estrema sintesi, se il contratto collettivo prevede che al dipendente che lavora in sede vengano distribuiti i buoni pasto a determinate condizioni (solitamente orario di lavoro scadenzato e pasto al di fuori di detto orario)
qualora quelle determinate condizioni si ripresentino in caso smart working il beneficio deve essere ugualmente concesso
E ancora, sarà il datore di lavoro a fronte dell’assenza della contrattazione collettiva sul punto, e sempre secondo la sua libera iniziativa, a regolare in sede di stipula privata o anche solo di prassi condivisa l’emissione dei buoni pasto in favore dipendenti in regime di lavoro agile.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Buoni pasto anche in smart working?