Per il Fisco è un autunno caldo: dalle scadenze della rottamazione quater ai nodi che riguardano le ultime lettere di compliance inviate. Un commento delle ultime notizie fiscali
La ripresa delle attività degli studi dopo le vacanze estive è stata caratterizzata, oltre che dalla ordinaria amministrazione, da una serie di adempimenti previsti in questi primi mesi autunnali alcuni dei quali prorogati come di consueto all’ultimo momento:
- rottamazione quater;
- beni ai Soci - assegnazione/cessione/trasformazione;
- definizione agevolata liti pendenti;
- definizione irregolarità formali;
- avvisi bonari imposte periodo Covid;
- comunicazione titolare effettivo;
- promozione adempimento spontaneo sui dati informativi forfettari;
- promozione adempimento spontaneo sulle discrasie scontrini-POS;
Probabilmente starà sfuggendo anche qualcosa ma già questo quadro piuttosto corposo si sovrappone alle scadenze dell’ordinaria amministrazione del periodo autunnale:
- predisposizione verifica ed invio CU professionisti;
- predisposizione verifica ed invio 770;
- predisposizione verifica ed invio dichiarazioni redditi ed IRAP;
Senza dimenticare quanto già svolto a settembre su LiPe, imposta di bollo e dati del primo semestre da inviare al Sistema Tessera Sanitaria.
Autunno caldo tra rottamazione e compliance
L’autunno meteorologico tarda ad arrivare ma è ben presente sulle scrivanie degli studi fin da inizio settembre.
Per quanto riguarda la rottamazione quater la novità ha riguardato la possibilità concessa in deroga a quanto previsto dalla norma di poter modificare il numero di rate, una novità ben accetta da diversi contribuenti che hanno potuto così correggere l’errata indicazione nel modello inviato la scorsa primavera od anche tarare l’impegno finanziario in base a sopraggiunte esigenze.
Questo, però, è stato possibile fino al 10 ottobre scorso mentre più di qualche consegna degli esiti della domanda di definizione agevolata è ancora in corso.
La campagna sull’adempimento spontaneo riguardo i dati informativi dei contribuenti in regime forfettario, probabilmente derivante dall’esigenza di arrivare a definire un algoritmo che predisponga una proposta di concordato preventivo quanto più aderente possibile alla realtà del contribuente destinatario, ha poi suscitato molte polemiche circa l’inutilità di tali informazioni dimenticando che, volente o nolente, trattasi di un obbligo di legge in essere da diversi anni.
Su questo punto il tema caldo resta comunque relativo ai contenuti da riportare, con particolare riferimento ai costi promiscui.
A parere di chi scrive si deve far riferimento alla sola documentazione inerente l’attività oggetto di fattura intestata al soggetto IVA, che è peraltro la stessa documentazione da conservare come indicato al comma 59 in vigore senza modifiche intervenute dal 2015 ad oggi:
“Salvo quanto disposto dal comma 60, i contribuenti che applicano il regime forfetario sono esonerati dal versamento dell’imposta sul valore aggiunto e da tutti gli altri obblighi previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, ad eccezione degli obblighi di numerazione e di conservazione delle fatture di acquisto e delle bollette doganali, di certificazione dei corrispettivi e di conservazione dei relativi documenti (...)”.
Conclusione peraltro confermata dalla Agenzia delle Entrate con la Circolare 24/E del 30 maggio 2016 avente oggetto gli studi di settore – periodo di imposta 2015 che riporta il caso seguente:
“Ad esempio, le informazioni relative ai costi richieste agli esercenti attività di impresa dovranno essere dichiarate solo laddove i contribuenti abbiano ricevuto la relativa documentazione fiscale nel periodo di imposta e nella misura in essa indicata”.
Vero è che l’ultimo paragrafo della stessa Circolare 24/E, rifacendosi a quanto riportato al comma 54 nella sua versione in vigore fino al 31 dicembre 2018 riguardante però i limiti di accesso al regime e non altro, riporta si seguenti riferimenti:
“c) il costo complessivo, al lordo degli ammortamenti, dei beni strumentali alla chiusura dell’esercizio non supera 20.000 euro. Ai fini del calcolo del predetto limite: …
3) i beni, detenuti in regime di impresa o arte e professione, utilizzati promiscuamente per l’esercizio dell’impresa, dell’arte o professione e per l’uso personale o familiare del contribuente, concorrono nella misura del 50 per cento; …”
Il testo, poi, conclude:
“Tenuto conto, infatti, delle finalità cui è destinata la raccolta delle suddette informazioni e delle ragioni di semplificazione che hanno ispirato l’introduzione del nuovo regime agevolato, si fa presente che l’indicazione fornita nella citata circolare n. 10/E del 2016 è applicabile anche ai costi e alle spese afferenti a beni o servizi utilizzati promiscuamente per l’esercizio dell’impresa, dell’arte o professione e per l’uso personale o familiare del contribuente. Pertanto, nel nuovo prospetto di UNICO denominato “Regime forfetario per gli esercenti attività d’impresa, arti e professioni - Obblighi informativi”, anche i costi e le spese afferenti a beni o servizi utilizzati promiscuamente per l’esercizio dell’impresa, dell’arte o professione e per l’uso personale o familiare del contribuente, dovranno essere dichiarati nella misura del 50 per cento.”
Pur comprendendo le ragioni dell’Amministrazione Finanziaria finalizzata all’ottenimento di informazioni più possibile relative alla dinamica dei costi attinenti l’attività svolta dal contribuente, la tesi sopra riportata appare del tutto opinabile, considerando proprio le stesse “ragioni di semplificazione che hanno ispirato l’introduzione del nuovo regime agevolato” citate dalla Agenzia nel suo documento di prassi volto ad estendere la valenza di un passaggio della norma riguardante i soli limiti di accesso al regime, peraltro non più in vigore dall’anno di imposta 2019.
La questione relativa ai POS
Un ultimo commento riguarda la vicenda riguardante l’invio di diversi dati non corretti da parte del sistema bancario all’Agenzia delle Entrate. Materiale informatico utilizzato per la campagna di adempimento spontaneo sulle discrasie tra i corrispettivi dichiarati e le risultanze dei movimenti POS.
L’iniziativa, corretta dal punto di vista della sempre giusta attività di controllo che l’Amministrazione deve svolgere, non può non prevedere una preventiva analisi e verifica dei dati quale riferimento per la rilevazione delle incongruenze segnalate con le comunicazioni inviate ai contribuenti.
La questione non tocca solo i dati POS errati ma anche la mancata considerazione di altre variabili quali esercizio di attività non soggette o solo in parte a certificazione dei corrispettivi od anche pagamento differito rispetto alla data di emissione del documento.
Bisogna necessariamente ribadire e sottolineare che contribuenti e professionisti, pur nella massima fattiva collaborazione nell’esecuzione dei compiti propri dell’Agenzia delle Entrate, non possono o meglio non devono sostituirsi alla attività del personale della Pubblica Amministrazione nel doveroso preventivo riscontro materiale dei dati considerati per qualsivoglia attività finalizzata al contrasto all’evasione, accertamento o compliance che sia, a maggior ragione se acquisiti da terzi.
Ci sarebbe da soffermarsi anche sul decreto del MIMIT pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 236 del 9 ottobre scorso riguardante l’adempimento della comunicazione del titolare effettivo che si sostanzierà nel 90 per cento circa dei casi in una mera conferma delle risultanze camerali, con annesso obolo in diritti da versare al Sistema Camerale, ma per ora ci fermiamo qua: l’autunno ha già fornito parecchi spunti.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: L’autunno caldo del Fisco: dalla rottamazione quater ai nodi sulla compliance