Il rimborso delle somme in eccesso versate al Fisco si può ottenere solamente dimostrando di aver effettivamente versato quanto si richiede
È principio generale che chi agisce per la restituzione di somme che afferma di avere corrisposto all’Erario debba dimostrare di averle versate.
Pertanto, il sostituto d’imposta estero che chiede un rimborso deve disporrebbe di un titolo valido per conseguire la restituzione delle somme, anche se non direttamente versate.
Nel caso di interessi passivi che una società residente corrisponde alla controllata estera, ciò sarebbe possibile, ad esempio, se la società italiana avesse provveduto ad operare e versare le trattenute previste dalla legge, perché in questo caso la società estera avrebbe ricevuto una minor somma a titolo di interessi, ed avrebbe subito un pregiudizio economico suscettibile di restituzione, oppure qualora la stessa avesse rimborsato alla società italiana gli oneri sopportati.
Questo il contenuto dell’Ordinanza n. 14817 del 26 maggio 2023 della Corte di Cassazione.
Il fatto che ha portato all’Ordinanza della Corte di Cassazione
La controversia trae origine da una verifica fiscale generale condotta nei confronti di una società italiana, a cui l’Agenzia delle entrate contestava l’omesso versamento di ritenute alla fonte.
In concreto la società aveva ottenuto un finanziamento dalla controllante con sede nel Regno Unito, per effetto del quale le era stato messo a disposizione un conto corrente di finanziamento.
In relazione all’anno controllato, erano maturati interessi passivi, che avrebbero dovuto essere assoggettati ad imposizione nella misura del 12,5 per cento in favore del Fisco italiano, ai sensi dell’art. 26, comma 5 del DPR n. 600 del 1973, trattandosi di Paese c.d. white list.
Da qui l’emissione dell’avviso di accertamento nei confronti della società italiana in qualità di sostituto d’imposta, regolarmente pagato dalla stessa. Successivamente la controllante estera presentava istanza di rimborso delle somme versate dalla controllata italiana, a cui l’Agenzia delle Entrate opponeva il silenzio-rifiuto.
La CTR, in riforma della sentenza della CTP, accoglieva l’appello delle società ricorrenti, riconoscendo la sussistenza del diritto al rimborso da parte del soggetto non residente e avverso tale pronuncia l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per Cassazione.
Per quanto di interesse, l’Agenzia delle Entrate lamenta che la società estera non possedesse i requisiti per poter richiedere il rimborso delle somme versate dalla controllata italiana perché, pur volendo ammettere che fosse la beneficiaria effettiva degli interessi, non poteva chiedere alcun rimborso non essendo stata incisa da alcun prelievo fiscale.
Nel caso di specie, infatti, solo la società italiana avrebbe potuto presentare un’istanza di rimborso, essendo stato il proprio patrimonio inciso dal prelievo fiscale attraverso il pagamento dell’avviso di accertamento.
La critica proposta dall’Amministrazione finanziaria è risultata fondata in quanto, pur avendo ritenuto che la società britannica fosse il beneficiario effettivo delle somme e possedesse anche gli ulteriori requisiti di legge per conseguire in astratto il rimborso, competeva comunque alla CTR accertare, anche d’ufficio, chela società controllante straniera potesse vantare, in concreto, un titolo per domandare la restituzione di somme.
Solo chi dimostra di aver versato somme all’Erario può chiederne il rimborso
La questione dirimente è che la controllante estera richiede al Fisco italiano il rimborso di somme che non prova di aver versato all’Erario, fermo restando che è pacifico che non lo abbia fatto direttamente, perché il versamento è stato effettuato dalla società italiana a seguito del ricevimento dell’avviso di accertamento.
Rappresenta allora un principio generale che chi agisce per conseguire un rimborso, pertanto la restituzione di somme che afferma di avere corrisposto, debba dimostrare di averle versate.
Evidentemente una valutazione diversa dovrebbe proporsi nell’ipotesi in cui la società italiana avesse provveduto ad operare e versare le trattenute, come previsto dalla legge, perché in questo caso la società inglese avrebbe ricevuto una minor somma a titolo di interessi, ed avrebbe subito un pregiudizio economico suscettibile di restituzione al ricorrere delle condizioni di legge.
Del pari la società inglese disporrebbe di un titolo per conseguire la restituzione delle somme qualora avesse rimborsato alla società italiana gli oneri sopportati ma, anche a tal proposito, deve rilevarsi che la società inglese neppure allega di avervi provveduto, tanto meno lo prova.
D’altra parte la società italiana, che non ha operato le trattenute dovute per legge e non le ha versate all’Erario, ha prestato acquiescenza all’accertamento tributario, divenuto incontestabile, e non ha titolo per promuovere un’azione di rimborso. Oltretutto la stessa non ha proposto al Fisco italiano l’istanza di rimborso per cui è causa, e non possiede pertanto la legittimazione ad agire in questo giudizio.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Solo chi dimostra di aver versato somme all’Erario può chiederne il rimborso