La legge delega della riforma fiscale compie un anno e di lavoro ce n'è ancora tanto da fare. Ma qualsiasi riforma non potrà prescindere dalla riduzione della spesa pubblica
La legge delega di riforma fiscale compie oggi un anno.
Un anno in cui di lavoro se n’è sicuramente fatto molto, ma tanta è ancora la strada che occorre percorrere.
Sono 11 i decreti legislativi approvati ma ancora 45 provvedimenti attuativi da emanare, tutti collegati a misure che per diventare operative richiedono un intervento da parte dell’Agenzia delle Entrate o del MEF.
Al di là di questi aspetti, tuttavia, quello che oggi vogliamo evidenziare è la necessità di una nuova visione di sistema, che consenta di arrivare finalmente ad un sistema fiscale moderno, equo e funzionale alle esigenze di un’economia di un Paese del G8.
Il fisco oggi purtroppo può rappresentare un vero e proprio freno allo sviluppo del Paese, per questo motivo la riforma fiscale è un crocevia fondamentale: occorre necessariamente semplificare il sistema, renderlo maggiormente equo e sostenibile.
Ma di per sé il sistema fiscale può fare poco se le scelte dei nostri policy makers non cambieranno radicalmente in futuro.
La questione non è solo quella di semplificare, razionalizzare e rendere più semplice il sistema.
L’altro ovvio, annoso e complesso obiettivo è quello di ridurre la pressione fiscale, davvero troppo alta.
Nel 2023 il dato ufficiale è al 42,50%! Ma ci sono studi, per esempio quello della Cgia di Mestre, che dimostrano come, considerando i dati teorici sull’economia sommersa, il valore reale tenda addirittura al 47%. Al momento siamo il sesto Paese per pressione fiscale nell’Unione Europea, dove la pressione fiscale media si attesta al 41,1%.
Se ci pensiamo non siamo poi così lontani dalla media europea e l’obiettivo di ridurre l’imposizione fiscale complessiva di uno o due punti l’anno è alla portata di un grande Paese come il nostro. Ma per farlo occorre necessariamente ridurre la spesa pubblica improduttiva. Facile a dirsi, davvero difficile a farsi.
Ridurre la spesa pubblica vuol dire innanzitutto eliminare benefici previsti per alcune cittadini e alcuni cittadini. E chi lo dovrebbe fare? La burocrazia, che quegli stessi benefici ha contribuito ad alimentare.
Ma lo sappiamo: la burocrazia è un potere che si autoalimenta, impegnato nella ricerca costante di altro potere e incrementi retributivi.
Occorre quindi una rivoluzione culturale e di approccio nei confronti della cosa pubblica.
Si pensi, a mero titolo di esempio, al motivo per cui si pagano imposte, tasse e contributi ed alla loro destinazione: perché paghiamo questi importi e dove/come vengono utilizzati i soldi di ciascuno di noi? Quale utilità produciamo verso noi stessi e verso la comunità alla quale apparteniamo?
Iniziare a rispondere con cognizione di causa a queste domande ci mette in una condizione di cittadinanza attiva e consapevole, che fa sentire la sua voce alle istituzioni e che promuove - ovviamente ciascuno per quello che può - tutte le iniziative necessarie a migliorare il già fantastico Paese nel quale viviamo.
Nel diagramma sopra c’è la ripartizione delle categorie di spesa che lo Stato sostiene per sostenere il nostro sistema economico: al primo posto c’è la previdenza, al secondo la sanità e così via. La meritoria iniziativa è condotta da tre anni dall’Agenzia delle Entrate, che mette a disposizione di tutti noi questo prospetto all’interno del cassetto fiscale.
Sapere, a grandi linee, come funziona il nostro sistema tributario e le conseguenze che questo comporta sul funzionamento della macchina statale nel suo complesso è fondamentale.
Ci fa comprendere, ad esempio, quanto sia grave il fenomeno dell’evasione fiscale in Italia.
Ma ci fa comprendere, allo stesso tempo, come qualsiasi riforma fiscale, anche la migliore, da sola non sia sufficiente: occorre organizzare bene, governare e, nel caso dell’Italia, ridurre la spesa pubblica.
Pensiamo ad alcune misure di incentivo fiscale del recente passato come il cashback fiscale: serviva ad incentivare i consumi interni e far emergere il sommerso. È costata 5,5 miliardi di euro che sono andati a premiare tutte le cittadine ed i cittadini, anche quelli con redditi alti. È rimasta in vigore un anno e poi non è stata rinnovata. Al momento i dati ci dicono che non abbia raggiunto i risultati attesi. Si potevano utilizzare le stesse risorse per ridurre la pressione fiscale per i contribuenti con redditi annui lordi pari o inferiori a 35.000 euro per esempio? Non sarebbe stato più equo? Probabilmente si ma la discussione è aperte e di esempi se ne potrebbero fare molti altri.
Quello che è certo è che il nostro sistema fiscale, giustamente oggetto di riforma, deve necessariamente raggiungere due storici obiettivi: semplificazione e riduzione dell’imposizione complessiva. Il primo obiettivo può essere raggiunto con una seria riforma fiscale, il secondo richiederà necessariamente una svolta epocale nell’approccio alla spesa pubblica, che dovrà essere ridotta e resa davvero efficiente.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Non c’è riforma fiscale senza riduzione della spesa pubblica