I confini della responsabilità del contribuente e del professionista, anche in caso di modello F24 non firmato. Il focus sul tema partendo dall'Ordinanza della Corte di Cassazione n. 35811 del 2021.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 35811 del 22 novembre 2021, ha chiarito alcuni rilevanti aspetti nella delineazione dei non sempre ben individuabili confini tra responsabilità del contribuente e del professionista da lui delegato per le incombenze tributarie.
Nel caso di specie, il concessionario per la Riscossione aveva notificato alla società contribuente una cartella di pagamento per riprese IVA relative all’anno di imposta 2004.
La società aveva impugnato la cartella davanti alla Commissione Tributaria Provinciale, che aveva poi accolto il ricorso.
Avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate aveva quindi proposto appello e la Commissione Tributaria Regionale lo aveva rigettato, ritenendo la ripresa riferibile ad un’operazione illecita posta in essere da un soggetto terzo (il professionista), in danno tanto dell’Amministrazione finanziaria, quanto della contribuente.
L’Amministrazione finanziaria proponeva infine ricorso per cassazione, per avere la Commissione Tributaria Regionale, a suo avviso erroneamente, escluso la legittimità della ripresa operata nei confronti della società, nonostante la stessa fosse tenuta a vigilare sull’operato del professionista, incaricato, per suo conto, della redazione della dichiarazione.
Secondo la Suprema Corte la censura era fondata.
- Corte di Cassazione - Ordinanze numero 35811 del 22 novembre 2021
- Il testo dell’Ordinanza della Corte di Cassazione numero 35811 del 22 novembre 2021
Responsabilità del contribuente e del professionista: i fatti dell’Ordinanza n. 35811/2021
Evidenziano i giudici di legittimità che è infatti consolidato il principio per cui, ove si avvalga dell’opera di un professionista per la presentazione della dichiarazione, dalla quale risultino violazioni delle disposizioni tributarie, è il contribuente che, per andare esente da sanzioni, deve provare la propria assenza di colpa (cfr., Cass., Sez. 5, 17.3.2017, n. 6930).
Lo stesso contribuente, laddove non dimostri di aver vigilato sul professionista, nonché sul comportamento fraudolento dal medesimo tenuto, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento mediante la falsificazione di modelli F24, ovvero di altre modalità di difficile riconoscibilità da parte del mandante, è quindi chiamato a rispondere per l’illecito (nella specie, compensazione fraudolenta) commesso dal professionista incaricato (cfr., Cass., Sez. 5, 20.7.2018, n. 19422).
La mancata sottoscrizione dei modelli F24 non è dunque idonea, di per sé, ad escludere la responsabilità della contribuente (potendo, peraltro, la relativa trasmissione avvenire in via telematica e, dunque, in mancanza di sottoscrizione), occorrendo piuttosto verificare se e come il contribuente/mandante abbia operato, in concreto, la vigilanza sul professionista.
A tale riguardo, peraltro, ricorda la Cassazione, l’art. 3, comma 8, del Dpr. n. 435 del 2001 prevede che “la dichiarazione si considera presentata nel giorno in cui è consegnata dal contribuente alla banca o all’ufficio postale ovvero è trasmessa all’Agenzia delle entrate mediante procedure telematiche direttamente o tramite uno dei soggetti di cui ai commi 2 -bis e 3", laddove il successivo comma 6 prevede che "i soggetti di cui ai commi 2-bis e 3 rilasciano al contribuente.., entro trenta giorni dal termine previsto per la presentazione in via telematica, la dichiarazione trasmessa...”.
Tali disposizioni mirano proprio ad incentivare l’obbligo di controllo e vigilanza sul delegante, potendo (rectius: dovendo) questi effettuare i relativi controlli alla scadenza di ogni adempimento demandato al professionista.
E tali controlli, nella specie, non risultavano effettuati.
Peraltro, aggiunge la Corte, diversamente da quanto ritenuto dalla Commissione Tributaria Regionale, il decreto di archiviazione per prescrizione, emesso nei confronti del professionista delegato, non consentiva affatto di escludere che il fatto non sussistesse, o che l’imputato non lo avesse commesso (cfr., Cass. pen., Sez. 3, 11.12.2003, n. 47437).
Responsabilità del contribuente e del professionista: la posizione della Corte di Cassazione
Tanto premesso, a prescindere dallo specifico caso processuale, giova anche evidenziare quanto segue.
Il contribuente, a cui venga contestata la mancata presentazione della dichiarazione dei redditi, non può considerarsi esente da colpa per il solo fatto di avere incaricato un professionista delle relative adempienze, dovendo egli dimostrare, al fine di escludere ogni profilo di negligenza, di averne controllato l’effettiva esecuzione.
Tale prova, nel concreto, è superabile soltanto a fronte di un comportamento fraudolento del professionista.
In tema di sanzioni per violazioni di disposizioni tributarie, pertanto, la prova dell’assenza di colpa, secondo le regole generali dell’illecito amministrativo, grava sempre sul contribuente, il quale, dunque, risponde per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi da parte del professionista, incaricato della trasmissione, ove non dimostri di aver vigilato sul relativo adempimento (cfr., Cass., Sez. 5, Sentenza n. 6930 del 17/03/2017; e Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 19422 del 20/07/2018, che ha anche affermato che il contribuente doveva allegare le modalità con le quali il professionista abbia effettivamente celato il proprio comportamento fraudolento).
Anche in base a quanto disposto dall’art. 1 della L. n. 423 del 1995, il quale prevede la sospensione della riscossione delle soprattasse e delle pene pecuniarie (per omesso, insufficiente o ritardato versamento d’imposta), qualora la violazione consegua alla condotta illecita, penalmente rilevante, del professionista che abbia agito in costanza del mandato professionale, il contribuente è comunque gravato dell’onere della prova di aver fornito, al professionista incaricato, denunciato all’Autorità giudiziaria, la provvista di quanto dovuto all’Erario e di avere vigilato sul puntuale adempimento dello stesso mandato (cfr., Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 24535 del 18 ottobre 2017).
Vero è che l’art. 6, comma 3, del Dlgs. n. 472 del 1997 esclude la punibilità del contribuente quando questi dimostri che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi.
Ma, a parte il fatto che, anche per quella fattispecie, va provata la tempestiva denuncia e l’addebitabilità esclusiva a terzi, se il provvedimento di irrogazione delle sanzioni riguarda l’omessa presentazione della dichiarazione, o l’omessa o non conforme tenuta della contabilità, tale esimente non può essere invocata, dato che le violazioni commesse sono diverse ed ulteriori rispetto al “semplice” mancato pagamento materiale delle imposte, contemplato dall’art. 6, comma 3, del Dlgs. n. 472/97 cit.
In conclusione, l’onere della prova è, in questi casi, sempre a carico del contribuente, il quale deve dimostrare di aver fornito al professionista incaricato i documenti (e la provvista di quanto dovuto all’Erario) e di avere vigilato sul puntuale adempimento del mandato (cfr., Cass., 18 ottobre 2017, n. 24535).
In termini generali, del resto, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, occorre che l’azione od omissione causativa della violazione sia volontaria, ossia compiuta con dolo o negligenza, e la prova dell’assenza di colpa grava sul contribuente.
Spetta quindi all’Ufficio provare, anche mediante presunzioni semplici, i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria vantata.
E spetta all’opponente, che voglia andare esente da responsabilità, dimostrare di aver agito in assenza di colpevolezza (Cass., S.U., 30 settembre 2009, n. 20930).
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