Regime impatriati, quanti anni bisogna trascorrere all’estero per accedere alle agevolazioni?

Rosy D’Elia - Imposte

Con il nuovo regime impatriati per ottenere le agevolazioni fiscali è necessario aver trascorso un periodo all'estero di almeno tre anni prima di trasferire la residenza: ma il calcolo cambia in base all'evoluzione dei rapporti di lavoro

Regime impatriati, quanti anni bisogna trascorrere all'estero per accedere alle agevolazioni?

La riforma fiscale ha riscritto il regime impatriati, ridefinendo le agevolazioni per chi trasferisce la residenza in Italia dopo un periodo all’estero e anche nuovi requisiti di accesso.

Tra le innovazioni introdotte dal 1° gennaio 2024 c’è anche un meccanismo di calcolo del periodo minimo di permanenza all’estero basato sulla continuità o meno del rapporto con il datore di lavoro.

Regime impatriati e calcolo del periodo minimo all’estero per ottenere le agevolazioni

Nel nuovo regime impatriati, previsto dall’articolo 5 del decreto legislativo numero 209 del 2023, i titolari di redditi di lavoro dipendente, di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, di redditi di lavoro autonomo che derivano dall’esercizio di arti e professioni che trasferiscono la loro residenza in Italia e rispettano una serie di condizioni hanno diritto a una riduzione della base imponibile del 50 per cento nel limite annuo di 600.000 euro.

Rispetto al passato i requisiti da rispettare sono diventati più complessi e articolati. E se prima bastava aver trascorso due anni di lavoro all’estero per poi tornare e beneficiare delle agevolazioni fiscali. Oggi non è più così.

È necessario aver trascorso in un altro Paese almeno tre anni. Ma il calcolo del periodo minimo di permanenza all’estero aumenta nel momento in cui la lavoratrice o il lavoratore che rientra in Italia continua a lavorare con lo stesso datore di lavoro con cui lavorava prima del trasferimento.

Il periodo trascorso fuori deve essere pari ad almeno 6 anni se il lavoratore non è stato in precedenza impiegato in Italia con lo stesso soggetto oppure con un soggetto appartenente al suo stesso gruppo.

Se il rapporto, invece, è di lunga data ed è rimasto in essere nei vari spostamenti, si arriva a 7 anni.

Regime impatriati e residenza all’estero: le istruzioni dell’Agenzia delle Entrate sul calcolo

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito come applicare le regole previste nella risposta all’interpello numero 41 del 20 febbraio del 2025 proprio sciogliendo i dubbi di un lavoratore che ha intenzione di spostarsi in Italia.

Per effettuare correttamente il calcolo bisogna tener conto di diversi aspetti:

  • prima di tutto della coincidenza tra il datore di lavoro (medesima società/gruppo) per il quale il lavoratore è stato impiegato all’estero prima del rientro in Italia e quello presso il quale lavorerà dopo il trasferimento in Italia;
  • ma soprattutto per stabilire l’eventuale estensione a sei o sette anni, a seconda che si tratti o meno dello stesso soggetto (datore/gruppo) presso cui era svolta l’attività lavorativa in Italia prima del trasferimento all’estero, bisogna verificare se continuerà a lavorare per lo stesso datore di lavoro per il quale ha lavorato all’estero e se questo coincida con il datore di lavoro presso il quale ha lavorato durante il periodo d’imposta precedente il trasferimento all’estero o, comunque, fino alla data in cui avviene tale trasferimento.

In altre parole, per verificare i requisiti di accesso al regime impatriati è necessario ripercorrere il currriculum del lavoratore o della lavoratrice con un occhio particolare al periodo immediatamente antecedente agli spostamenti.

Agenzia delle Entrate - Risposte all’interpello numero 41 del 2025
Chiarimenti sul calcolo del periodo di permanenza all’estero per l’accesso al regime impatriati

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