Pagamento contributi: necessarie più tutele per il lavoratore iscritto ai fondi complementari per garantire l'effettivo adempimento dell'obbligo ad opera del datore di lavoro. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 154 del 15 luglio rigetta la questione sollevata in materia, ma riscontra un vuoto della disciplina che deve essere colmato.
Il pagamento dei contributi previdenziali, ad opera del datore di lavoro, quando il lavoratore ricorre a fondi complementari non sembrerebbe garantito in misura adeguata secondo la Consulta.
La questione sulla necessità di maggiori tutele in capo al contribuente iscritto ai fondi di previdenza complementare, infatti, è stata affrontata dalla Corte Costituzionale nella recente sentenza numero 154 del 15 luglio 2021.
Del resto, i giudici delle norme hanno ritenuto inammissibile la questione sollevata dal Tribunale di Sassari ritenendo troppo lacunosa la descrizione del fatto sottoposto ad esame, ma non hanno potuto far a meno di constatare che vi sono non poche carenze e elementi dubbi nella disciplina richiamata.
Risultano, infatti, incerte le modalità con cui lavoratore iscritto e Fondo possono agire in giudizio per pretendere il versamento dei contributi da parte del datore di lavoro.
Il lavoratore non potrebbe rivendicare il pagamento in proprio favore, in quanto il diritto sorgerebbe soltanto al momento della cessazione del rapporto di lavoro e non potrebbe agire neppure il fondo di previdenza complementare, che il giudice sardo reputa sprovvisto di legittimazione attiva.
La Corte, tuttavia, fa presente che queste regole devono essere desunte, volta per volta, dalle condizioni specifiche di adesione al fondo. Se infatti, nell’atto di adesione, si rinvenisse una delegazione di pagamento la tutela sarebbe ripristinata.
Si tratta, infatti, di un negozio attraverso cui il debitore principale, ossia il lavoratore, viene sostituito dal datore di lavoro. A quel punto il fondo sarebbe legittimato ad agire nei confronti di quest’ultimo.
Questa è però una soluzione interpretativa a cui - precisa la Corte Costituzionale - andrebbe comunque affiancata una disciplina specifica più esaustiva.
Pagamento contributi, la Consulta: necessarie più tutele per il lavoratore in caso di fondi complementari
L’art. 8 del decreto legislativo del 5 dicembre 2005, n. 252 che disciplina le forme pensionistiche complementari non chiarisce espressamente quale sia la tutela processuale del contribuente che aderisce a tale forma di previdenza.
Si precisa, a riguardo, che la norma oggetto del giudizio è un decreto legislativo e, in quanto tale, disegnato all’interno del perimetro stabilito dalla corrispondente legge delega. Un perimetro che, secondo il giudice che ha adito la Corte, non sarebbe stato rispettato andando a contrastare il disposto dell’art. 76 della Costituzione.
La norma avrebbe dovuto stabilire, secondo il giudice di Sassari, in conformità alla legge delega, la legittimazione del fondo di previdenza complementare ad agire contro il datore di lavoro inadempiente.
Tuttavia la Corte dissente: la legittimazione processuale c’è e la sua sussistenza può essere verificata, volta per volta, analizzando le condizioni di adesione al fondo.
“Il fondo di previdenza complementare, ove fosse delegatario, sarebbe legittimato ad agire contro il datore di lavoro. Tale inquadramento consentirebbe dunque di superare i dubbi di legittimità costituzionale”.
Si legge nella motivazione della sentenza.
La delegazione di pagamento, infatti, è quel negozio giuridico per cui il debitore (lavoratore iscritto) assegna al creditore (fondo) un nuovo debitore (datore di lavoro), il quale paga il debito per conto dell’originario debitore.
In tal caso il Fondo può agire legittimamente nei confronti del nuovo debitore, ossia il datore di lavoro che deve le somme a titolo di TFR e contributi previdenziali.
Pertanto, seppur non potendosi pronunciare positivamente sul caso di specie per l’assenza di profili d’incostituzionalità, la Consulta ha ritenuto che la materia “dovrebbe essere oggetto di una più attenta sistemazione da parte del legislatore, chiamato a risolvere le aporie che pur emergono dalle questioni oggi scrutinate”.
Fondi complementari tutela processuale del lavoratore: la pronuncia della Corte Costituzionale
In estrema sintesi, il giudice che aveva sollevato la questione sull’art. 8 del decreto citato ha considerato sbilanciato il rapporto tra datore di lavoro, lavoratore e fondo.
La disciplina censurata, secondo tale interpretazione, non avrebbe attribuito la legittimazione attiva del fondo previdenziale ad agire in giudizio contro il datore di lavoro per vederlo condannato al versamento delle quote di TFR spettanti al lavoratore.
Il decreto non avrebbe rispettato la delega non offrendo alternativi strumenti idonei a garantire un’adeguata, piena ed efficace tutela del diritto del lavoratore all’adempimento dell’obbligo di contribuzione incombente sul datore di lavoro.
La disciplina così formulata, poi, sarebbe stata contraria agli articoli 3, 24, 38 e 47 della Costituzione.
Tutti rilievi che sono stati respinti dalla Consulta che si è trovata nell’impossibilità oggettiva di pronunciarsi per mancanza di elementi:
“Nel caso di specie, il rimettente ha descritto in maniera lacunosa la fattispecie concreta sottoposta al suo esame, tanto da non consentire a questa Corte di esprimersi circa la non implausibilità delle motivazioni addotte. Non è chiaro, infatti, quali siano le condizioni di adesione del lavoratore al fondo, né in che modo si possa configurare la contitolarità del diritto a esigere le prestazioni attese”.
Tuttavia, come già evidenziato, questa è stata l’occasione per richiamare l’attenzione del legislatore sulla tutela degli iscritti ai fondi complementari che, senza dubbio, presenta molti punti oscuri e andrebbe rivista ed integrata.
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