Il tema delle fatture oggettivamente false ha assunto nel corso degli anni aspetti rilevanti e complessi, in parte attenuati con la rivoluzione della fattura elettronica obbligatoria. Analizziamo insieme alcuni casi pratici ed i relativi riflessi normativi
Una delle maggiori e frequenti frodi in ambito fiscale è quella relativa all’inesistenza del fornitore ed alle conseguenti fatturazioni per operazioni inesistenti.
È particolarmente interessante, a questo proposito, l’ormai datata ma sempre attuale ordinanza della Corte di Cassazione (numero 30175/2022) che proprio in materia di operazioni inesistenti, avalla il rilievo dell’Ufficio, sulla base di una serie di elementi indiziari che hanno portato a ritenere cartolare l’operazione posta in essere.
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Emissione fatture per operazioni inesistenti: il fatto oggetto di analisi
Una S.r.l. ha impugnato due avvisi di accertamento relativi al periodo di imposta 2010, emessi a seguito degli elementi acquisiti dall’Ufficio a seguito di un questionario inviato in relazione ai rapporti intrattenuti con un fornitore.
Per quel ci interessa in questa sede, con il primo avviso si contestava l’indeducibilità dei costi relativi a undici fatture ricevute dal suddetto fornitore in quanto oggettivamente inesistenti, con conseguente recupero di IRES e IRAP, e IVA.
La CTP di Modena ha confermato il rilievo.
La CTR dell’Emilia-Romagna, invece, ha accolto l’appello della società.
In particolare, il giudice di appello ha ritenuto che l’Ufficio, avendo fondato l’accertamento unicamente su dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società fornitrice, successivamente ritrattate in sede penale, non abbia assolto al proprio onere della prova.
Inoltre, per il giudice di appello, la società ha assolto all’onere della prova contraria, sulla base dei contratti prodotti, delle fatture e dei relativi pagamenti, nonché sulla base della contabilità, elementi che dimostrerebbero che le prestazioni sono state effettuate, benché indicandosi in fattura un corrispettivo superiore a quello reale.
Da qui il ricorso per cassazione da parte dell’Ufficio, che contesta la pronuncia emessa, nella parte in cui il giudice di appello ha ritenuto che l’Ufficio non abbia assolto al proprio onere della prova.
Parte ricorrente osserva come nell’avviso di accertamento fossero stati indicati
“oltre alle dichiarazioni rese dal legale rappresentante del fornitore, una serie di elementi di prova, quali la genericità della descrizione delle fatture, la genericità della descrizione dei contratti di appalto aventi ad oggetto lavori di pulizia, privi di indicazioni di modalità di esecuzione delle prestazioni e dei clienti presso i quali le prestazioni sarebbero state eseguite, l’assenza di una adeguata struttura aziendale (tre dipendenti, assenza di costi e beni strumentali)”
Osserva, inoltre, l’Ufficio come la CTR abbia errato nel ritenere che il verbale con le dichiarazioni del legale rappresentante del fornitore non sia stato allegato all’atto impugnato, in quanto documento conosciuto dal contribuente e prodotto unitamente al ricorso e, in ogni caso, la questione della corretta motivazione dell’atto impositivo sarebbe coperta da un giudicato interno, non essendo stata impugnata la statuizione della CTP con la quale si era accertato che tutti i dati essenziali fossero stati riportati nella motivazione dell’atto impugnato.
Censura, infine, la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che il contribuente, in caso di fatture oggettivamente inesistenti, possa assolvere il proprio onere della prova contraria facendo ricorso alla regolarità della documentazione contabile e al versamento dei corrispettivi, in quanto strumenti spesse volte utilizzati dai contribuenti per mascherare l’insussistenza della prestazione dietro l’apparente regolarità della transazione.
Il pensiero degli Ermellini rispetto al tema delle operazioni oggettivamente inesistenti
Secondo la consolidata giurisprudenza in tema di operazioni oggettivamente inesistenti, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare che l’operazione non sia mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva (Cass., Sez. V, 18 ottobre 2021, n. n. 28628), ricorrendo alla prova che l’emittente è una «cartiera» o una «società fantasma», spettando poi al contribuente provare l’effettiva esistenza delle operazioni sottostanti; né tale onere può ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., Sez. V, 5 luglio 2018, n. 17619; Cass., Sez. V, 30 ottobre 2018, n. 27554; Cass., Sez. V, 27 novembre 2019, n. 30937; Cass., Sez. V, 15 febbraio 2022, n. 4826; Cass., Sez. VI, 22 marzo 2022, n. 9304; Cass., Sez. V, 12 aprile 2022, n. 11737).
Difatti, come osserva parte ricorrente, le operazioni contabili di regolare esecuzione della prestazione
“costituiscono attributo indefettibile di qualsiasi operazione fraudolenta ben organizzata, che deve mascherare appunto sotto l’apparente veste di una regolarità formale la propria natura illecita, sicché essi sono, decisionalmente, del tutto inconferenti (Cass., Sez. V, 14 dicembre 2016, n. 25698; conf. Cass., Sez. V, 13 aprile 2016, n. 7233; Cass., Sez. V, 11 dicembre 2013, n. 27720)”
Parimenti la Corte ribadisce il principio – relativo alla valutazione dei fatti noti addotti dall’Ufficio (gli elementi indiziari) - secondo cui spetta al giudice del merito apprezzare l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, i quali vanno valutati sia analiticamente (assegnando un adeguato peso ponderale a ciascun elemento), sia sinteticamente nella loro globalità, valutando se la combinazione di tali elementi sia in grado di fornire una valida prova presuntiva (Cass., Sez. V, 17 settembre 2020, n. 26802; Cass., Sez. V, 17 settembre 2020, n. 19353; Cass., Sez. V, 31 maggio 2019, n. 14980; Cass., Sez. VI, 23 giugno 2017, n. 15777; Cass., Sez. VI, 2 marzo 2017, n. 5374; Cass., Sez. V, 9 agosto 2016, n. 16719).
Il giudizio sintetico o complessivo degli elementi addotti si nutre, pertanto, della valutazione dei singoli indizi – ove rilevanti (gravi e precisi) e concordanti rispetto all’oggetto della prova - al fine di cogliere il quadro complessivo che fonda la prova logica del fatto ignoto (Cass., Sez. V, 12 luglio 2022, nn. 22018 e 22003).
Nella specie, il ricorrente ha correttamente indicato nel ricorso che gli elementi indiziari dai quali trarre la prova dell’inesistenza oggettiva della prestazione erano basati su diverse circostanze in fatto
“quali la genericità della descrizione delle fatture, la genericità dei contratti di appalto di pulizia, l’assenza di una adeguata struttura organizzativa dell’emittente che avrebbe reso estremamente problematica l’esecuzione delle prestazioni oggetto delle undici fatture contestate (di cui ai menzionati contratti), elementi non presi in esame dal giudice di appello che, pertanto, si è sottratto a un corretto esame delle regole di riparto della prova”
Brevi note per comprendere il fenomeno ed avere un quadro d’insieme
Il fenomeno delle fatture oggettivamente false ha assunto aspetti rilevanti e complessi che investono – in genere – più società compiacenti dediti alla costruzione di carte piuttosto che alla produzione industriale, che impegna gli Uffici finanziari nella fase di individuazione di tali soggetti che nella successiva attività di controllo, anche per evitare una evidente distorsione del mercato.
La stessa Corte di Cassazione, con la pronuncia numero 28451 dello scorso 15 ottobre 2021, nell’affrontare la problematica, si era soffermata proprio su un caso particolare di fornitore, privo di adeguata organizzazione ed evasore totale per più anni di imposta (esercente attività non specializzata di lavori edili, privo di una struttura organizzativa che potesse rendere le prestazioni specializzate che erano state rappresentate in fatture del tutto generiche, in assenza di subappalti documentati).
Per la Corte, il giudice di appello, in realtà, ha fatto applicazione di corretti princìpi giuridici ritenendo
“in punto di diritto, che spettasse all’Ufficio la prova della inesistenza delle operazioni e della loro consapevolezza da parte della contribuente, che era stata offerta sulla base di gravi, multipli e concordanti indizi specificamente indicati e che nel contempo nessuna valida contro prova fosse stata offerta dalla contribuente, poiché la regolarità formale contabile era il mezzo per realizzare la frode, la pretesa regolarità dei pagamenti era contrastata dal contestuale prelevamento in contanti da parte di U. L., come tipico della condotta che caratterizza il disegno criminoso incentrato da documenti falsi che attestano operazioni inesistenti e la presenza in cantiere di U. L., nonché le dichiarazioni rese dagli addetti al cantiere, erano giustificate dalla realizzazione effettiva di alcune prestazioni, essendo state contestate operazioni solo parzialmente esistenti, anche alla stregua delle dichiarazioni rese dall’U. in merito alla sua esecuzione di lavori in economia con attrezzature minute di cantiere e di fornitura di alcune unità di manodopera. Il che è del tutto in linea con la giurisprudenza consolidata di questa Corte secondo cui in primo luogo l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere è assolto dalla Amministrazione Finanziaria indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva (v. Cass. Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 18118 del 14/09/2016 Rv. 641109 — 01; Cass. Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 11873 del 15/05/2018 Rv. 648528 - 01), i quali possono pacificamente derivare dalle stesse risultanze di fatto attinenti al solo ruolo di «cartiera» del cedente, ed inoltre la derivazione dei costi da una attività che è espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’attività dell’impresa, come in caso di operazioni oggettivamente inesistenti per mancanza del rapporto sottostante, comporta il venir meno dell’indefettibile requisito dell’inerenza tra i costi medesimi e l’attività imprenditoriale, inerenza che è onere del contribuente provare, al pari dell’effettiva sussistenza e del preciso ammontare dei costi medesimi; tale ultima prova non può, peraltro, consistere nella esibizione della fattura, in quanto espressione cartolare di operazioni commerciali mai realizzate, né nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (v. , da ultimo, Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 33915 del 19/12/2019 Rv. 656602 — 01; Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 30366 del 21/11/2019 Rv. 655932 — 01 e precedenti conformi)”
La stessa giurispudenza di legittimità - cfr. Cass. n. 24426 del 2013 - ha affermato che
“la fattura (di regola, salva l’ipotesi di contabilità inattendibile) è documento idoneo a rappresentare un costo dell’impresa, come si evince dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 21, purché sia redatta in conformità ai requisiti di forma e contenuto ivi prescritti, tra i quali l’indicazione dell’oggetto e del corrispettivo dell’operazione (cfr. art. 226 della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto) (tra le altre, Cass. nn. 15395 del 2008, 9108 del 2012).
Ne deriva, in generale, che una regolare fattura, lasciando presumere la verità di quanto in essa rappresentato, costituisce titolo per il contribuente ai fini del diritto alla detrazione dell’IVA o alla deduzione del costo indicato”
La mancanza di tali indicazioni, tuttavia
“facendo venir meno la presunzione di veridicità di quanto in essa rappresentato, la rende inidonea a costituire titolo per il contribuente ai fini del diritto alla deduzione del costo relativo” ( cfr. Cass.sent.n.7878/2016)
In merito, la circolare n. 1/2018 della Guardia di Finanza ricorda che la Corte di Cassazione, in diverse decisioni, ha sostenuto, tra l’altro che nei casi in cui la deducibilità di certe componenti di costo non sia adeguatamente documentata, l’onere della prova circa l’esistenza dei fatti che danno luogo a oneri e costi deducibili, ivi compresi i requisiti dell’inerenza e dell’imputazione ad attività produttive di ricavi, non incombe sull’Amministrazione finanziaria, ma sul contribuente che invoca la deducibilità.
Né gioca l’articolo 6, della legge numero 130/2022, intervenuto sull’art. 7, del D.Lgs. numero 546/92, aggiungendo, dopo il comma 5 il comma 5-bis:
“L’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato.
Il giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l’atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondano la pretesa impositiva e l’irrogazione delle sanzioni.
Spetta comunque al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso, quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati”
Infatti, nel caso specifico di operazioni inesistenti, dove l’Ufficio ha indicato gli elementi probanti per cui ha ritenuto falsa la fattura (assenza di struttura, mancata presentazione della dichiarazione, etc.), la palla passa al contribuente.
Da ultimo, in questa sede, ci piace ricordare il lavoro – numero 15 del dicembre 2020 dell’UIF (Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia) – che analizza le caratteristiche delle società cd. “cartiere”, e sulla base delle informazioni disponibili, utilizzando dati di bilancio, ha sviluppato un indicatore sintetico che segnala la presenza di caratteristiche tipiche di una cartiera.
Si legge nel documento pubblicato - che ha destato particolare attenzione negli addetti ai lavori - che una prima verifica empirica della significatività dell’indicatore, effettuata utilizzando il database dell’Unità d’Informazione Finanziaria per l’Italia nell’analisi delle operazioni sospette segnalate all’Unità, rileva che a valori molto bassi dell’indicatore corrispondono più frequentemente società segnalate per frodi nelle fatturazioni e/o per frodi nell’IVA intracomunitaria rispetto a quelle segnalate per altri fenomeni, così che l’indicatore può essere uno strumento di supporto nell’effettuare un primo screening sulle società potenziali cartiere, pur se rimangono comunque necessari ulteriori approfondimenti finanziari, amministrativi e fiscali.
Per individuare le cartiere all’interno dell’insieme di imprese attive è stato costruito un indicatore che sintetizza alcune delle più significative caratteristiche delle cartiere relative alla struttura produttiva, al personale, all’esposizione finanziaria, alla dotazione patrimoniale e alla capacità reddituale, cui si rinvia per specifici approfondimenti.
Se tali indicatori possono essere utilizzati per l’individuazione delle cartiere, occorrerà verificare in concreto che valore possono assumere – trattandosi di indicatori abbastanza logici – in sede di accertamento, qualora utilizzati dai contribuenti per dimostrare l’esistenza magari di un fornitore, nel momento in cui l’Ufficio gli contesti l’inesistenza dell’operazione.
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Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: L’inesistenza del fornitore e le false fatture