Fatture per operazioni inesistenti ai fini IVA: è onere dell'Amministrazione Finanziaria provare che il contribuente fosse consapevole della frode e dell'evasione. A stabilirlo è la Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 34723/2019.
In ipotesi di “frode carosello” l’Amministrazione finanziaria deve verificare l’oggettiva fittizietà del fornitore e, anche in via presuntiva, la consapevolezza del destinatario di partecipare a un disegno evasivo.
Una volta assolto questo onere, spetta al contribuente dimostrare in maniera puntuale di avere adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolto in un’operazione illecita.
A tal fine non basta provare l’utilizzo di una contabilità regolare o produrre un decreto di archiviazione dell’azione penale nei confronti dell’imprenditore controllato in quando meri elementi indiziari. Queste le conclusioni contenute nell’Ordinanza n. 34723/2019 della Corte di Cassazione.
- Corte di Cassazione - ordinanza n. 34723 del 30 dicembre 2019
- Operazioni inesistenti ai fini IVA: il decreto di archiviazione è solo un indizio
La decisione - La Commissione Tributaria Regionale rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nell’ambito di una controversia, sorta a seguito della notifica di avvisi di accertamento, per il recupero dell’IVA indebitamente detratta da una società perché relativa all’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti inserite nel contesto di una “frode carosello”.
A parere del giudice di appello, seppur il meccanismo della frode carosello facesse presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all’accordo simulatorio del beneficiario finale, i verificatori non avevano rilevato discordanze tra la contabilità della società accertata e quella della società fittiziamente venditrice, senza contare che nei confronti del legale rappresentante era stato emesso decreto di archiviazione.
Da qui il rigetto dell’appello dall’Erario, che ha proposto ricorso avverso la decisione della CTR, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del D.P.R. 633/1972. A parere del ricorrente il giudice di merito ha errato quando ha ritenuto che la concordanza della contabilità e l’assenza di responsabilità penale del legale rappresentante della società contribuente costituissero elementi idonei a comportare l’annullamento dell’avviso di accertamento.
A parere dell’Ufficio, è stata violata la disciplina del riparto dell’onere della prova in tema di frodi carosello, “dovendo il contribuente provare non solo di non essere consapevole della frode (“non sapeva”), ma anche di avere adottato tutte le misure necessarie ad evitare di restare coinvolto nella stessa (“non lo possa sapere”).”
Ritenendo fondati i motivi di doglianza, la Cassazione ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio alla CTR in diversa composizione.
Ancora una volta il collegio di legittimità si occupa di onere della prova in caso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.
In questa ipotesi i giudici hanno ripetuto come sia
“onere dell’Amministrazione che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo ovvero in detrazione I’IVA pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere …, con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si è iscritta in un’evasione o in una frode”
In altre parole affinché la pretesa fiscale regga, è necessario che l’Amministrazione finanziaria dimostri l’oggettiva fittizietà del fornitore e la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta.
A tal fine deve dimostrare, anche in via presuntiva ma in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente.
Nelle ipotesi più semplici, ad esempio operazioni soggettivamente inesistenti di tipo triangolare, l’onere può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale, mentre in quelle più complesse di “frode carosello”, contraddistinta da una catena di passaggi con strumentali interposizioni anche di società “filtro”, occorre dimostrare gli elementi di fatto caratterizzanti la frode e la consapevolezza di essi da parte del contribuente.
Una volta assolto quest’onere:
“grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi”
Nel caso di specie il giudice di merito non ha dato corretta applicazione ai summenzionati principi. Infatti, da un lato l’Agenzia delle entrate avrebbe dovuto indicare elementi indiziari idonei a dimostrare la conoscenza o conoscibilità della condotta illecita posta in essere dalla contribuente mentre questi, dall’altro, avrebbe dovuto fornire la prova contraria per dimostrare che, non solo non aveva consapevolezza dell’accordo simulatorio, ma anche che aveva adottato tutte le opportune cautele per informarsi sulla effettiva operatività della società fornitrice dei beni.
I motivi addotti dal contribuente per provare la sua estraneità all’accordo simulatorio, ossia il decreto di archiviazione e la contabilità regolare (che costituisce in realtà la modalità “ordinaria” con cui gli imprenditori compiono le operazioni carosello), hanno un mero valore indiziario non idoneo a superare l’onere probatorio e non comportano alcun tipo di preclusione per il giudice tributario.
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