Nuove assunzioni pubbliche nella PA, blocco fino al 15 novembre 2019. La trattativa tra Governo e Commissione Europea produce il risultato di uno slittamento dei nuovi ingressi. Reazioni negative da parte dei sindacati e del presidente dell’Inps Tito Boeri
Il piano di nuove assunzioni nella pubblica amministrazione di fatto scivolerà quasi di un anno. È questa la novità (amara) che porta con sé la trattativa tra Governo e Commissione Europea sulla Legge di bilancio 2019.
Nella relazione informativa resa il 19 dicembre al Senato il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha ammesso:
“Per le amministrazioni centrali si prevede un rinvio della presa di servizio degli assunti al 15 novembre 2019, ma limitato alle assunzioni derivanti del turn over ordinario dell’anno precedente”.
Si tratta di una notizia di non poco conto, considerando che il ministro per la Pubblica amministrazione Giulia Bongiorno dal suo insediamento aveva fatto del piano di nuove assunzioni la propria bandiera. La stessa titolare del dicastero ha cercato di sminuire la portata negativa della nuova previsione, confermando che il turn over del personale avverrà al 100%, ma è del tutto evidente che non potevano mancare le reazioni negative.
Rinvio nuove assunzioni PA, giudizi negativi: Boeri e i sindacati
Di certo attese sono state le critiche di parte sindacale:
“Il governo nel corso di questi mesi – affermano Cgil, Cisl e Uil – ha fatto molta propaganda sulle assunzioni nella pubblica amministrazione e ora, a dispetto di un Ddl che ha voluto chiamare ‘concretezza’, fa un passo indietro negando se stesso. Dopo aver presentato, unitariamente, proposte per una pubblica amministrazione migliore, a partire dal varo di un piano straordinario di assunzioni, ora non staremo fermi: pronti alla mobilitazione”.
Un po’ meno previste quelle del presidente dell’Inps Tito Boeri per il quale le mancate assunzioni metteranno in grave difficoltà l’Istituto in un momento in cui dovrà rispondere alle responsabilità derivanti dall’istituzione del reddito di cittadinanza e dall’abolizione della legge Fornero, con 4.000 lavoratori con i requisiti per un possibile pensionamento nel 2019 e il rischio che i lavoratori in uscita non abbiano il tempo materiale per trasferire le loro competenze ai giovani in entrata.
Il turn over non basta: il cedimento è politico
Ma al di là delle polemiche dovute ai ruoli istituzionali dei vari soggetti intervenuti, è innegabile il cedimento politico dell’Esecutivo rispetto a uno degli assetti centrali della propria azione di governo.
La pubblica amministrazione italiana è sottodimensionata e invecchiata a causa di un blocco delle assunzioni che si protrae in varie forme almeno dal 2010. Il semplice ricambio del personale in uscita previsto per il 2019 era pertanto già insufficiente in termini qualitativi (competenze nelle nuove tecnologie digitali) e quantitativi.
I dati Eurostat ci dicono che mentre la media dei dipendenti pubblici in Europa sul totale degli occupati raggiungeva nel 2016 quota 16%, in Italia ci si attestava sul 14%. Per fare un esempio la Svezia era due anni fa al 29%, la Francia al 22 e Spagna e Portogallo al 15. Ma soprattutto fra il 2000 e il 2016 il calo dei dipendenti pubblici è stato più marcato in Italia, Gran Bretagna e Slovacchia che nel resto del Vecchio Continente.
Il rinvio delle nuove assunzioni di quasi un anno non potrà che peggiorare la situazione: anche perché l’apertura delle porte del lavoro pubblico era stata concepita anche per dare una risposta alla drammatica disoccupazione giovanile che affligge il Paese e poteva dare un aiuto al rilancio generale dell’economia con una robusta ripresa della domanda interna.
Di fatto, per la pubblica amministrazione il cambio di rotta di questi giorni è un’occasione perduta.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Le nuove assunzioni pubbliche slittano di un anno