Il caso pratico affrontato nell'Ordinanza della Corte di Cassazione numero 26920 del 2022 offre lo spunto per fare un recap sulle regole fondamentali di applicazione della lite temeraria nel processo tributario
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 26920 del 2022, ha chiarito i presupposti in presenza dei quali è possibile invocare la lite temeraria anche nell’ambito del processo tributario.
Nel caso di specie, il contribuente proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale, al fine di ottenere il risarcimento dei danni morali e materiali asseritamente subiti a causa dell’emissione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, nei suoi confronti, di un avviso di accertamento sintetico, con il quale, sulla scorta di una presunzione di reddito correlato al possesso di diverse autovetture, aveva accertato “illegittimamente” (tant’è che l’avviso era stato annullato dalla CTP con sentenza poi confermata in sede d’appello e passata in giudicato) un maggior reddito imponibile rispetto a quello dichiarato.
La Commissione Tributaria Provinciale dichiarava inammissibile il ricorso, in quanto la domanda risarcitoria era stata proposta al di fuori dei presupposti di cui all’art. 96, comma 1, c.p.c.
Sull’appello del contribuente, la Commissione Tributaria Regionale rigettava il gravame, evidenziando che la tutela apprestata dall’art. 96 c.p.c. non poteva essere azionata in sede diversa dal processo nel quale era stata fatta valere la domanda principale.
Avverso la sentenza della CTR il contribuente proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 96 c.p.c. e 39 Dpr. n. 636/1972, per aver la CTR dichiarato l’inammissibilità della domanda risarcitoria da lui avanzata senza considerare che il ricorso avverso l’avviso di accertamento, causativo dei danni, era stato depositato sotto la vigenza del Dpr. n. 636/1972, il quale prevedeva l’inapplicabilità nel processo tributario delle norme in tema di responsabilità per lite temeraria.
Secondo la Suprema Corte la censura era fondata.
- Corte di Cassazione - Ordinanza numero 26920 del 2022
- Il testo integrale dell’Ordinanza della Corte di Cassazione numero 26920 del 2022
La lite temeraria nel processo tributario: i fatti dell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 26920 del 2022
Evidenziano i giudici di legittimità che, in termini generali, il giudice tributario può conoscere anche la domanda risarcitoria proposta dal contribuente ai sensi dell’art. 96 c.p.c., potendo, altresì, liquidare in favore di quest’ultimo, se vittorioso, il danno derivante dall’esercizio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di una pretesa impositiva “temeraria”, in quanto connotata da mala fede o colpa grave, con conseguente necessità di adire il giudice tributario, atteso che il concetto di responsabilità processuale deve intendersi comprensivo anche della fase amministrativa, che, qualora ricorrano i predetti requisiti, ha dato luogo all’esigenza di instaurare un processo ingiusto (Cass., Sez. U, Ordinanza n. 13899 del 03/06/2013).
Pertanto, l’art. 96 c.p.c., in tema di responsabilità processuale aggravata:
- a) è applicabile al processo tributario, in virtù del generale rinvio di cui al Dlgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2 (a norma del quale “I giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile”);
- b) regola tutti i casi di responsabilità risarcitoria per atti o comportamenti processuali, ponendosi con carattere di specialità rispetto all’art. 2043 c.c., senza che sia configurabile un concorso, anche alternativo, tra i due tipi di responsabilità (tra le altre, Cass. n. 28226 del 2008 e n. 5069 del 2010);
- c) disciplina un fenomeno endoprocessuale, prevedendo che la domanda è proponibile nello stesso giudizio dal cui esito si deduce l’insorgenza della detta responsabilità, non solo perché nessun giudice può giudicare la temerarietà processuale meglio di quello stesso che decide sulla domanda che si assume, per l’appunto, temeraria, ma anche e soprattutto perché la valutazione del presupposto della responsabilità processuale è così strettamente collegata con la decisione di merito da comportare la possibilità, ove fosse separatamente condotta, di un contrasto pratico di giudicati (Cass. nn. 9297 e 12952 del 2007, 18344 e 26004 del 2010).
L’ampia previsione della norma, rileva la Corte, consente dunque al giudice di liquidare, in favore del contribuente vittorioso, una somma, in via equitativa, a titolo di risarcimento dei danni patiti a causa dell’esercizio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di una pretesa impositiva “temeraria”, cioè derivata da mala fede o colpa grave (cfr. Cass. n. 21570 del 2012), con conseguente necessità, da parte del contribuente, di adire il giudice tributario, dovendosi, infatti, intendere, come visto, in senso estensivo il concetto di “responsabilità processuale”, comprensivo anche, cioè, della fase amministrativa, che, qualora ricorrano i predetti requisiti, ha dato luogo alla esigenza di instaurare un processo “ingiusto”.
Tuttavia, sottolinea la Cassazione in riferimento allo specifico caso processuale, l’art. 39 del Dpr. n. 636/1972 prevedeva che “Al procedimento dinanzi alle commissioni tributarie si applicano, in quanto compatibili con le norme del presente decreto e delle leggi che disciplinano le singole imposte, le norme contenute nel libro I del codice di procedura civile, con esclusione degli articoli da 61 a 67, dell’art. 68, primo e secondo comma, degli articoli da 90 a 97”.
Il Dlgs. 31 dicembre 1992, n. 546 ha poi disposto (con l’art. 80, comma 2) che “Le disposizioni del presente decreto hanno effetto dalla data di insediamento delle commissioni tributarie provinciali e regionali, salvo quanto stabilito dagli articoli 74 e 75 che, per le controversie pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, si applicano a partire dalla predetta data di entrata in vigore”.
Pertanto, per quanto, in base all’art. 80 del Dlgs. n. 546/1992, il decreto sia entrato in vigore il 15 gennaio 1993, la data di insediamento delle Commissioni Tributarie Provinciali e Regionali è stata, ex Dm. 26.4.1996, il primo aprile 1996. E quindi, risultando proposta la fase d’appello del giudizio presupposto “nel corso del 1993” dall’allora Ufficio Distrettuale delle imposte dirette (risultato soccombente all’esito del primo grado, con decisione del 22.2.1992), il contribuente non avrebbe potuto proporre in quella sede la domanda risarcitoria per lite temeraria.
La posizione della Corte di Cassazione sulla lite temeraria nel processo tributario
La domanda di risarcimento danni per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., rileva la Corte, può essere proposta per la prima volta anche nella fase di gravame, con riferimento a comportamenti della controparte posti in atto in tale grado del giudizio, quali la colpevole reiterazione di tesi giuridiche già reputate manifestamente infondate dal primo giudice, ovvero la proposizione di censure la cui inconsistenza giuridica avrebbe potuto essere apprezzata in modo da evitare il gravame, e non è soggetta al regime delle preclusioni previste dall’art. 345, comma 1, c.p.c., tutelando un diritto conseguente alla situazione giuridica soggettiva principale dedotta nel processo, strettamente collegato e connesso all’agire od al resistere in giudizio.
Qualora, però, sussista un’ipotesi di impossibilità di fatto o di diritto all’articolazione della domanda nel primo grado di giudizio, ne è consentita la proposizione solo in un giudizio autonomo (Cass., Sez. U, n. 25478 del 21/09/2021; Cass., n. 42119 del 31/12/2021).
In conclusione, la Corte di Cassazione formula il seguente principio di diritto:
“L’istanza di condanna al risarcimento dei danni ex art. 96, secondo comma, c.p.c. non può essere proposta in sede di cognizione nel giudizio presupposto, qualora sussista un’ipotesi di impossibilità di fatto o di diritto all’articolazione della domanda in tale sede – come allorquando i gradi di merito del giudizio di merito si siano esauriti ancor prima dell’insediamento delle commissioni tributarie e provinciali, in base al combinato disposto dell’art. 80 d.lgs. n. 546/1992 e del d.m. 26.4.1996 - nel qual caso ne è consentita la proposizione in un giudizio autonomo”.
Il caso processuale esaminato è senz’altro particolare, ma rappresenta l’occasione per un recap sulle regole fondamentali di applicazione dell’istituto della lite temeraria nel processo tributario.
L’applicabilità della lite temeraria nel processo tributario ha trovato del resto riconoscimento normativo espresso solo con il comma 2-bis dell’articolo 15 del Dlgs 546/92, il quale prevede che, ove risulti che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, la Commissione tributaria la condanna, su istanza dell’altra parte, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni liquidati, anche d’ufficio nella sentenza.
La disposizione è mutuata testualmente dall’art. 96, primo comma, c.p.c., in materia di responsabilità aggravata per la cd. lite temeraria.
In merito a questo tipo di responsabilità, che, come detto, si pone in rapporto di specialità rispetto alla disciplina generale di cui all’articolo 2043 del codice civile, le istruzioni ministeriali (Circolare numero 98 del 1996) avevano in un primo momento escluso che essa potesse configurarsi nell’ambito del processo tributario.
In assenza di una specifica disposizione legislativa, che escludesse espressamente dalla disciplina del processo tributario l’articolo 96 del codice di procedura civile (laddove ora, come detto, è stata introdotta espressa disciplina), si ritiene, in realtà, che, già in precedenza, alla luce della regola generale di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 546 del 1992, tale istituto fosse applicabile nel processo tributario, stante la compatibilità tra la citata disposizione processuale e le norme del decreto legislativo n 546/92.
Tanto premesso, venendo ai profili operativi dell’istituto, la Cassazione, con l’Ordinanza n. 23810 del 02 settembre 2021, ha comunque chiarito quando è possibile invocare la lite temeraria.
Affermano i giudici di legittimità che la condanna per lite temeraria configura una sanzione di carattere pubblicistico, volta alla repressione dell’abuso dello strumento processuale (il che vale peraltro non solo nei confronti dell’Amministrazione, ma anche, naturalmente, nei confronti dei contribuenti).
L’applicazione della fattispecie di cui all’art. 96, comma 3, c.p.c., pertanto, non richiede tanto il riscontro del dolo o della colpa grave, quanto la sussistenza di una condotta valutabile alla stregua di “abuso del processo”, che si configura quando una delle parti agisca o resista pretestuosamente in giudizio, in evidente contrasto con consolidati precedenti.
In tali ipotesi si determina dunque uno sviamento del sistema giurisdizionale dai suoi fini istituzionali ed un ingiustificato aumento del contenzioso, ostacolando la lite temeraria la ragionevole durata dei processi e il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione.
A tal fine, la condanna al pagamento della sanzione processuale può essere pertanto quantificata in proporzione alla condanna alle spese e in proporzione al valore della causa.
La stessa condanna può essere calibrata su una frazione o su un multiplo delle spese di lite, con l’unico limite della ragionevolezza.
In ogni caso è opportuno ricordare che la richiesta di responsabilità aggravata non può fondarsi sulla semplice prospettazione di tesi giuridiche errate.
Sbagliare difesa, infatti, non rappresenta un comportamento sleale e fraudolento.
Allo stesso modo è evidente, però, che, laddove si verifichi un atteggiamento processualmente e consapevolmente scorretto, tale scorrettezza non potrà essere ammessa e potrà essere di conseguenza sanzionata.
Ancora è opportuno ricordare che, in caso di autotutela (con riconoscimento pertanto, solo post impugnazione, della erroneità dell’atto in origine emesso), l’Amministrazione finanziaria potrà essere condannata alle spese del giudizio. Quanto però ai presupposti per la condanna per responsabilità processuale aggravata (lite temeraria) la erroneità dell’atto non sarà sufficiente, essendo necessario, come detto, che il contribuente provi la mala fede o colpa grave e il danno subito (Cass., n. 24841 del 15.09.2021).
L’invocazione della lite temeraria, ex art. 96 cpc, come riconosciuto dalla giurisprudenza della Corte Suprema, non può essere, in sostanza, semplicemente asserita, ma “presuppone l’accertamento” (e dunque la prova) “sia dell’elemento soggettivo dell’illecito (mala fede o colpa grave), sia dell’elemento oggettivo (entità del danno sofferto)” (Cass., 12422/95).
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