Il Governo pensa a introdurre incentivi fiscali per favorire la natalità? Le intenzioni ci sono ma nulla è stato ancora definito, fa sapere il Ministro dell'Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti durante l'audizione sul DEF il 20 aprile 2023. C'è un delicato equilibrio da mantenere e il punto critico è il lavoro femminile
Chi ha più figli paga meno tasse: sarebbe questa la strategia del Ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti per favorire le nascite. Ad anticiparla è stato Claudio Cerasa, direttore de Il Foglio, sulle pagine del suo giornale il 19 aprile 2023.
Le parole pronunciate durante l’audizione sul Documento di Economia e Finanza 2023 che si è tenuta il 20 aprile confermano l’intenzione di spingere sul Fisco per accelerare la natalità. In che modo? Non è stato ancora stabilito, anche perché non sembrano esserci risorse pronte da investire nell’immediato.
Il calo demografico è senza dubbio una questione non rimandabile. Ma c’è un delicato equilibrio da mantenere su un punto critico: il lavoro femminile, da tutelare e incentivare.
Lo ha sottolineato anche la premier Giorgia Meloni e gli ultimi dati del Rapporto sul Benessere equo e sostenibile diffuso dall’ISTAT il 20 aprile lo dimostrano: la ripresa dell’occupazione riguarda soprattutto gli uomini e aumenta il divario di genere aumenta, arrivando a 19,7 punti.
Chi ha più figli paga meno tasse: le novità allo studio del Governo
La novità per incentivare la natalità a cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze starebbe lavorando, secondo Il Foglio, consiste nella riduzione della tassazione per i nuclei familiari composti da almeno due figli o figlie.
Da Giancarlo Giorgetti durante l’audizione sul Documento di Economia e Finanze che si è tenuta al Senato il 20 aprile non arriva né una conferma, né una smentita.
“Io naturalmente ho letto in questi giorni diverse proposte e diverse idee: ne possiamo discutere e non sono nemmeno così sciocco da pensare che soltanto un incentivo fiscale possa in qualche modo produrre un significativo effetto sulla natalità. E penso che non sia neanche il caso di parlare di incentivi alla natalità, eliminare disincentivi alla natalità”.
Sicuramente si stanno studiando misure d’impatto: “dobbiamo immaginare di metter in campo un’azione choc”.
E spiega:
“Non possiamo tassare allo stesso modo chi è single e chi ha la famiglia con figli perché evidentemente chi ha dei figli supporta dei costi che in qualche modo alterano quello che è il concetto della progressività del carico fiscale quindi quello che dobbiamo fare è rimuovere gli ostacoli e i limiti per quanto riguarda la natalità”.
Chi ha più figli pagherà, quindi, meno tasse? Probabilmente sì, o almeno sembra essere questa l’intenzione del Governo. Ma è difficile stabilire ora che forma avrà questa riduzione.
Ai microfoni di Informazione Fiscale, durante il Convegno “Le politiche per lo Sviluppo del Paese” organizzato dall’associazione di studi legali ADVANT Nctm del 19 aprile, la sottosegretaria al MEF Sandra Savino sulle prime indiscrezioni emerse ha subito chiarito: “Di cifre non abbiamo ancora parlato”.
D’altronde di mezzo ci sono le risorse da impiegare. Secondo quanto anticipato dal viceministro Leo: bisognerà attendere la Nota di Aggiornamento al DEF per verificare la possibilità di spendere su questo fronte.
Incentivi fiscali per la natalità e lavoro femminile: due priorità per il Governo
Attualmente a sostegno della genitorialità c’è l’assegno unico, introdotto da marzo 2022 come misura universale per semplificare e armonizzare diversi strumenti di sostegno: dalle detrazioni per i figli a carico fino ai 21 anni al bonus bebé.
Secondo i dati INPS, nel primo anno di vita (fino a febbraio 2023) ha mosso una mole di risorse pari a 16 miliardi di euro per un importo medio pari a 146 euro per figlio. L’ultima Legge di Bilancio ha, poi, potenziato l’assegno unico prevedendo nuove maggiorazioni.
Anche con questo strumento dovrà integrarsi qualsiasi novità fiscale per incentivare la natalità. Oltre alle verifiche sulle risorse e alle misure già in vigore, sarà necessario fare anche altre valutazioni: l’inserimento di una nuova forza in un sistema ha un impatto importante sulle altre già in campo.
In questo caso, in gioco c’è un delicato equilibrio da mantenere che tocca anche la parità di genere e si articola su un punto critico: il lavoro femminile.
Del resto ne ha sottolineato l’importanza anche la stessa premier Giorgia Meloni che in occasione dell’inaugurazione del Salone del Mobile il 18 aprile 2023 ha sottolineato:
“È oggettivo che in Italia abbiamo un problema nel nostro sistema economico e sociale che deriva dal fatto che per troppi anni non abbiamo investito sulla natalità e sulla demografia. Di fatto noi abbiamo sempre più persone da mantenere e sempre meno persone che lavorano”.
La soluzione al problema per Meloni sta proprio nell’accesso “a quella grande riserva inutilizzata che è il lavoro femminile” e nella spinta “sulla demografia e quindi sull’incentivazione della possibilità delle famiglie di mettere al mondo figli”.
Diversi studi dimostrano che la parità di genere, che passa anche attraverso l’occupazione femminile, favorisce l’incremento demografico: in un contesto di equilibrio sulla gestione del carico di cura, per una giusta distribuzione all’interno della famiglia e per la possibilità di affidarsi a servizi esterni, è più semplice immaginare di lavorare e di far nascere dei figli o delle figlie ed è possibile immaginare di conciliare le due cose.
Tassazione, demografica e parità di genere
Non è questo il caso dell’Italia, e lo dicono i dati pubblicati ieri, 20 aprile 2023, dall’ISTAT sul rapporto BES 2022.
Diffuso è uno squilibrio di genere a sfavore delle donne su diversi fronti: lavoro, conciliazione dei tempi di vita, Politica e istituzioni, Relazioni sociali, Benessere economico e Benessere soggettivo.
“Nonostante il maggiore investimento delle donne in Istruzione e formazione, sul mercato del lavoro le donne vivono ancora una condizione di forte svantaggio. Non solo è più basso il tasso di occupazione (nella classe 20-64 anni è 55,0% per le donne e 74,7 per cento per gli uomini) ed è più elevato il tasso di mancata partecipazione al mercato del lavoro (19,6 per cento vs 13,5 per cento), ma anche gli aspetti qualitativi della condizione occupazionale denotano un persistente squilibrio di genere ed una situazione peggiore per le lavoratrici”.
Part time involontari, bassa retribuzione e in generale precarietà lavorativa caratterizzano ancora l’occupazione femminile, nonostante rispetto al rapporto precedente il tasso di occupazione sia aumentano per le madri e per le lavoratrici senza figli, dell’1,6 per cento per le prime, del 2,7 per cento per le seconde.
È anche di questi dati che bisogna tener conto per mettere in campo incentivi fiscali per favorire la natalità.
Come ha sottolineato lo stesso Giorgetti, sarebbe sbagliato guardare a un solo fattore come quello determinante, ma sicuramente la leva della tassazione rappresenta una spinta importante e va calibrata con cura.
Nel suo libro Parità di genere e politiche pubbliche, la professoressa Paola Profeta passa a rassegna una serie di modelli di tassazione che possono spostare in un verso o nell’altro l’asticella della parità di genere che si lega a doppio filo con il lavoro femminile.
Sotto la lente di ingrandimento c’è la gender tax, approfondita a più riprese su queste pagine: mai applicata è stata immaginata come una spinta all’occupazione delle donne, a prescindere dal nucleo familiare.
Si analizza, poi, il quoziente familiare francese, che sembra scoraggiare il lavoro femminile. E poi ancora lo studio si sofferma sui sistemi di stampo americano e inglese che permettono ai nuclei familiari in cui entrambi i coniugi sono occupati di accedere a un credito d’imposta o comunque a un bonus che aumenta con le dimensioni della famiglia.
Sicuramente non esiste una ricetta buona per tutti: centrale è il contesto in cui si inserisce qualsiasi incentivo. La differenza, ad esempio, possono farla i servizi disponibili, primi fra tutti gli asili nido. Quello che emerge dagli studi sull’incrocio tra tassazione, demografia e parità di genere è che le scelte da fare sulla prima non possono non considerare gli effetti su entrambe le variabili.
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