Esenzione IVA su prestazioni di soggiorno studio all'estero: quali sono le regole da applicare? Un'analisi della normativa di riferimento e della posizione della Corte di Cassazione partendo dai fatti dell'Ordinanza numero 12219 del 14 aprile 2022.
La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 12219/2022, ha chiarito alcuni rilevanti profili IVA in tema di prestazioni di soggiorno studio all’estero.
Nel caso di specie, la Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso della contribuente avverso un avviso di accertamento relativo ad IVA per l’anno d’imposta 2009, con il quale l’Ufficio aveva ritenuto che i viaggi di istruzione all’estero, organizzati in favore di dipendenti INPDAP, dovessero essere considerati non viaggi di studio, ma viaggi vacanza, con conseguente esclusione delle prestazioni rese dalle agevolazioni previste dall’art. 10, n. 20, del Dpr. n. 633 del 1972 e conseguente loro assoggettamento al pagamento dell’IVA.
Esenzione IVA su prestazioni di soggiorno studio all’estero: i fatti dell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 12219 del 2022
La Commissione Tributaria Regionale respingeva poi l’appello dell’Agenzia delle Entrate, affermando che l’esenzione di cui all’art. 10 cit. opera da un punto di vista oggettivo per le prestazioni didattiche di ogni genere e quindi anche per quelle relative all’insegnamento delle lingue straniere all’estero, laddove i soggiorni di studio all’estero non potevano essere assimilati a pacchetti turistici, come sostenuto dall’Ufficio, dal momento che la loro precipua finalità non è quella turistica - che ricomprende svago e riposo - bensì quella di studio presso istituzioni scolastiche estere, che l’ente accertato si impegnava a selezionare e a contattare per concordare il piano di studi individuale dello studente e per assicurare il rispetto della normativa ministeriale ai fini del pieno riconoscimento del periodo di studio trascorso all’estero.
Le prestazioni riguardanti viaggio, vitto e alloggio, rilevava la Commissione Tributaria Regionale, costituivano del resto prestazioni meramente accessorie rispetto alla finalità principale del soggiorno, che era quella di trascorrere un periodo di studio presso un’istituzione scolastica straniera, il quale sarebbe stato poi riconosciuto dalla scuola italiana di provenienza dello studente.
Dal punto di vista soggettivo, inoltre, si trattava di prestazioni rese da istituti o scuole riconosciute da pubbliche amministrazioni e, nella specie, l’ente accertato era autorizzato ad impartire lezioni d’inglese dal Ministero della Pubblica Istruzione.
Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate proponeva infine ricorso per cassazione, denunciando la violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., in quanto la motivazione della sentenza era fondata su affermazioni (a suo avviso) apodittiche, quali, ad esempio, quella secondo cui i soggiorni di studio non possono essere assimilati ai pacchetti turistici, o quella secondo cui le prestazioni comprendenti il viaggio, l’alloggio e il vitto devono evidentemente considerarsi accessorie.
Con un secondo motivo d’impugnazione, l’Amministrazione finanziaria denunciava poi la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 74 ter del Dpr. n. 633 del 1972, in quanto i viaggi in questione erano assimilabili ai pacchetti turistici e come tali erano assoggettabili ad IVA.
Secondo la Suprema Corte, la prima censura era infondata.
La posizione della Corte di Cassazione su esenzione IVA su prestazioni di soggiorno studio all’estero
Evidenziano infatti i giudici di legittimità che la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, affermando che l’esenzione di cui all’art. 10, n. 20, del Dpr. n. 633 del 1972 opera da un punto di vista oggettivo per le prestazioni didattiche di ogni genere e quindi anche per quelle relative all’insegnamento delle lingue straniere all’estero, aveva fornito una motivazione logica e ragionevole, che permetteva di comprendere agevolmente la ratio decidendi posta alla base della sentenza impugnata e si collocava quindi ben al di sopra del minimo costituzionale di motivazione di cui all’art. 111 Cost.
La sentenza impugnata spiegava del resto che, per meritare l’esenzione dell’IVA ai sensi dell’art. 10, cit., occorre che ricorra sia un requisito oggettivo, consistente nell’esercitare una attività didattica di qualsiasi genere (e nel caso di specie tale requisito era individuato nell’insegnamento all’estero della lingua inglese) e sia un requisito soggettivo, consistente nel riconoscimento da parte di pubbliche amministrazioni (e nella specie l’ente era autorizzato ad impartire lezioni d’inglese dal Ministero della Pubblica Istruzione).
Secondo la Corte di Cassazione, anche il secondo motivo di impugnazione era poi infondato.
Rilevano in particolare i giudici che, in tema di IVA, l’esenzione prevista dall’art. 10, comma 1, n. 20, del Dpr. n, 633 del 1972, presuppone il formale riconoscimento da parte della pubblica amministrazione, secondo le vigenti disposizioni di legge, della finalità educativa della prestazione erogata.
La Dir. 1977/388/CEE, art. 13, lett. A, n. 1, lett. i), (e poi la Dir. 2006/112/CE, art. 132, comma 1, lett. i, che lo ha sostituito) postula del resto che il soggetto (organismo di diritto pubblico o altro riconosciuto dallo Stato) abbia una finalità educativa e di insegnamento (v. Corte di Giustizia, 14 giugno 2007, in C-434/05, Stichtíng Regionaal Opleidingen Centrum Noord-Kennemerland/West-Friesland), in mancanza della quale non spetta l’esenzione.
La Corte di Giustizia, inoltre, ha precisato che i servizi educativi sono esentati se effettuati da enti aventi uno scopo di istruzione, o da altri organismi riconosciuti dallo Stato membro interessato aventi finalità simili (Corte di Giustizia, sentenza 28 novembre 2013, in C319/12, MDDP).
La sentenza della Commissione Tributaria Regionale, secondo la Suprema Corte, si era dunque conformata ai principi sopra espressi, avendo correttamente rilevato che, per meritare l’esenzione dell’IVA ai sensi dell’art. 10, cit., occorre che ricorra sia un requisito oggettivo, consistente dell’esercitare una attività didattica di qualsiasi genere (e nel caso di specie tale requisito era individuato nell’insegnamento all’estero della lingua inglese), e sia un requisito soggettivo, consistente nel riconoscimento da pubbliche amministrazioni e nella specie, come visto, l’ente era stato autorizzato ad impartire lezioni d’inglese dal Ministero della Pubblica Istruzione.
In particolare, rileva la Cassazione, non può del resto non evidenziarsi che l’insegnamento di una lingua straniera è pacificamente riconosciuto come più efficace quando viene svolto nel Paese ove tale lingua costituisca la lingua madre parlata dalla popolazione “autoctona”.
E dunque era più che ragionevole l’affermazione della sentenza impugnata secondo cui il viaggio all’estero era funzionale all’insegnamento dell’attività didattica.
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