La settimana che sta per terminare è stata caratterizzata da vicende che mai dovrebbero avvenire in un paese moderno e vicino all’ideale ma a cui anche nell’era del cosiddetto Governo dei Migliori si susseguono come un refrain che si ripete sempre uguale a se stesso.
Il modello 730 precompilato a più di qualche contribuente non risulta disponibile per non meglio precisate problematiche di acquisizione dei dati, alle quali gli stessi uffici interpellati non sanno dare riscontro.
Un modello di dichiarazione che dopo anni di “rodaggio” ancora non ha raggiunto la maturità necessaria per poter definire questo istituto un reale successo.
È vero, sempre più utenti lo utilizzano, lo scorso anno sono stati quasi 4 milioni i modelli presentati ma siamo pur sempre nell’ordine di un 15 per cento dei potenziali fruitori e spesso e volentieri si tratta di modelli verificati e completati con l’ausilio di Caf e consulenti e non autonomamente gestiti dal contribuente stesso.
Una gran quantità di dati viene acquisita dalla Agenzia delle Entrate grazie a norme che obbligano imprese e consulenti ad inviare innumerevoli informazioni ai server della PA con impegno di tempo e di mezzi, certo sovrabbondanti rispetto al risultato atteso.
Lo stesso errore di fondo si sta ripetendo con la Dichiarazione IVA precompilata, laddove per concedere più tempo agli uffici per la sua concreta attuazione ne è stata più volte rinviata la data del suo esordio e, per facilitare il compito della sua predisposizione, è stata addirittura sacrificata la facilità di compilazione della Fattura Elettronica introducendo, rendendoli obbligatori dal 2021, una ventina tra nuovi Codici Natura e Tipo Documento.
La logica non sembra appartenere agli uffici legislativi e di governo del nostro paese
Non sembra balenare in alcuno il concetto basilare di una qualsiasi efficace azione di digitalizzazione che è appunto la semplificazione.
L’acquisizione di dati ed informazioni abnorme rispetto alle normali esigenze di una amministrazione tributaria sta sancendo un effettivo insuccesso annunciato di istituti quali le dichiarazioni precompilate che, secondo le pur lodevoli intenzioni, vorrebbero facilitare il compito di cittadini ed imprese ma nei fatti ne complicano la quotidianità.
Fino ai primi passi dell’informatizzazione degli uffici tributari, vedi l’introduzione di Entratel, il 31 maggio le campagne dichiarative erano terminate e ci si poteva dedicare ad analisi e controllo dell’andamento dell’anno in corso come pure all’affiancamento dell’imprenditore nel suo percorso di sviluppo od anche, perché no, programmare e godersi le agognate vacanze estive mentre oggi, agli albori delle intelligenze artificiali, la presentazione della dichiarazione avviene in autunno inoltrato.
Non mi voglio qui soffermare sul caso ristoranti, che ha obbligato ad una riunione della cabina di regia ed a una ordinanza del ministero della Salute che ha indicato il numero massimo di commensali ai tavoli per scongiurare un incidente interpretativo all’interno delle stesse istituzioni che stavano letteralmente dando i numeri, ognuno in base alla propria lettura di decreti ordinanze e linee guida.
Già questo dovrebbe bastare ai più per convenire sul fatto che con l’attuale metodo di scrittura dei testi normativi in lingua burocrate, utile solo a dar lavoro a giudici ed avvocati, non si può più andare avanti.
Altra chicca, giusto venerdì ho letto un interessante articolo di una autorevole firma che riguardava alcuni atti della Corte di Cassazione con i quali in più di una occasione, l’ultima della quale la propria ordinanza 15341/2021 depositata giovedì scorso, ha sancito che l’Irap è una imposta imputata per trasparenza agli associati, rifacendosi a precedenti pronunce della stessa Corte, evidentemente errate, dove appunto in una di queste era riportato che il presupposto impositivo dell’Irap si realizza in capo ai soci.
È palese quello che, ad essere buoni, può essere definito un equivoco di fondo di una prima pronuncia a cui si sono poi probabilmente ispirate le successive ordinanze come appunto quella depositata il 3 giugno scorso.
In ultimo da evidenziare il “tempestivo” aggiornamento del servizio di Conservazione a Norma delle Fatture Elettroniche.
A ben 6 giorni dal termine prorogato dal Decreto Sostegni ed a soli 3 mesi dopo la scadenza originaria che ricordo era il 10 marzo scorso, quando tutti hanno già provveduto a portare in conservazione le fatture antecedenti al momento dell’adesione con il non semplice metodo manuale, è stato finalmente reso disponibile nel Portale Fatture e Corrispettivi un meccanismo che consente di fruirne con effetto retroattivo e con la possibilità di indicare la data di decorrenza.
Questa ennesima settimana di ordinaria amministrazione mi fa pensare alla ineludibile necessaria Riforma Fiscale che non può prescindere da una semplificazione del ginepraio normativo e dalla introduzione di una qualsiasi forma di effettiva tutela del contribuente.
Potrebbe essere una Autority di Garanzia che eviti il ripetersi degli evidenti errori di ordine sia concettuale che pratico perpetrati dal Governo, dal Legislatore, delle Agenzie Fiscali ed a come sembra, letta questa ultima sua “massima” prima riportata, anche dalla Magistratura Tributaria.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Una settimana di ordinaria amministrazione