Secondo la Cgia di Mestre la pubblica amministrazione sta congelando 53 miliardi di debito commerciale nei confronti delle aziende e ben 62 miliardi destinati ai cantieri per opere infrastrutturali già finanziate e mai aperti. Tuttavia, i dati sui mancati pagamenti dello Stato alle imprese non sono certi per la Banca d'Italia, mentre le grandi opere più che dalla burocrazia sembrano bloccate dalle controversie sulla loro reale utilità.
L’economia al tempo del Coronavirus: per la Cgia di Mestre la pubblica amministrazione è colpevole di “congelare” ben 115 miliardi di spesa pubblica tra debiti commerciali ancora da pagare nei confronti delle imprese e cantieri per opere infrastrutturali mai aperti, anche se completamente finanziati.
L’associazione di categoria veneta ricava i dati in questione da due fonti: per quanto riguarda il debito inevaso delle amministrazioni pubbliche dalla “Relazione annuale 2018” della Banca d’Italia presentata il 31 maggio 2019, mentre per le opere pubbliche dal monitoraggio realizzato dall’Ance, l’Associazione nazionale costruttori edili attraverso il sito sbloccacantieri.it.
In particolare, sarebbero 53 i miliardi di euro dovuti al mancato pagamento di quanto dovuto alle aziende e 62 quelli bloccati e che sarebbero da destinare ai cantieri.
“Mentre aspettiamo che i 27 Paesi dell’UE trovino un accordo per consentire l’utilizzo dei coronabond - ha dichiarato il coordinatore dell’Ufficio studi della Cgia Paolo Zabeo - nel frattempo sarebbe opportuno che la nostra PA pagasse i propri fornitori e fosse in grado di avviare le tante opere pubbliche che, ironia della sorte, sono in buona parte quasi tutte finanziate. Se sbloccate, queste misure darebbero una prima importante iniezione di liquidità al sistema economico del Paese, invece, la cattiva burocrazia e il malfunzionamento della macchina pubblica continuano a rappresentare un problema molto serio, quanto la rovinosa caduta che l’economia italiana si appresta a subire nei prossimi mesi”.
I dubbi sulle cifre del debito della Pubblica Amministrazione verso le imprese
In una fase economica contrassegnata dalle ricadute dell’epidemia di COVID-19 è evidente che l’analisi proposta dalla Cgia susciti un immediato impatto e un grande scalpore. Tuttavia, non è un caso che perfino nel suo documento l’associazione di categoria impieghi il condizionale: infatti si ammette che i dati ricavati dalla Banca d’Italia si basano su indagini campionarie e da segnalazioni di vigilanza, motivo per il quale “sono caratterizzati da un’elevato grado di incertezza”.
Comunque, a prescindere dalla battaglia in corso di svolgimento in sede UE sui coronabond è indubbia l’utilità di prendere dei provvedimenti che azzerino il debito commerciale delle PA nei confronti delle aziende, sebbene si tratti di un fenomeno in riduzione negli ultimi anni.
Controversia sulle opere pubbliche: forse è il momento sbagliato
Più controversa è la supposta azione nefasta dell’amministrazione pubblica in materia di opere pubbliche già programmate (quasi 750 per la Cgia).
Se infatti è vero che in linea di massima un’infrastruttura finanziata andrebbe ovviamente anche realizzata, soprattutto nel caso di scuole, strade e ospedali, nel caso italiano tuttavia spesso si tratta di opere la cui utilità è stata spesso oggetto di contestazioni non solo da parte dei cittadini, ma perfino a livello parlamentare e ministeriale.
Non per niente, la Cgia nell’elenco delle grandi opere inevase pone proprio la TAV Torino-Lione per un costo di 8,6 miliardi di euro che fu anche tra i motivi apparenti della crisi del precedente governo, così come il progetto della Gronda di Genova per un costo di 5 miliardi di euro.
“Se da un lato questa situazione di impasse non consente l’ammodernamento del Paese - ci dice la Cgia - dall’altro non dà alcun contributo alla crescita della domanda interna che mai come in questo momento dovrebbe essere supportata”.
Per superare questa situazione di stasi la Cgia invoca quindi il modello commissariale adottato nel caso del nuovo ponte di Genova progettato da Renzo Piano.
Ma è abbastanza semplice obiettare a questo argomento che le risorse “congelate” per opere sulle quale si discute da anni, sia per il loro costo eccessivo, sia per il loro impatto ambientale, sarebbero ora certamente più utili se investite nel Sistema Sanitario Nazionale o nel sostegno di lavoratori e professionisti a basso reddito e delle piccole e medie aziende che abbisognano di un’offerta consorziata di servizi per tecnologie, formazione, ecc.
Si tratta pertanto di fare una precisa scelta in tempi nei quali le risorse da impiegare sono scarse, privilegiando le opere a forte impatto sociale sebbene di contenute dimensioni e tralasciando invece le cosiddette grandi infrastrutture che spesso divengono solo un finanziamento a fondo perduto per i consorzi di poche e grandi imprese.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Coronavirus, Cgia di Mestre: “lo Stato blocca 53 miliardi di crediti alle imprese”