Residenza anagrafica e non residenza di fatto per l'ottenimento delle agevolazioni fiscali prima casa: ecco cosa prevede la recente pronuncia della Corte di Cassazione.
Per usufruire delle agevolazioni prima casa il contribuente deve dimostrare, in base ai dati anagrafici, di risiedere o lavorare nel comune dove ha acquistato l’immobile senza che, a tal fine, possano rilevare la residenza di fatto o altre situazioni contrastanti con le risultanze degli atti dello stato civile
Questo ha deciso la Corte di Cassazione con l’Ordinanza numero 10072/2019.
La decisione - L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della CTR che ha deciso per l’annullamento di un avviso di liquidazione per imposta di registro, emesso per la revoca dei benefici concessi per l’acquisto di immobile da adibire ad abitazione principale, avendo il contribuente trasferito la propria residenza oltre il termine di diciotto mesi.
Nella sentenza impugnata i giudici d’appello hanno ritenuto che la dimostrazione dello spostamento della residenza non deve essere limitata alla certificazione del Comune, “ma è riscontrabile oggettivamente e dai comportamenti concludenti del contribuente” attraverso la produzione, ad esempio, del pagamento della Tarsu o dell’istanza per il cambio di residenza.
I giudici di legittimità hanno ritenuto fondato il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria e cassato con rinvio la sentenza impugnata.
Nel ricorso proposto, l’Amministrazione finanziaria ha dedotto che in materia di agevolazione prima casa bisogna attribuire rilievo solo alle risultanze anagrafiche e non, come dichiarato dai giudici di merito, a generici elementi comprovanti il trasferimento di fatto nel Comune in cui è sito l’immobile.
I giudici di Piazza Cavour hanno avallato tale principio, richiamandone uno già espresso in materia, secondo cui i benefici fiscali previsti per l’acquisto della prima casa “spettano unicamente a chi possa dimostrare in base ai dati anagrafici di risiedere o lavorare nel comune dove ha acquistato l’immobile senza che, a tal fine, possano rilevare la residenza di fatto o altre situazioni contrastanti con le risultanze degli atti dello stato civile.”
In altre parole è stato rimarcato che il requisito della destinazione del nuovo immobile ad abitazione principale deve intendersi riferito al “dato anagrafico” e non al dato “meramente fattuale” sostitutivo della certificazione anagrafica, a nulla rilevando il sostenimento di spese (ad esempio spese condominiali e utenze) che comprovino la destinazione dell’immobile.
Quanto poi alla determinazione della residenza, i giudici di legittimità tengono conto peraltro dell’unicità del procedimento amministrativo inteso al mutamento dell’iscrizione anagrafica (sancito anche dall’articolo 18, comma 2, del D.P.R. 30 maggio 1989), stabilendo che la decorrenza è quella della dichiarazione di trasferimento resa dall’interessato nel comune di nuova residenza.
Nel caso di specie il contribuente non è stato in grado di provare che il mancato perfezionamento della procedura di iscrizione anagrafica nel Comune dove era sito l’immobile acquistato non fosse ad egli stesso addebitabile, non costituendo il pagamento della TARSU una circostanza sufficiente a comprovare l’effettivo cambio di residenza, idoneo a superare il dato anagrafico.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Agevolazioni prima casa: rileva la residenza anagrafica e non quella di fatto