Gli affitti commerciali sono soggetti ad imposizione fiscale anche quando non sono stati percepiti, ecco la normativa da applicare e l'analisi di un caso pratico oggetto dell'ultima sentenza in materia della Corte di Cassazione
Il reddito degli immobili locati per fini diversi da quelli abitativi, è tassato fin quando risulta in vita il contratto di locazione, con la conseguenza che anche i canoni non percepiti concorrono al reddito imponibile, salvo che sia intervenuta la risoluzione del contratto o un provvedimento di convalida di sfratto.
È questo il principio ribadito dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 33955/2022.
Affitto commerciali tassati anche se non incassati: il fatto e le ultime novità dalla Cassazione
Un contribuente presentava istanza di rimborso, per la restituzione dell’IRPEF e dell’addizionale regionale versate in eccedenza in relazione agli anni 2006, 2007 e 2008, avendo computato in dichiarazione dei canoni di locazione di un immobile ad uso commerciale, che aveva maturato ma non percepito oltre 22 mila euro, in quanto il locatario dell’immobile si era reso moroso per tutte e tre le annualità, tanto che il 6 luglio 2010 era intervenuta convalida di sfratto, resa esecutiva l’11 ottobre successivo.
Da qui il ricorso in Cassazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, poiché i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla loro percezione, a formare il reddito complessivo del proprietario dell’immobile.
E, laddove l’immobile sia stato concesso in locazione a terzi, il reddito fondiario è pari
“al maggiore ammontare fra il canone locativo, ridotto forfetariamente del 5%, e la rendita catastale, rivalutata del 5%”
Ciò significa, ad avviso dell’Amministrazione finanziaria, che il reddito fondiario, ai fini IRPEF, è correlato alla titolarità del bene immobile; la tassazione dei canoni, in altri termini, non è sorretta da alcuna presunzione di effettiva percezione degli stessi.
La ratio della posizione della Corte di Cassazione
Il motivo è fondato.
“Nell’escludere dal computo della base imponibile i canoni locativi non percetti, infatti, la sentenza d’appello si è discostata dal consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, in base al combinato disposto degli artt. 23 e 34 del d.P.R. n. 917/1986, il reddito degli immobili locati per fini diversi da quello abitativo è individuato in relazione al reddito locativo fin quando risulta in vita un contatto di locazione, con la conseguenza che anche i canoni non percepiti per morosità costituiscono reddito tassabile finché non sia intervenuta la risoluzione del contratto o un provvedimento di convalida di sfratto (cfr. Cass. n. 16981/2020; Cass. n. 12332/2019; Cass. n. 19240/2016; Cass. n. 651/2012)”
Siffatta impostazione è conforme al principio secondo cui
la tassazione del reddito locativo è collegata alla mera maturazione del diritto a percepirlo
Sul punto viene richiamata la sentenza della Corte Costituzionale numero 362 del 2000, che ha rilevato che la congruenza del metodo valutativo del reddito fondiario, ai fini IRPEF, richiede necessariamente un «sistema catastale modernamente attrezzato», così giustificandosi il riferimento al canone locativo proprio in conformità al principio di capacità contributiva.
Né, del resto, può spiegare efficacia la previsione di cui all’art. 26, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (come modificato dall’art. 8, comma 5, della l. n. 431/1998), che esclude dal computo del reddito imponibile i canoni di locazione ad uso abitativo non percetti per morosità del conduttore; trattandosi, infatti, di previsione eccezionale rispetto alla regola generale poc’anzi richiamata, essa non può trovare applicazione che nell’ambito letterale di riferimento.
Brevi note fra norma, prassi e giurisprudenza
Le locazioni ad uso commerciale sono soggette all’ordinaria disciplina secondo cui i canoni di locazione non percepiti devono essere sempre e comunque dichiarati, a meno che non si dimostra che il contratto di locazione sia cessato e le imposte versate per i canoni non percepiti non possano essere recuperate sotto forma di credito d’imposta.
L’Agenzia delle Entrate, dapprima con la circolare numero 150/E/1999 e poi con la circolare n. 101/E/2000, nel commentare le modifiche all’art.26, del T.U. n. 917/1986, ad opera della L. n. 413/1998, ha confermato che
“per gli immobili locati per uso diverso da quello abitativo, nonché in assenza di un procedimento giurisdizionale concluso, il canone di locazione va comunque sempre dichiarato così come risultante dal contratto di locazione, ancorché non percepito, rilevando in tal caso il momento formativo del reddito e non quello percettivo”
Nello stesso senso si è attestata l’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 11/E/2014, par. 1.3.
- Circolare Agenzia delle Entrate numero 11/E del 21 maggio 2014
- Questioni interpretative in materia di IRPEF prospettate dal Coordinamento Nazionale dei Centri di Assistenza Fiscale e da altri soggetti
Come abbiamo visto, la pronuncia da cui abbiamo preso le mosse richiama la sentenza della Corte Costituzionale - n.326 del 26 luglio 2000 – secondo cui i canoni di locazione sono tassati, a prescindere dalla loro percezione, fino a quando risulta vigente un contratto di locazione e quindi risulta tecnicamente dovuto un canone locativo. La tassazione si potrà evitare quando la locazione è cessata oppure si è verificata una qualsiasi causa di risoluzione contrattuale (per inadempimento, per specifica clausola risolutiva espressa), con dichiarazione da parte del proprietario di avvalersene, provocando lo scioglimento delle reciproche obbligazioni e l’insorgenza del diritto alla restituzione dell’immobile.
I principi giuridici appena indicati sono stati più volte confermati dalla Corte di Cassazione nel corso di questi anni. Da ultimo:
- con l’ordinanza numero 20661 del 29 settembre 2020, la Corte di Cassazione ha ribadito in maniera netta che, in tema di imposte sui redditi, il reddito degli immobili locati per fini diversi da quello abitativo, è individuato in relazione alla durata del contratto di locazione, con la conseguenza che anche i canoni non percepiti per morosità costituiscono reddito tassabile, fino a che non sia intervenuta la risoluzione del contratto o un provvedimento di convalida dello sfratto, atteso che il criterio di imputazione di tale reddito è costituito dalla titolarità del diritto reale, a prescindere dalla sua effettiva percezione;
- con l’ordinanza numero 12254 del 14 aprile 2022, la Corte di Cassazione ha confermato il principio secondo cui il reddito degli immobili locati per fini diversi da quello abitativo, per i quali opera, invece, la deroga introdotta dall’art.8 della L n. 431/1988, è individuato in relazione al reddito previsto, fin quando risulta in essere un contratto di locazione, a prescindere dalla percezione dei canoni.
Sulla riduzione del canone segnaliamo, inoltre, una recente ordinanza della Corte di Cassazione - la numero 7644 del 9 marzo 2022 – secondo cui è ammissibile una prova diversa dalla registrazione per dimostrare l’esistenza della scrittura privata e la sua data certa e, conseguentemente, la riduzione del canone e la debenza di una minore imposta.
Nel caso di specie, la CTR ha ritenuto probante ai fini della dimostrazione della riduzione del canone prevista nella scrittura privata la documentazione bancaria prodotta dalla contribuente da cui si evinceva il versamento da parte della locataria di una somma corrispondente al canone ridotto.
Il principio si fonda sulla risoluzione numero 60/E/2010:
“non sussiste un obbligo di registrazione della scrittura privata di riduzione del canone di locazione, registrazione che - conferendo al documento, a norma dell’art. 2704 c.c., data certa di fronte al Fisco - può palesarsi opportuna per esigenze di ordine probatorio ai fini della dimostrazione del minor reddito conseguito e quindi della minore imposta dovuta.
La registrazione del patto modificativo non costituisce dunque un obbligo fiscale posto a carico del contribuente operando invece sul piano probatorio agevolando la prova da parte del locatore della intervenuta riduzione del canone, senza tuttavia che possa escludersi a tal fine l’utilizzo di altri mezzi di prova”
Al di là dello specifico caso e della necessità – ai fini fiscali – di avere una data certa, occorre ricordare che la stessa Corte di Cassazione, con l’ordinanza numero 15352 del 3 giugno 2021, ha ritenuto invece non sufficiente, in caso di locazione commerciale, la risoluzione del contratto trasmessa a mezzo raccomandata, ritenendo indispensabile la registrazione della risoluzione contrattuale, in forza di quanto disposto dall’art.28 del D.P.R. 131/1986.
E di conseguenza, inopponibile all’Amministrazione finanziaria la data di risoluzione.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Canoni di locazione commerciale tassati anche se non incassati