Accertamenti bancari, le movimentazioni sul conto della moglie e di un parente rilevano soltanto se l'Amministrazione finanziaria dimostra che è nella disponibilità del contribuente. L'Ordinanza della Cassazione n. 32974 del 20 dicembre 2018.
In tema di rettifica del reddito in base ad accertamenti bancari, le movimentazioni rinvenute su un conto bancario intesto a un parente stretto del contribuente accertato rilevano solo se l’Amministrazione finanziaria dimostra, sulla base di indizi gravi e precisi, che il conto è nell’effettiva disponibilità del contribuente sottoposto a verifica.
Infatti, lo stretto vincolo familiare non è sufficiente da solo a rendere operativa la presunzione di compensi in nero, perché l’Ufficio deve anche dimostrare che la situazione reddituale del coniuge terzo intestatario del conto è incompatibile o comunque non può giustificare le movimentazioni riscontrate sul conto stesso.
Queste importanti precisazioni sono state fornite dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 32974 del 20 dicembre 2018.
- Corte di Cassazione - Ordinanza n. 32974/2018
- Accertamenti bancari, il conto della moglie rileva solo in caso di gravi indizi
I fatti - La controversia è sorta dopo la notifica di un avviso di accertamento ai fini IPERF e IVA con cui l’Agenzia delle entrate ha rettificato il reddito di lavoro autonomo di un medico odontoiatra a seguito degli accertamenti bancari effettuati anche su conti correnti intestati alla coniuge.
Il professionista proponeva ricorso in CPT, che lo ha accolto. Stessa sorte per il giudizio d’appello con cui è stata respinta la tesi dell’Agenzia delle Entrate.
In particolare la CTR ha ritenuto illegittimo l’operato dell’Amministrazione finanziaria, che ha rettificato il reddito imponibile del medico in base alle movimentazioni bancarie rinvenute sui rapporti intestati alla consorte, senza fornire alcuna prova circa l’inerenza e la connessione con le operazioni imponibili del marito, “non essendo sufficiente a tal fine l’allegazione del vincolo familiare.”
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione dell’articolo 32 del DPR 600/73 e dell’articolo 51 DPR 633/72.
La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il motivo e ha rigettato il ricorso, condannando l’Agenzia alle spese processuali.
La decisione - In tema di poteri istruttori dell’Amministrazione finanziaria, l’art. 32, co. 1 n. 7) del DPR 600 del 1973 prevede che gli Uffici, previa autorizzazione, possano richiedere agli intermediari finanziari “dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata, ivi compresi i servizi prestati, con i loro clienti”.
Nell’ipotesi in cui il contribuente accertato non dimostri che le eventuali movimentazioni contestate, rinvenute sui conti, abbiamo partecipato alla determinazione del proprio reddito imponibile o siano a tal fine irrilevanti, opera la presunzione legale relativa per cui i dati sono considerati compensi da lavoro autonomo posti a base delle rettifiche del reddito dichiarato.
Il thema decidendum della controversia in commento ruota attorno al motivo con cui i giudici di merito di entrambi i gradi di giudizio hanno contestato l’operato dell’Amministrazione finanziaria, che avrebbe omesso di dimostrare la riferibilità, al contribuente accertato, delle movimentazioni bancarie rilevate sui conti intestati al coniuge.
Dal canto suo l’ente impositore ha esteso automaticamente l’ambito delle indagini finanziarie anche ai dati rinvenuti sui rapporti finanziari intestati a soggetto diverso da quello sottoposto a verifica, sulla base del mero vincolo familiare.
Nel respingere il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, i giudici della Suprema Corte hanno avallato la posizione della CTR precisando che, ai fini dell’efficacia della presunzione prevista dalle indagini finanziarie, allo stretto vincolo familiare devono aggiungersi altri elementi, “il cui onere di allegazione è a carico dell’Ufficio, idonei a dimostrare, in via logico-presuntiva, che la situazione reddituale del coniuge terzo intestatario del conto è incompatibile o comunque non può giustificare le movimentazioni riscontrate sul conto che, per tale ragione, può fondatamente ritenersi nella disponibilità effettuale del contribuente accertato.”
Nel disciplinare l’accertamento cd. bancario il legislatore tributario, quando al citato art. 32 fa riferimento alla possibilità di richiedere le informazioni contenute nei rapporti intrattenuti con i clienti dell’intermediario, estende di fatto i poteri dell’Erario di richiedere all’ente creditizio sia i conti bancari intestati al contribuente accertato che quelli intestati a terzi soggetti.
Tale potere tuttavia non può essere illimitato, essendo condizionato alla preventiva dimostrazione che il conto, seppur intestato formalmente a un terzo, è riferibile al contribuente accertato perché di fatto nella sua disponibilità.
I giudici di cassazione hanno rafforzato tale principio affermando che “solo in presenza di tale condizione (formale intestazione ovvero disponibilità di fatto del conto), il cui onere probatorio compete all’Ufficio, diviene operante la presunzione legale stabilita dall’art.32 comma primo n.2) d.P.R. 29 settembre 1973 n.600 secondo cui gli importi riscossi ( versamenti), rilevati sui conti intestati o riconducibili di fatto al contribuente, devono essere considerati «compensi» provento dell’attività di lavoro autonomo svolta dall’interessato.”
Constatato pertanto che il conto richiesto all’intermediario sia formalmente intestato al professionista o si tratti di un rapporto che, sebbene formalmente intestato a un terzo, è nella sostanziale disponibilità del contribuente sottoposto a verifica, opera la presunzione in argomento.
Di conseguenza si sposta sul contribuente l’onere probatorio ed è questi a dover fornire la prova contraria della presunzione fatta valere dall’Ufficio, dimostrando che si tratta di somme già rientranti nella determinazione del reddito dichiarato o irrilevanti dal punto di vista reddituale.
In altre parole, la presunzione delle indagini finanziarie opera automaticamente se i bonifici insistono su un conto bancario di cui il contribuente accertato sia formalmente titolare.
In caso contrario “l’Ufficio, al fine di avvalersi della presunzione legale in oggetto, deve fornire la previa prova, anche per presunzioni (purché qualificate), che il conto bancario intestato a terzi sia nelle effettiva disponibilità del contribuente, al quale pertanto sono attribuibili le movimentazioni del conto fiscalmente rilevanti.”
In tal senso la decisione in commento richiama, tra tutte, il contenuto della Sentenza n. 374 del 2009 in cui la Corte di Cassazione ha dichiarato “che le indagini bancarie possono riguardare anche conti di terzi quando l’Ufficio abbia motivo di ritenere, in base agli elementi indiziari raccolti, ritenuti congrui dal giudice di merito, che tali conti e depositi siano stati utilizzati per occultare operazioni commerciali a scopo di evasione fiscale.”
Stesso principio vale nel caso di verifica sui conti intestati ad una società, nel qual caso l’utilizzo delle informazioni desumibili dai conti correnti bancari acquisiti dagli istituti di credito non può essere limitata ai conti formalmente intestati all’ente, “ma riguarda anche quelli intestati ai soci, agli amministratori o ai procuratori generali, allorché risulti provata dall’Amministrazione finanziaria, anche tramite presunzioni, la natura fittizia dell’intestazione o, comunque, la sostanziale riferibilità all’ente dei conti medesimi o di alcuni loro singoli dati.”
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