La Corte di Giustizia Europea dichiara illegittimo il requisito di 10 anni di residenza in Italia per l'accesso al reddito di cittadinanza in quanto discriminatorio. Lo Stato rischia di dover riconoscere somme per almeno 850 milioni di euro. Ora si esprimerà anche la Corte Costituzionale
La bocciatura di uno dei requisiti per l’accesso al reddito di cittadinanza da parte della Corte di Giustizia UE rischia di costare alle casse italiane almeno 850 milioni di euro.
La Corte UE ha dichiarato illegittimo il requisito dei 10 anni di residenza in Italia, dei quali gli ultimi due continuativi, in quanto determina una discriminazione indiretta per i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo.
Se anche la Corte Costituzionale, chiamata ora ad esprimersi, dovesse confermare la sentenza UE, lo Stato sarebbe chiamato a risarcire le circa 106.000 famiglie a cui è stata respinta la domanda di reddito di cittadinanza.
Reddito di cittadinanza: illegittimo il requisito di residenza di 10 anni
Dopo la procedura di infrazione sul reddito di cittadinanza aperta nel febbraio 2023 dalla Commissione Europea, arriva la sentenza della Corte di Giustizia UE nelle cause riunite C-112/22 CU e C-223/22 ND.
La questione riguarda la legittimità di uno dei requisiti previsti dalla normativa per ottenere il reddito di cittadinanza negli anni della sua operatività, cioè dal 2019 al dicembre del 2023, quando è stato sostituito dall’assegno di inclusione.
Si tratta del requisito dei 10 anni di residenza nel Paese, di cui gli ultimi due in modo continuativo, e che la Corte ha ritenuto illegittimo in quanto costituisce una discriminazione indiretta nei confronti dei cittadini e delle cittadine straniere soggiornanti di lungo periodo.
Un giudizio su cui è chiamata ad esprimersi anche la Corte Costituzionale, che prima di procedere attende proprio la sentenza da parte della Corte UE.
La causa è partita dai ricorsi esposti da due cittadine straniere che hanno fatto domanda e percepito il RdC “indebitamente”, rischiando pertanto di essere sanzionate penalmente per falsa attestazione dei requisiti e appunto percezione indebita del sussidio.
Reddito di cittadinanza: la sentenza della Corte di Giustizia UE
Nella sentenza, come anticipato, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che il requisito di residenza di 10 anni costituisce una discriminazione indiretta nei confronti dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo.
Disparità di trattamento, continua la Corte, che non può essere giustificata dalla differenza dei legami di cittadini nazionali e di cittadini stranieri soggiornanti di lungo periodo con lo Stato membro interessato.
La direttiva comunitaria, infatti, prevede che un cittadino di un paese terzo possa ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo maturando un requisito di soggiorno legale e ininterrotto di 5 anni nel territorio di uno Stato.
Tale periodo, spiega la Corte UE, è sufficiente per avere diritto alla parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro, in particolare, per quanto riguarda le misure riguardanti le prestazioni sociali, l’assistenza sociale e la protezione sociale.
Uno Stato dell’Unione, dunque, non può prorogare unilateralmente il periodo di soggiorno richiesto dalla direttiva escludendo un cittadino di un paese terzo soggiornante di lungo periodo dalla possibilità di beneficiare di un trattamento paritario.
Di conseguenza, lo Stato membro non può sanzionare penalmente una falsa dichiarazione riguardante un requisito di residenza che viola il diritto dell’Unione.
Va sottolineato però che il giudizio della Corte UE non risolve la controversia nazionale. Spetterà ai giudici italiani risolvere la causa in conformità alla decisione della Corte UE.
L’ultima parola, quindi, spetterà come detto alla Corte Costituzionale.
Reddito di cittadinanza: cosa succede ora?
La sentenza della Corte di Giustizia Europea, dunque, accoglie il ricorso e rischia di determinare un conto salato per la finanza pubblica italiana.
Se anche la Corte Costituzionale dovesse esprimersi in questa direzione, stabilendo l’incostituzionalità del requisito, lo Stato si troverebbe a dover risarcire almeno le circa 106.000 famiglie che tra il 2019 e il 2023 a cui è stato negato il reddito di cittadinanza per il mancato rispetto del requisito di 10 anni di residenza.
Maggiori oneri, che secondo l’INPS, si attesterebbero attorno agli 850 milioni di euro.
Una questione che non si ripropone per l’assegno di inclusione, in quanto la normativa prevede un requisito di residenza di 5 anni.
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