Per abitazione principale si intende l'immobile nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Ma quali sono le regole per chiedere l'esenzione?
Si avvicina la scadenza del saldo IMU 2024 e questo ci porta a rispolverare una serie di norme relative al funzionamento di base di questa imposta.
La recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (si veda da ultima la sentenza n. 11143/2024) fissa una serie di principi che ben costituiscono da guida, in ordine all’IMU dell’abitazione principale.
L’IMU è l’acronimo di imposta municipale propria e insieme a TARI e TASI costituisce l’imposta municipale unica.
L’Imposta Municipale Propria è un tributo diretto di tipo patrimoniale ed è in vigore in più di 7.500 Comuni Italiani, fanno eccezione solo i territori del Friuli-Venezia Giulia, che applicano l’imposta immobiliare semplice (IMIS), e delle province autonome di Trento e di Bolzano, che applicano l’imposta municipale immobiliare (IMI).
Il possesso di fabbricati, escluse le abitazioni principali classificate nelle categorie catastali diverse da A/1, A/8 e A/9, di aree fabbricabili e di terreni agricoli è il presupposto per il pagamento.
In altre parole, è questa la ragione per la quale il proprietario o il titolare di altro diritto reale (usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie), o il concessionario nel caso di concessione di aree demaniali e il locatario in caso di leasing, deve versare l’IMU.
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L’IMU dell’abitazione principale: il fatto di specie
Un Comune ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale, la quale, in una controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso per parziale versamento dell’IMU relativa all’anno 2013 con riguardo alla proprietà di sei immobili ubicati nel medesimo Comune, ha parzialmente accolto l’appello proposto da una contribuente avverso la sentenza della CTP.
Il giudice di appello ha parzialmente riformato la decisione di prime cure, che aveva rigettato il ricorso originario, nel senso di riconoscere alla contribuente l’esenzione da IMU per l’abitazione principale in relazione ad un immobile, secondo l’opzione manifestata dalla medesima, nonostante la residenza anagrafica in altro immobile.
Il ricorso, dopo un’attenta analisi della disciplina dettata in materia di IMU per l’abitazione principale, è stato accolto.
IMU: la normativa
In sede di istituzione, l’art. 8, comma 3, del d.lgs. 14 marzo 2011, n. 23, ha previsto che:
“L’imposta municipale propria non si applica al possesso dell’abitazione principale ed alle pertinenze della stessa. Si intende per effettiva abitazione principale l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente. L’esclusione si applica alle pertinenze classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo. L’esclusione non si applica alle unità immobiliari classificate nelle categorie catastali A1, A8 e A9.”
Il riferimento al “nucleo familiare” non era presente nell’originaria disciplina dell’IMU, che subordinava il riconoscimento dell’esenzione per l’abitazione principale alla sussistenza del solo requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale del possessore dell’immobile: a questi veniva riconosciuto il diritto all’esenzione in termini oggettivi, del tutto a prescindere dal suo status soggettivo di coniugato; ciò che rilevava, ai fini della identificazione della abitazione principale, era, infatti, che egli si trovasse a risiedere e dimorare abitualmente in un determinato immobile.
Il riferimento al “nucleo familiare” nemmeno figurava nella successiva formulazione dell’art. 13, comma 2, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 e l’agevolazione, consistente non più in un’esenzione, ma in una riduzione dell’aliquota, era riconosciuta, anche in questo caso, per l’immobile nel quale “il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”.
Pertanto, sino a quel momento, se due persone unite in matrimonio avevano residenze e dimore abituali differenti, a ciascuna spettava l’agevolazione per l’abitazione principale.
Soltanto con l’art. 4, comma 5, lett. a, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012, n. 44, che è intervenuto su diversi aspetti della disciplina dell’IMU, è stata modificata la definizione di “abitazione principale”, introducendo, in particolare, il riferimento al nucleo familiare ai fini di individuare l’immobile destinatario dell’agevolazione.
Tale disciplina è stata poi confermata dall’art. 1, comma 707, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, che ha reintrodotto la completa esenzione dell’abitazione principale dall’1 gennaio 2014 per tutte le categorie catastali abitative, tranne quelle cosiddette di lusso (A/1, A/8 e A/9), riformulando l’art. 13, comma 7, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.
Ancora, sia pure con la preventiva abrogazione dell’art. 13, comma 2, del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, tale regolamentazione è stata ribadita nell’art. 1, comma 741, lett. b, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 all’interno della disciplina della cosiddetta “nuova IMU”, divenuta sostanzialmente comprensiva anche del tributo sui servizi indivisibili (TASI).
Le indicazioni di prassi e il pensiero giurisprudenziale
Secondo la circolare emanata dal Ministero delle Finanze il 18 maggio 2012, n. 3/DF, in relazione alla diversa ubicazione della residenza anagrafica dei coniugi (par. 6):
“il legislatore non ha, però, stabilito la medesima limitazione nel caso in cui gli immobili destinati ad abitazione principale siano ubicati in Comuni diversi, poiché in tale ipotesi il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro Comune, ad esempio, per esigenze lavorative.”
Per cui, l’amministrazione finanziaria ha ammesso che il beneficio possa essere riconosciuto per ciascuno degli immobili, ubicati in Comuni diversi, adibiti a residenza e dimora.
La giurisprudenza di legittimità ha tuttavia ritenuto prevalente il testo normativo sulla circolare ministeriale, nel senso di escludere il beneficio per entrambe le abitazioni dei coniugi; così, si è affermato che, in tema di IMU, l’esenzione prevista per la casa principale (Cass., Sez. 6^-5, 19 febbraio 2020, n. 4166; Cass., Sez. 6^-5, 1 febbraio 2021, n. 2194; Cass., Sez. 6^-5, 3 giugno 2021, n. 15316; Cass., Sez. 6^-5, 13 gennaio 2022, n. 893; Cass., Sez. 5^, 13 gennaio 2023, n. 990):
“richiede non soltanto che il possessore e il suo nucleo familiare dimorino stabilmente in tale immobile, ma altresì che vi risiedano anagraficamente.”
Definizione di abitazione principale
L’abitazione principale è solo quella ove il proprietario e la sua famiglia abbiano fissato:
- la residenza (accertabile tramite i registri dell’anagrafe);
- la dimora abituale (ossia il luogo dove la famiglia abita la maggior parte dell’anno).
Dalla lettura delle norme riformulate emerge, innanzitutto, che l’abitazione principale deve essere costituita da una sola unità immobiliare iscritta o iscrivibile in catasto, a prescindere dalla circostanza che sia utilizzata come abitazione principale più di una unità immobiliare distintamente iscritta in catasto, non rilevando l’eventuale unificazione di fatto.
In tal caso, le singole unità immobiliari vanno assoggettate separatamente ad imposizione, ciascuna per la propria rendita; pertanto, il contribuente può scegliere quale delle unità immobiliari destinare ad abitazione principale, con applicazione delle agevolazioni e delle riduzioni IMU per questa previste.
Le altre, invece, vanno considerate come abitazioni diverse da quella principale, con l’applicazione dell’aliquota deliberata dal comune per tali tipologie di fabbricati; il contribuente non può, quindi, applicare le agevolazioni per più di una unità immobiliare, a meno che non abbia preventivamente proceduto al loro accatastamento unitario.
E per abitazione principale si deve intendere l’immobile nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente; in altri termini, il legislatore ha innanzitutto voluto collegare i benefici dell’abitazione principale e delle sue pertinenze al possessore e al suo nucleo familiare e, in secondo luogo, ha voluto unificare il concetto di residenza anagrafica e di dimora abituale, individuando come abitazione principale solo l’immobile in cui le condizioni previste dalla norma sussistono contemporaneamente, ponendo fine alle problematiche applicative che sulla questione avevano interessato l’ICI (in termini: Cass., Sez. 5^, 17 giugno 2021, n. 17408; Cass., Sez. 6^-5, 13 gennaio 2022, n. 893; Cass., Sez. 6^-5, 17 gennaio 2022, n. 1199; Cass., Sez. 5^, 20 febbraio 2024, n. 4530).
Dimora diversa fra i componenti del nucleo familiare
Osservano gli Ermellini che non risulta, invece, espressamente disciplinato il caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati in differenti Comuni.
Invero, nel caso in cui due coniugi non separati legalmente abbiano la propria abitazione in due differenti immobili, il nucleo familiare (inteso come unità distinta ed automa rispetto ai suoi singoli componenti) resta unico, ed unica, pertanto, potrà essere anche l’abitazione principale ad esso riferibile, con la conseguenza che il contribuente, il quale dimori in un immobile di cui sia proprietario (o titolare di altro diritto reale), non avrà alcun diritto all’agevolazione se tale immobile non costituisca anche dimora abituale dei suoi familiari, non realizzandosi in quel luogo il presupposto della “abitazione principale” del suo nucleo familiare.
Ciò in applicazione della lettera e della ratio della norma, che è quella di impedire che la fittizia assunzione della dimora o della residenza in altro luogo da parte di uno dei coniugi crei la possibilità per il medesimo nucleo familiare di godere due volte dei benefici per l’abitazione principale; la nozione di abitazione principale postula, pertanto, l’unicità dell’immobile e richiede la stabile dimora del possessore e del suo nucleo familiare, sicché non possono coesistere due abitazioni principali riferite a ciascun coniuge sia nell’ambito dello stesso Comune che nell’ambito di Comuni diversi (in termini: Cass., Sez. 5^, 17 giugno 2021, n. 17408; Cass., Sez. 6^-5, 13 gennaio 2022, n. 893; Cass., Sez. 6^-5, 17 gennaio 2022, n. 1199).
Rottura del rapporto di convivenza
La fattispecie di cui sopra non va confusa con quella, del tutto differente, in cui, invece, vi sia stata la frattura del rapporto di convivenza tra i coniugi, intesa quale separazione di fatto, cioè di una situazione di fatto consistente nella inconciliabilità della prosecuzione della convivenza, sotto lo stesso tetto, delle persone legate dal rapporto coniugale, con conseguente superamento della presunzione di coincidenza tra casa coniugale e abitazione principale (per la differenziazione di tali ipotesi: Cass., Sez. 6^-5, 17 maggio 2018, n. 12050).
In questa ipotesi, la frattura del rapporto di convivenza tra i coniugi, intesa quale separazione di fatto, comporta una disgregazione del nucleo familiare e, conseguentemente, l’abitazione principale non potrà essere più identificata con la casa coniugale (vedasi: Cass., Sez. 5^, 7 giugno 2019, n. 15439).
Dimora diversa per motivi di lavoro
È possibile che i due coniugi, ad esempio per motivi di lavoro, fissino in due differenti, e magari distanti, comuni la loro residenza e la loro dimora abituale.
In siffatta evenienza dovrà accertarsi in quale di questi immobili si realizzi l’abitazione “principale” del nucleo familiare, riconoscendo l’esenzione solo allo stesso; non vanno, infatti, confusi i due concetti di “dimora abituale” e di “abitazione principale” (da individuarsi sulla base della coabitazione dei coniugi e della di loro famiglia), tenendo altresì presente che quest’ultimo sottintende una preponderanza della destinazione rispetto ad altre, pur possibili, soluzioni abitative.
Ciò alla luce della regola di esperienza per cui per ogni nucleo familiare non può esservi che una sola abitazione principale; il concetto di “abitazione principale” resta quello consolidatosi all’esito dell’elaborazione giurisprudenziale (Cass., Sez. 1^, 24 aprile 2001, n. 6012), secondo cui per residenza della famiglia deve intendersi il luogo (in relazione al quale, in particolare, deve realizzarsi, con gli adattamenti resi necessari dalle esigenze lavorative di ciascun coniuga, l’obbligo di convivenza posto dall’art. 143 cod. civ.) di ubicazione della casa coniugale, perché questo luogo individua presuntivamente la residenza di tutti i componenti della famiglia.
Ovviamente, va ribadito che un’unità immobiliare può essere riconosciuta abitazione principale solo se costituisca la dimora abituale non solo del ricorrente, ma anche dei suoi familiari, non potendo sorgere il diritto alla detrazione nell’ipotesi in cui tale requisito sia riscontrabile solo nel ricorrente e, invece, difetti nei familiari (Cass., Sez. 5^, 15 giugno 2010, n. 14389; Cass., Sez. 6 ^-5, 21 giugno 2017, n. 15444).
Le conclusioni della Cassazione
In reazione a tale approdo della giurisprudenza di legittimità, giunto a negare ogni esenzione sull’abitazione principale se un componente del nucleo familiare risiede in un Comune diverso da quello del possessore dell’immobile, il legislatore è intervenuto con l’art. 5-decies, comma 1, del d.l. 21 ottobre 2021, n. 146, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, che ha così riformulato il testo dell’art. 1, comma 741, lett. b, della legge 27 dicembre 2019, n. 160:
“per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale o in Comuni diversi, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile scelto dai componenti del nucleo familiare. Per pertinenze dell’abitazione principale si intendono esclusivamente quelle classificate nelle categorie catastali C/2, C/6 e C/7, nella misura massima di un’unità pertinenziale per ciascuna delle categorie catastali indicate, anche se iscritte in catasto unitamente all’unità ad uso abitativo”
La relazione illustrativa all’emendamento governativo che ha introdotto tale disposizione espressamente precisa, infatti, l’intenzione di superare gli ultimi orientamenti della Corte di Cassazione.
Tale disciplina è stata recentemente sottoposta a giudizio incidentale di legittimità costituzionale (Corte Cost., ord., 12 aprile 2022, n. 94), all’esito del quale, il giudice delle leggi ha ripristinato il diritto all’esenzione per ciascuna abitazione principale delle persone legate da vincolo di coniugio o unione civile, che abbiano avuto l’esigenza, in forza delle necessità della vita, di stabilire la loro dimora abituale e la residenza anagrafica in altro immobile; l’indicata questione coinvolge anche il mantenimento dell’esenzione in ipotesi in cui i componenti del nucleo familiare sono stati indotti da esigenze personali a stabilire la residenza e la dimora abituale in luoghi ed immobili diversi.
Prendendo atto di tale intervento manipolativo, in virtù della norma così come rimodulata, applicabile ai giudizi pendenti, è stato ritenuto sufficiente che nell’immobile risieda il possessore, pur se il coniuge risiede stabilmente altrove (nel periodo di riferimento).
Non si tratta, infatti, di una c.d. “seconda casa”, poiché in quest’ultima ipotesi non spetterebbe l’esenzione, ma di residenze diverse, il che costituisce un diritto dei due coniugi, in virtù degli accordi sull’indirizzo della vita familiare liberamente assunti ai sensi dell’art 144 cod. civ..
Non può, infatti, essere evocato l’obbligo di coabitazione stabilito per i coniugi dall’art. 143 cod. civ., dal momento che una determinazione consensuale o una giusta causa non impediscono loro, indiscussa l’affectio coniugalis, di stabilire residenze disgiunte e a tale possibilità non si oppongono le norme sulla “residenza familiare” dei coniugi (art. 144 cod. civ.) o sulla “residenza comune” degli uniti civilmente (art. 1, comma 12, della legge 20 maggio 2016, n. 76).
Ciò non di meno, pur in assenza di convivenza col nucleo familiare, il diritto del contribuente all’esenzione per l’abitazione principale postula il concorso imprescindibile di residenza anagrafica e dimora abituale nell’immobile per il quale essa è stata invocata.
Nel caso di specie, pertanto, l’esenzione per l’abitazione principale era stata correttamente riconosciuta dall’ente impositore in relazione al solo immobile ove la contribuente aveva fissato la residenza anagrafica, non essendo ammissibile l’opzione di beneficiarne in relazione all’immobile, in comunione col coniuge, che solo aveva fissato ivi la residenza anagrafica.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: L’IMU dell’abitazione principale