Stipendi dipendenti pubblici, i dati della Ragioneria Generale dello Stato certificano che in Italia dal 2012 fino a due anni fa c'è stata una forte compressione della spesa, con una discesa pari a 1,2 miliardi di euro. Impietoso il confronto con gli altri Paesi dell'Europa. L'Usb proclama uno sciopero generale per il 12 aprile.
Dal 2010 al 2017 gli stipendi dei dipendenti della pubblica amministrazione italiana sono stati sottoposti a un trattamento da elettroshock.
Dal 2012 al 2017 ad esempio la spesa per redditi è scesa di 1,2 miliardi di euro (-1,9 per cento).
Il dato emerge dalla lettura del Conto annuale 2017 sul pubblico impiego della Ragioneria Centrale dello Stato che fornisce anche un quadro di confronto impietoso con la spesa per la PA e i suoi dipendenti nei principali Paesi europei, confermando una tendenza già nota.
Ma soprattutto, l’organo istituzionale che si occupa della tenuta della contabilità certifica gli strumenti con i quali i redditi dei dipendenti pubblici sono stati compressi nell’ultimo decennio: in particolare il blocco della contrattazione nel periodo che va dal 2010 al 2015.
Stipendi dipendenti pubblici, un confronto con l’Europa: Germania, Francia, Spagna, Regno Unito e noi
Partiamo dalle quantità, prendendo come riferimento il 2017, l’ultimo anno per il quale il Conto ci presenta dati in consuntivo (quelli che seguono sono solo previsionali).
Ebbene per quel che riguarda la spesa per redditi da lavoro dipendente delle amministrazioni pubbliche scopriamo che l’Italia ha speso 164,23 miliardi di euro venendo dopo la Francia (290,13), la Germania (246,74), Regno Unito (210,42) e superando la sola Spagna (123,05).
La media Ue è invece di 130,25 miliardi di euro, ma ovviamente non è un dato significativo di confronto con l’Italia, dato che, a parte quelli citati, il resto dei Paesi ha in gran parte una dimensione molto più piccola della nostra.
Dal 2012 al 2017 la variazione percentuale annua della spesa per le retribuzioni da lavoro dipendente pubblico in Italia è sempre stata negativa tranne che nel 2016 e nel 2017 (aumenti del 1,2 e dello 0,2 per cento), scendendo appunto dell’1,9 per cento in tutto il periodo.
In Europa solo Spagna e Gran Bretagna hanno fatto di peggio (o di meglio a seconda dei punti di vista), ma non continuativamente: la Spagna solo nel 2012 (-7,1 per cento), GB nel 2013, 2016 e 2017 (-6,8 per cento, -8,5 e -3,3, ma con forti aumenti nel 2012, 2014, 2015 (+7,4, +7,7, +12,7).
Il conto annuale, poi, elenca gli strumenti dei quali i vari governi si sono serviti per contenere la spesa pubblica e di conseguenza le remunerazioni dei dipendenti:
- blocco della contrattazione collettiva per il periodo 2010-2015 con sterilizzazione dell’indennità di vacanza contrattuale, IVC, ai valori riconosciuti nel 2010;
- introduzione di un limite alla retribuzione individuale pari a quanto percepito nel 2010 fino al 2014;
- rigorosi vincoli alle facoltà assunzionali;
- ridefinizione delle dotazioni organiche del comparto scuola;
- limite alla crescita dei fondi per la contrattazione integrativa e riduzione degli stessi in base al numero del personale cessato;
- riconoscimento solo ai fini giuridici delle progressioni di carriera comunque denominate dal 2011 al 2014.
Sarà poi la Corte Costituzionale a sancire l’illegittimità del blocco contrattazione collettiva con la sentenza n.178 del 24 giugno 2015, ma con la legge di stabilità 2016 il contenimento della spesa verrà affidato alle misure sulle assunzioni e sui trattamento accessori.
Tutto quello che precede non poteva non avere un riflesso negativo sul numero degli occupati nel pubblico impiego rispetti al totale dei lavoratori dipendenti che ci pone alla coda dei grandi paesi europei.
Così l’Italia tra il 2012 e il 2017 si aggira sempre sul valore del 5,5 per cento degli addetti pubblici sul totale (nel 2013 è al 5,6), venendo dopo la Francia (quasi sempre al 8,5), il Regno Unito (che oscilla nel periodo tra 8,3 e 7,8 per cento), la Spagna (tra 6,5 e 6,3) e la Germania (sempre al 5,7).
Stipendi dipendenti pubblici, le reazioni sindacali ai dati della Ragioneria
Alla pubblicazione dei dati della Ragioneria non sono mancate le reazioni di parte sindacale, soprattutto considerando la stagione dei rinnovi contrattuali pubblici ancora di là da venire.
Così la Flc Cgil, sindacato di categoria dei docenti della scuola pubblica (uno dei comparti con il maggior peso di occupati insieme alla Sanità nell’assetto della pubblica amministrazione italiana) ha diffuso una nota in cui denuncia come gli insegnanti guadagnino in media 8.000 euro in meno rispetto ai loro colleghi europei.
“Il tempo è ormai scaduto”, prosegue la nota della Flc Cgil,
“Il Governo crei le condizioni per aprire le trattative per il rinnovo di un Contratto nazionale di lavoro che ci avvicini all’Europa, abbandonando l’insano progetto della regionalizzazione del sistema di istruzione che porterebbe con sé la territorializzazione dei diritti e delle retribuzioni”.
Una mobilitazione per il rinnovo contrattuale viene lanciata anche dall’Usb pubblico impiego che prevede anche uno sciopero generale per il 12 aprile prossimo. Insomma, per il ministro della pubblica amministrazione Giulia Bongiorno è venuto proprio il momento di rispondere a esigenze suscitate anche dalle sue promesse.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Stipendi dipendenti pubblici, Italia maglia nera in Europa. Sciopero generale il 12 aprile