Per la Cgia di Mestre nel 2018 Stato e Regioni hanno speso più di 100 miliardi di euro per consumi intermedi: dal 2007 al 2017 costi aumentati del 21%, ma a ben guardare si tratta del recupero del blocco degli anni dal 2010 al 2014.
La tanto osannata spending review non può tutto. Lo si evince da una recente indagine della Cgia di Mestre sulla spesa relativa ai consumi intermedi della pubblica amministrazione, basata su una rielaborazione di dati Istat.
Secondo l’Associazione di categoria veneta, nel 2018 l’insieme di Stato centrale, Regioni ed enti locali ha speso per consumi intermedi 100,2 miliardi di euro. Con una crescita del 9,2% tra il 2014 e lo scorso anno.
Per consumi intermedi si intendono i costi imputabili a diverse voci di bilancio, tra cui la manutenzione ordinaria, la cancelleria, le spese energetiche, l’esercizio dei mezzi di trasporto, ricerca, sviluppo e formazione erogati da fornitori esterni, la quota parte annuale per l’acquisto di macchinari.
Molte cose quindi, ma non le spese per il personale. È bene tenerlo a mente perché già in altre occasioni abbiamo visto come la spesa per i dipendenti pubblici sia in Italia anche troppo contenuta.
La spesa PA cresce nonostante la spending review
L’indagine, inoltre, rafforza anche il “mito” di una pubblica amministrazione “spendacciona” a confronto di quelle degli altri paesi dell’UE: nel 2017 l’Italia avrebbe speso per consumi intermedi il 5,5% del Pil contro il 5 della Spagna, il 4,9 della Francia e il 4,8% della “virtuosa” Germania.
Se ai dati sopra citati si aggiunge che nei 10 anni tra il 2007 e il 2017 le spese per consumi intermedi dell’apparato pubblico sono aumentate del 21% (del 40 per quel che riguarda la sanità) sembrerebbero fondate le grida di allarme dell’Associazione di categoria veneta:
“Malgrado il grande lavoro svolto dalla Consip per rendere più efficiente e trasparente l’utilizzo delle risorse pubbliche - ha dichiarato Paolo Zabeo, coordinatore dell’Ufficio Studi della Cgia - il contenimento della spesa ha funzionato poco o, addirittura, non è stato conseguito. Al netto degli effetti di quota 100 e del reddito di cittadinanza, è chiaro a tutti che se le uscite di parte corrente torneranno ad aumentare, non sarà possibile ridurre in misura significativa il peso fiscale. Nel giro di qualche anno ci ritroveremo, nonostante le promesse che in questi ultimi anni molti politici ci hanno raccontato, con più tasse e una spesa pubblica incomprimibile”.
Spesa PA: dove la Cgia confuta sé stessa
Tuttavia lo scalpore dei risultati viene piuttosto ridimensionato dai dati che fornisce lo stesso Ufficio Studi, quando rileva che tra il 2010 e il 2014 le spese si erano sostanzialmente arrestate.
Lo stesso segretario della Cgia Renato Mason ammette in effetti che:
“Non è da escludere che la ripresa della spesa per consumi intermedi avvenuta in Italia negli ultimi anni sia riconducibile, almeno in parte, agli effetti restrittivi che gli uffici preposti agli acquisti hanno subito tra il 2010 e il 2014. Non solo. È altresì utile ricordare che dopo anni in cui le manutenzioni ordinarie e le riparazioni sono rimaste pressoché bloccate, una volta ridata la possibilità di riattivarle, si è tornati a spendere in misura copiosa, anche perché gli interventi lo richiedevano”.
La constatazione di Mason relativizza parecchio i dati della sua associazione rilanciati peraltro sulle pagine di molti organi di stampa, nei quali è stata data enfasi soprattutto al dato della spesa. In realtà, si tratta di un effetto di “rinculo” dovuto proprio alla mancanza di spese effettuate negli anni precedenti. Neanche a Mestre si pensa che per risparmiare si debba mandare in malora le strutture di un paese, edifici scolastici inclusi…
Approfondendo i dati
Questo non significa che i dati di Cgia non abbiano un loro interesse, semmai questo va ricercato nella scomposizione per voci di aumento delle spese.
Così si apprende che nel 2017 è stata la sanità il capitolo più costoso con 33,7 miliardi di euro, seguita dai servizi generali della PA con 16,1 e dalla protezione dell’ambiente con 11,7 miliardi.
All’interno delle singole voci si rileva che nell’ambito sanitario l’uscita per i servizi ospedalieri è stata la più cospicua (16,4 miliardi) e nel caso della Protezione dell’ambiente le spese per la gestione dei rifiuti (10,1 miliardi di euro per raccolta, trattamento, vigilanza, ecc.).
Date le notizie che ci arrivano dalla cronaca è possibile che un’attenzione più marcata su settori come quello dei rifiuti possa portare lo Stato e gli enti locali a maggiori risparmi in futuro, senza però esagerare e pensare che il taglio della spesa pubblica sia l’equivalente della felicità del contribuente… spesso è il contrario.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: La spesa della PA cresce nonostante la spending review