Lavoratore in smart working, o più nello specifico in telelavoro (remote working), fiscalmente residente nel Regno Unito e dipendente di una società italiana: la tassazione del reddito deve avvenire solo nel Regno Unito, nessuna ritenuta da parte del datore di lavoro
Per il lavoratore fiscalmente residente nel Regno Unito che opera in smart working, o più nello specifico tramite telelavoro, ed è dipendente di una società italiana, la tassazione dei redditi di lavoro dipendente deve avvenire solo nel Regno Unito.
Il datore di lavoro, quindi, in qualità di sostituto di imposta può fare riferimento direttamente al regime convenzionale non applicando le ritenute alla fonte.
Come di consueto, lo spunto per fare luce sulle regole da seguire arriva dall’analisi di un caso pratico.
Remote working in Inghilterra per una società italiana: i redditi di lavoro dipendente sono soggetti a ritenute?
Protagonista è una società che opera nel campo dell’informatica e ha concesso a un suo lavoratore la possibilità di svolgere temporaneamente la sua attività in telelavoro nel Regno Unito, stato di residenza.
Il dipendente è un cittadino italiano iscritto all’AIRE da ottobre 2019.
Assunto dall’azienda nel 2011, lavora dal 1° agosto 2017 in UK e, sulla base di una serie di proroghe accordate, il suo periodo di telelavoro durerà fino al 31 luglio 2021.
Le attività lavorative vengono svolte con il computer aziendale, utilizzando la rete informatica dell’azienda e operando direttamente su archivi creati o presenti nei server presso la sede della società.
Alla luce della situazione descritta, il datore di lavoro si rivolge all’Agenzia delle Entrate per verificare il corretto trattamento da applicare agli stipendi:
- ai sensi dell’articolo 23 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, è necessario effettuare le ritenute a titolo d’acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche?
- o, in base alle disposizioni contro la doppia imposizione, le somme non sono fiscalmente rilevanti in Italia e quindi non soggette alle ritenute?
In particolare, la società vorrebbe applicare direttamente, sotto la propria responsabilità, il regime previsto dalla Convenzione contro le doppie imposizioni tra i due paesi, non operando le ritenute, sulla base di una specifica domanda presentata dal dipendente completa di certificazione di residenza fiscale rilasciata dall’autorità fiscale estera competente e di documentazione comprovante l’effettivo esercizio dell’attività lavorativa nel Paese di residenza.
Un documento di prassi interessante ci viene in supporto ovvero la risposta all’interpello numero 296/2021, con la quale l’Agenzia delle Entrate ha chiarito quanto segue:
“Non avendo i predetti emolumenti rilevanza fiscale in Italia, l’Istante, nella qualità di sostituto d’imposta, potrà applicare direttamente, sotto la propria responsabilità, il regime convenzionale, non operando le ritenute alla fonte ai sensi dell’articolo 23 del dpr n. 600/1973, previa presentazione da parte del telelavoratore di idonea documentazione volta a dimostrare l’effettivo possesso di tutti i requisiti previsti dalla Convenzione per beneficiare del regime di esenzione”.
Remote working nel Regno Unito per conto di una società italiana: focus sul trattamento fiscale dei redditi di lavoro
Nel motivare la sua posizione, l’Agenzia delle Entrate parte dalla regola generale prevista dall’articolo 23 del TUIR: si considerano prodotti in Italia “i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato”.
Per individuare il corretto trattamento fiscale da applicare nel caso in cui il rapporto di lavoro coinvolga due territori, come nella situazione analizzata, bisogna necessariamente far riferimento anche agli accordi con l’altro paese coinvolto.
Nel caso del Regno Unito bisogna considerare la Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Regno Unito, sottoscritta il 21 ottobre 1988 e ratificata
con legge n. 329/1990 che all’articolo 15 prevede:
“i salari, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale attività non venga svolta nell’altro Stato contraente. Se l’attività è quivi svolta, le remunerazioni percepite a tal titolo sono imponibili in questo altro Stato”.
Viene prevista, quindi, una tassazione esclusiva dei redditi da lavoro dipendente nello Stato di residenza del beneficiario. Mentre se l’attività lavorativa viene svolta nell’altro Stato contraente, le somme sono assoggettate a imposizione concorrente in entrambi i Paesi.
Infine, i redditi erogati per un’attività di lavoro subordinato svolta in uno dei due Stati, diverso da quello in cui si ha la residenza, sono comunque soggetti a tassazione esclusivamente nello Stato di residenza in presenza delle tre condizioni che seguono:
- il beneficiario soggiorna nell’altro Stato per un periodo che non supera in totale nel corso dell’anno fiscale il limite dei 183 giorni;
- gli stipendi vengono pagati da o a nome di un datore di lavoro che non è residente dell’altro Stato;
- l’onere non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell’altro Stato.
Più precisamente, nel caso analizzato che riguarda l’attività svolta in smartwortking, o meglio tramite telelavoro, l’Agenzia delle Entrate per sciogliere ogni dubbio sul luogo di prestazione riporta il commentario all’articolo 15, paragrafo 1, del modello OCSE di convenzione per eliminare le doppie imposizioni:
“Per individuare lo Stato contraente in cui si considera effettivamente svolta la prestazione lavorativa, bisogna avere riguardo al luogo dove il lavoratore dipendente è fisicamente presente quando esercita le attività per cui è remunerato. Si aggiunge che il reddito percepito dal lavoratore dipendente non può essere assoggettato a imposizione nell’altro Stato contraente, anche se i risultati della prestazione lavorativa sono utilizzati in detto Stato”.
Non c’è dubbio, quindi, per il dipendente che opera in UK per una società italiana la tassazione del reddito deve avvenire solo nel Regno Unito, territorio in cui il telelavoratore è fisicamente presente e fiscalmente residente quando svolge la propria attività lavorativa.
Tutti i dettagli nel testo integrale della risposta all’interpello dell’Agenzia delle Entrate numero 296/2021.
- Agenzia delle Entrate - Risposta all’interpello numero 296 del 27 aprile 2021
- Articolo 11, comma 1, lettera a), legge 27 luglio 2000, n. 212 - Regime fiscale applicabile a soggetto che lavora alle dipendenze di una società italiana e che è residente all’estero dove svolge la sua attività in telelavoro - Articolo 15 della Convenzione Italia-Regno Unito.
Articolo originale pubblicato su Informazione Fiscale qui: Remote working nel Regno Unito: redditi di lavoro soggetti a ritenute?